Doll Therapy per l’Alzheimer: la bambola speciale che riattiva la mente e il cuore

Una bambola particolare, con specifiche caratteristiche, in grado di innescare in un malato di Alzheimer il senso di genitorialità, la voglia di prendersi cura di qualcuno, la fiducia in se stesso. Viene dalla Svezia, ed è una terapia non farmacologica estremamente efficace, senza effetti collaterali.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Rubrica a cura di Sara Del Dot
16 Aprile 2019

Un anziano affetto da Alzheimer vive principalmente di ricordi e sensazioni del passato. Il suo presente, spesso, è fatto da confusione, diffidenza, la percezione di non essere preso sul serio, di non dare e ricevere fiducia, la rabbia di sentirsi impotente. Gestire questa malattia e tutto ciò che comporta a livello emotivo e psicologico non è affatto facile. Trattandosi di una patologia senza cura, l’unico modo efficace per averci a che fare è quello di alleviarne i sintomi, anticipare attacchi d’ansia e rabbia, generare sensazioni positive.

Le terapie non farmacologiche dedicate a questa malattia che cancella i ricordi pagina dopo pagina sono diverse. Tanti modi diversi di far sentire a casa persone che, la loro casa, non la riconoscono più. Addirittura, in alcuni paesi del mondo, compresa Monza in Italia, sono stati costruiti dei veri e propri piccoli paesi, in cui gli operatori sanitari si sostituiscono a parrucchieri, cassieri, camerieri e vigili urbani. Così, un luogo apparentemente ostile diventa all’improvviso amichevole, e la paura lascia spazio alla libertà di essere se stessi. Anche se con la mente un po’ offuscata. A far bene a chi è affetto da questa malattia neurodegenerativa, però, è anche la sensazione di ricevere fiducia, di essere ancora in grado di prendersi cura di qualcuno, cosa che gran parte dei pazienti ha senz’altro fatto nel corso della propria vita.

La Doll Therapy serve proprio a questo. Una bambola speciale, fatta apposta per la terapia, che risveglia nella persona l’empatia e quel senso di genitorialità ormai da tempo sostituito dall’essere diventato “qualcuno di cui prendersi cura”. Per la rubrica Il bene in ogni cosa Luca Lodi, formatore ed educatore professionale, mi ha descritto il potere incredibile di questa potente disciplina.

Cos’è esattamente la Doll Therapy?

La Doll Therapy è nata dall’idea di una psicoterapeuta svedese che voleva creare uno strumento per sviluppare un contatto migliore con il suo bambino autistico. Con il tempo ci si è resi conto che questa terapia poteva avere degli effetti molto positivi in particolare sugli anziani affetti dal morbo di Alzheimer e hanno iniziato a nascere percorsi ben strutturati di accompagnamento alle terapie farmacologiche che coinvolgono, appunto, queste bambole. In pratica, i pazienti non riconoscono la bambola per ciò che è, ma la vedono come un bambino, qualcosa di cui prendersi cura. Questo stimola tutto il loro senso di genitorialità, la voglia di accudire, il bisogno di sentirsi utili, responsabili di qualcuno. E vale sia per le donne che per gli uomini, senza distinzione. Così la mente e l’empatia dell’anziano si attivano, e lui riesce così a percepire che noi operatori gli diamo fiducia, lo riteniamo perfettamente in grado di essere accudente. In più, si vengono a ricreare quei vissuti classici dell’infanzia che lo riportano indietro nei propri ricordi. Si tratta di una terapia che si sta diffondendo molto nelle case di riposo, anche perché comporta costi contenuti. In ogni caso, il personale deve essere ben formato e i famigliari informati, perché non tutti sono sempre d’accordo a vedere un proprio caro accudire una bambola, la vivono come una sorta di infantilizzazione, ridicolizzazione, mentre noi ci teniamo a spiegare che si tratta di una terapia con alla base una vera e propria metodologia.

Quali sono le caratteristiche di queste bambole? Ce ne sono di diverso tipo?

Ovviamente quella utilizzata per la terapia non è una bambola qualsiasi, ha delle caratteristiche particolari come il volto poco definito, una particolare morbidezza al tatto, gli arti allargati per essere presa facilmente in braccio. Non a caso la chiamano anche Empathy Doll perché stimola proprio un senso di empatia, del contatto. Ce ne sono di diversi tipi, in base alle caratteristiche del paziente e alle necessità che la sua patologia comporta. Ci sono quelle che ricordano un neonato, alcune che stanno sedute, altre che rimangono straiate.. Ad esempio se un anziano è affetto da wandering, ovvero cammina avanti e indietro tutto il giorno, non posso dargli una bambola troppo pesante, perché sarebbe fonte di affaticamento, ma dovrà averne una più piccola e leggera.

Come funziona la Doll Therapy nello specifico?

Questa terapia segue tutta una metodologia specifica che prevede tempi di somministrazione, schede di valutazione, momenti o setting allestiti per generare la maggiore interazione possibile. Infatti, lo scopo della Doll Therapy non è calmare la persona nell’immediato magari in un momento di particolare rabbia o angoscia, bensì quello di farlo stare bene, fargli ritrovare il benessere. In pratica, all’anziano viene affidata questa bambola che, ricordiamo, lui vive come bambino, quindi come qualcuno di cui prendersi cura attivamente. Lo stesso operatore, quando la consegna, la presenta già come se fosse un bambino, in modo tale che la persona possa accoglierla come una presenza reale, ma sarà lui stesso a darle un nome e un ruolo. Quando l’anziano inizia a spostare l’attenzione sulla bambola, a quel punto l’operatore si stacca e osserva da lontano cosa succede: se c’è interazione, se la abbandona subito, se si interpongono delle difficoltà. L’operatore si limita a intervenire solo ed esclusivamente se il suo può essere un intervento positivo e tranquillizzante. A volte, se la terapia avviene in una stanza con altri pazienti presenti, possono essere le persone intorno ad attivarsi e a interessarsi, di conseguenza di valuta se pensare a un intervento di questo tipo anche per loro. Quando poi è ora di recuperare la bambola, dopo circa un’ora, solitamente si usano le scuse classiche dell’infanzia come il sonnellino o il bagnetto, ma ci sono casi in cui è l’anziano stesso ad abbandonarla. Inizialmente si prova con quindici somministrazioni e se si valuta che abbia una ricaduta positiva la si inserisce in modo stabile nel percorso del paziente, che viene comunque sempre monitorata nei suoi progressi o cambiamenti. Naturalmente si cerca anche di capire qual è il momento più opportuno della giornata in cui consegnargliela, dato che la somministrazione può avvenire in tutte le 24 ore. Ad esempio per anticipare un disturbo del comportamento oppure durante la notte, se ha bisogno, proprio come se fosse un farmaco ma senza effetti collaterali.

Quali sono i benefici?

Per prima cosa, l’anziano diventa protagonista, passa dall’essere accudito all’essere accudente, e questo è il grande passaggio. In più si sente utile, in grado di fare, recupera un ruolo che magari non ha potuto o non ha vissuto a pieno in passato come quello della genitorialità. Ci sono anziani che non hanno mai potuto avere un bambino, e hanno la possibilità di vivere questa dinamica oggi, altri che l’hanno avuto oppure l’hanno perso e ritornano a vivere questi pezzi di storia personale. Inoltre c’è un’efficacia anche sui disturbi comportamentali che diminuiscono. Ma i benefici non sono solo per i pazienti. La terapia infatti ha una ricaduta anche sullo stesso operatore. Perché a volte ti senti impotente, sei davanti a persone che vivono un malessere e non sai che risposte dare loro.. E invece quando ce la fai ti senti di aver fatto qualcosa di buono e bello, soprattutto quando accade con qualcuno che non ti aspetti.

Questo articolo fa parte della rubrica
Sono nata e cresciuta a Trento, a due passi dalle montagne. Tra mille altre cose, ho fatto lunghe passeggiate nel bosco altro…