Seveso, il disastro che fece conoscere a tutti la parola “diossina”

Era un sabato di luglio del 1967 quando da una fabbrica in Brianza iniziarono a fuoriuscire grandi quantità di diossina, una sostanza tossica e cancerogena allora quasi sconosciuta che si diffuse nell’aria e cambiò completamente il territorio e la percezione del pericolo relativa agli impianti industriali.
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Rubrica a cura di Sara Del Dot
8 Marzo 2021

Ancora oggi, 45 anni dopo, se si parla di Seveso la memoria corre subito al termine “diossina”. Anche se, come sottolineano gli abitanti della zona, il loro territorio non è soltanto lo specchio di un disastro ambientale e loro stanno facendo di tutto per tornare a valorizzarlo, senza mai dimenticare il passato, colorandolo di una patina diversa da quella che è calata sull’area nell’estate del 1976, con l’avvenimento di uno dei più grandi disastri ambientali della storia italiana, l’ottavo di sempre secondo una classifica del 2010 stilata dal Time. Era la prima volta che la diossina fuoriusciva da una fabbrica e colpiva persone, animali e piante.

Il disastro del Seveso

Era il 10 luglio del 1976 quando una nube di diossina si sprigionò dall’impianto della fabbrica dell’ICMESA (Industrie Chimiche Meda Società Azionaria) nel comune di Meda al confine con Seveso, investendo questi due comuni oltre a quelli di Desio e Cesano Maderno. Si trattava di un impianto di titolarità del gruppo Givaudan Hoffman-La Roche ma collocato in Brianza, Lombardia. La fabbrica si occupava di produrre triclorofenolo, una sostanza componente di diversi diserbanti che se esposta a temperature superiori ai 156 gradi si trasforma in diossina Tcdd (2,3,7,8-tetracloro-dibenzodiossina), un prodotto estremamente tossico e cancerogeno. Quel giorno il sistema di controllo di un rettore chimico andò in avaria e la temperatura salì troppo, generando questa sostanza.

Quel giorno, la diossina fuoriuscì dall’impianto, in cui erano stati superati i 500 gradi, e andò a contaminare le zone circostanti, soprattutto Seveso. La sostanza diffusa nell’aria iniziò a provocare infiammazioni agli occhi, macchie sulla pelle e a uccidere le piante a causa delle sue proprietà diserbanti.

Gli abitanti della zona, colpiti in pieno dalla nube di veleno, non seppero subito cosa stava accadendo, l'allarme scattò ben 8 giorni dopo. Inoltre, gli effetti della diossina sulla salute erano ancora sconosciuti. Nel frattempo, però la pelle dei bambini si macchiava e i ragazzi giravano in bicicletta nel pieno dell’aria inquinata da diossina.

Il territorio venne suddiviso in tre zone con tante sottopone in base al grado di contaminazione. Gli abitanti della zona A, la più contaminata ulteriormente suddivisa in 7 sotto-zone), furono costretti a lasciare le loro case e vennero trasferiti in un albergo ad Assago, dove rimasero per parecchio tempo. Gli sfollati furono oltre 600. Alcuni non rividero più le loro case, abbattute e ricostruite tempo dopo. Lo strato superiore del terreno venne rimosso, non c’era più una pianta, era diventato un deserto.

Conseguenze

Per quanto riguarda la salute umana, il disastro del Seveso non provocò morti dirette, anche se è stata registrata una maggiore incidenza di diverse malattie e tumori in seguito all’incidente. In particolare, ci furono diversi problemi di natura dermatologica, come l’insorgenza di 240 casi di cloracne come reazione all’intossicazione, una patologia che crea lesioni e cisti sebacee, ma anche la maggiore insorgenza di neoplasie del tessuto linfatico ed emopoietico e linfomi non Hodgkin.

A ciò si aggiunse l’aumento di malattie cardiocircolatorie e respiratorie e potenziali problematiche nelle gravidanze.

Decine di migliaia di animali furono uccisi a causa della contaminazione, per evitare che il veleno accedesse alle catene alimentari degli abitanti. Gli orti e i prati furono letteralmente polverizzati dalla sostanza e venne vietato a tutti di mangiare frutta e verdura coltivate nella zona.

Lo stabilimento venne demolito, e con esso anche le abitazioni che si trovavano nei paraggi.

Il terreno e i materiali contaminati vennero sepolti in delle grandi vasche tuttora monitorate e sopra di esse ne venne posizionato di nuovo proveniente da zone non contaminate. Iniziò così un’operazione di ri-naturalizzazione della zona da cui nacque poi il Parco naturale Bosco delle Querce, un parco che è anche un memoriale del disastro, necessario per non dimenticare.

A livello giudiziario, ICMESA fu coinvolta in un processo sia civile che penale avviato da Regione Lombardia e dalla Procura di Monza. L'accordo che si raggiunse prevedeva il versamento da parte dell'azienda di 103 miliardi e 634 milioni di lire per coprire le spese di bonifica. L'accordo non prevedeva la copertura in caso di danni futuri. L'azienda inoltre elargì ulteriori 200 miliardi come rimborso per i privati. L'azienda si era così evitata il processo. Anche se nel 2015 un comitato chiamato 5D ha presentato un esposto nei confronti dell'azienda Givaudan in quanto responsabile del disastro.

La direttiva Seveso

Questo terribile disastro portò con se, oltre a tutte le gravi conseguenze appena elencate, anche la consapevolezza di introdurre una normativa comune per prevenire questo genere di incidenti. Nacque così la direttiva 82/501/CEE, anche chiamata direttiva Seveso, per la prevenzione dei rischi industriali. La direttiva, nata nel 1982, è stata poi aggiornata in un Seveso II, un Seveso II bis e un Seveso III, in seguito ad altri incidenti avvenuti in Unione Europea e anche anche sulla base dei rinnovati criteri di classificazione delle sostanze ritenute pericolose. In ogni caso, la direttiva prevedeva:

  • il censimento degli stabilimenti a rischio, con identificazione delle sostanze pericolose
  • l'esistenza in ogni stabilimento a rischio di un piano di prevenzione e di un piano di emergenza
  • la cooperazione tra i gestori per limitare l'effetto domino
  • il controllo dell'urbanizzazione attorno ai siti a rischio
  • l'informazione degli abitanti delle zone limitrofe
  • l'esistenza di un'autorità preposta all'ispezione dei siti a rischio

Un evento, quello del disastro del Seveso, che allora ha cambiato la vita di migliaia di persone e di interi territori ma che ha gettato le basi per una legislazione più attenta nei confronti dell’ambiente e delle persone quando si parla di sviluppo e di gestione degli impianti industriali. Per fare in modo che una cosa del genere non possa più accadere.

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Sono nata e cresciuta a Trento, a due passi dalle montagne. Tra mille altre cose, ho fatto lunghe passeggiate nel bosco altro…