Il riscontro di lesioni focali nel fegato è frequente nel corso di un’ecografia svolta per svariati motivi. In questo ambito, ma non solo, per lesione focale si intende un’immagine riferibile alla presenza di una formazione, liquida ma più spesso solida, che altera in modo localizzato (da qui il termine focale) la normale anatomia dell’organo.
Di fronte al riscontro di una lesione focale, la prima e comprensibile preoccupazione del paziente è conoscere se si tratta di una formazione benigna o maligna. Preliminarmente, è bene ricordare che: 1) la certezza diagnostica è (quasi) sempre istologica (biopsia, pezzo operatorio, indagine post-mortem) 2) l’indagine istologica non è sempre praticabile e, qualora lo fosse, non è sempre lecito disporla come indagine di seconda istanza.
D’altra parte, gli esami di diagnostica per immagini (ecografie, risonanze magnetiche, ecc.), si muovono nel "campo della probabilità". Questo dipende sia dai limiti intrinseci degli strumenti che dalla variabilità biologica, per cui molte situazioni cliniche tendono a stratificarsi in un continuum piuttosto che in un sistema binario del tipo bianco/nero.
Per questo motivo non è sempre possibile, e certamene lo è in una minoranza di casi nell'indagine ecografica basale (ovvero senza mezzo di contrasto, una sostanza che iniettata nel circolo sanguigno consente di studiare la vascolarizzazione delle lesioni), capire se una lesione focale sia benigna o maligna. Ciononostante, le moderne tecniche di diagnostica per immagini che, avvalendosi dell'uso del mezzo di contrasto, vengono consigliate in caso di necessità di approfondimento diagnostico, consentono al medico di caratterizzare in modo non invasivo la natura di una lesione nella maggior parte dei casi.
Dopo queste premesse, è lecito domandarsi in che modo vengano gestite le lesioni epatiche di nuovo riscontro all’ecografia basale che dunque restano dubbie fino a prova contraria. Dal punto di vista ecografico (ma un ragionamento analogo vale anche per le altre metodiche) esistono una serie di caratteristiche che permettono di stratificare il rischio e di orientare il successivo iter diagnostico. Queste caratteristiche o “indizi” sono rintracciabili nella letteratura internazionale, che raccoglie gli studi frutto dell’esperienza di decine migliaia di operatori, e sulla base dei quali vengono emanate le linee guida delle società scientifiche di riferimento. Ovviamente, come dice il termine, le linee guida suggeriscono al clinico una condotta operativa in un determinato contesto, ma devono sempre essere calate nel caso concreto, motivo per cui può accadere, sempre per motivate ragioni, che le scelte cliniche se ne discostino.
Tra le lesioni focali del fegato, l’angioma epatico (o più correttamente emangioma epatico) merita un approfondimento particolare in quanto rappresenta la lesione focale di nuovo riscontro più frequente all’ecografia dell’addome. L'emangioma epatico è il tumore epatico benigno più comune e consiste in un vero e proprio intreccio caotico di vasi sanguigni aberranti, alimentato dalla circolazione arteriosa epatica. La frequenza è maggiore tra gli adulti, con un'età alla diagnosi iniziale spesso compresa tra i 30 e i 50 anni e una prevalenza nella popolazione generale che varia notevolmente, sebbene le donne siano più suscettibili. Frequentemente sono multipli.
A livello ecografico, l’angioma cosiddetto "tipico” appare come un nodulo tondeggiane, omogeneo e iperecogeno (ovvero più bianco rispetto al tessuto epatico), con margini ben definiti e talvolta un rinforzo acustico posteriore, generalmente privo di segnale vascolare apprezzabile.
Esiste poi una minoranza di angiomi che si presentano in modo diverso e sono pertanto definiti “atipici”. Purtroppo, non tutte le lesioni iperecogene sono angiomi. Questo è il caso, per esempio, del carcinoma epatocellulare (il tumore maligno che origina dalle cellule del fegato), che in una ridotta percentuali di casi può presentare un aspetto simile. Come comportarsi di fronte a questo dilemma? La letteratura internazionale viene in soccorso del medico. Per esempio, è noto che il carcinoma epatocellulare insorge preferenzialmente – se non esclusivamente – nei fegati che hanno subito un danno cronico (alcool, epatiti virali, ecc.). Si tratta, in altre parole, di “pazienti a rischio”.
Poiché l’angioma epatico è un tumore benigno costituito essenzialmente da vasi sanguigni, la conferma diagnostica potrebbe arrivare facilmente attraverso l’iniezione endovenosa di un mezzo di contrasto, il quale “illuminerebbe” la lesione in un modo suggestivo.
Accanto a questa possibilità, in considerazione dell’aspetto ecografico altamente caratteristico e dell’elevata prevalenza nella popolazione generale, la letteratura internazionale concorda nel ritenere l'ecografia basale sufficiente a porre una diagnosi presuntiva che non necessità di ulteriori approfondimenti. In questi casi, come si è detto, a far propendere per la diagnosi di angioma sono le caratteristiche ecografiche e il contesto clinico (a cui si aggiunge, come sempre, il proverbiale buon senso).
Di fatto, nonostante il riscontro di una lesione con caratteristiche tipiche, frequentemente i medici suggeriscono comunque un monitoraggio ecografico, il che potrebbe disorientare il paziente, portandolo a chiedersi: "Se è benigno, perché devo monitorarlo?". Le ragioni di questa scelta hanno più a che vedere con una prassi consolidata che con le evidenze di letteratura.
Ciononostante esistono alcune considerazioni di ordine pratico che fanno ritenere a tutt'oggi il monitoraggio ecografico come un approccio ragionevole, almeno negli angiomi di primo riscontro, tra queste:
In sintesi, in accordo con le linee guide europee, l’ecografia costituisce una metodica preziosa per l’identificazione degli angiomi epatici e consente da sola una diagnosi di certezza nella maggioranza dei casi, e in particolare per i piccoli angiomi con caratteristiche tipiche.
È consigliabile, a discrezione del medico, il monitoraggio ecografico nei casi di primo riscontro. D’altra parte, quando gli angiomi si presentano con caratteristiche ecografiche atipiche in pazienti “a basso rischio”, o quando, pur con caratteristiche tipiche, essi vengono rilevati in pazienti “a rischio” di neoplasia, la diagnosi ecografica deve necessariamente essere integrata con altre tecniche d’immagine (RM, TC o scintigrafia con emazie marcate) o eventualmente con la biopsia ecoguidata per ottenere la sicurezza diagnostica.
Oltre all’angioma esistono altri tipi di lesioni benigne tra cui, ad esempio, l’adenoma epatico e l’iperplasia nodulare focale, ciascuna con un aspetto ecografico più o meno caratteristico. In questi casi, tuttavia, per quanto non manchino degli “indizi” ecografici in grado di orientare il medico verso una diagnosi presuntiva, la sola ecografia basale non è in grado di porre diagnosi di certezza.
In conclusione, nel caso di riscontro di lesioni focali del fegato all’ecografia, il medico può suggerire tre approcci:
Fonte| EASL Clinical Practice Guidelines on the management of benign liver tumours (2016)