La moda cambierà il mondo. È un’esagerazione? Forse sì, ma sicuramente l’industria di questo settore sta lavorando per cambiare le produzioni, ma anche la mentalità che fino ad adesso ha dominato il mercato. Come mai? Le grandi firme si sono rese conto che è fondamentale collaborare per la salvezza del Pianeta. Borse di pelle, scarpe pitonate tempestate di cristalli preziosi, imballaggi a più non posso per confezionare abiti di sartoria, che probabilmente saranno indossati poche volte.
L’industria della moda (che vale 2,5 migliaia di miliardi di dollari a livello globale) per anni è stata un lusso, non solo perché destinata a una piccola nicchia di persone, ma perché ha rappresentato l’emblema dello spreco. Pur restando un sogno, per molti inarrivabile, quello che deve assolutamente mutare è lo spirito di produzione. È proprio su questa base e nuova consapevolezza è nato il Fashion Pact, lanciato dal presidente francese Emmanuel Macron al G7 2019 di Biarritz.
Il Fashion Pact riunisce una coalizione di aziende globali leader del settore della moda e tessile (ready-to-wear, sport, lifestyle e lusso), oltre ai fornitori e distributori. Tutti si sono impegnati al raggiungimento di una serie di obiettivi condivisi e focalizzati su tre aree principali: arrestare il riscaldamento globale, ripristinare la biodiversità e proteggere gli oceani. Questo accordo internazionale è unico nel suo genere e soprattutto è il primo che ha riunito al momento della firma 32 aziende, che sono diventate poi 60 (provenienti da 14 Paesi) e a un anno dall’accordo ha raccolto la partecipazione di oltre 200 brand e 1/3 dell’industria della moda. Insomma, con questi numeri è impossibile che non si possa fare la differenza.
Le aziende firmatarie hanno definito sette obiettivi concreti, che possono essere – come abbiamo anticipato – ridefiniti in tre aree di intervento fondamentali:
François-Henri Pinault, ceo del gruppo Kering, è stato incaricato di creare il Fashion pact del presidente Macron e ha coinvolto nella prima bozza di contratto ben 32 realtà diverse: Adidas, Burberry, Bestseller, Capri Holdings Limited (Versace, Michael Kors, Jimmy Choo), Chanel, Ermenegildo Zegna, Carrefoyr, Everybody &Everyone, Fashion3, Fung Group, Galeries Lafayette, Gap, Giorgio Armani, H&M Group, Hermes, Inditex, Karl Lagerfeld, Kering, La Redoute, Matchesfashion.com, Moncler, Nike, Nordstrom, Prada Group, Ralph Lauren, Puma, Pvh (Calvin Klein, Tommy Hilfiger), Ruyi, Salvatore Ferragamo, Selfridges Group, Stella McCartney, Tapestry. Oggi i brand sono 60 e la partecipazione italiana è di ben 10 aziende. Oltre a quelle già citate si sono aggiunteHerno, Diesel, Geox, Calzedonia e Bonaveri.
Il messaggio del Fashion Pact è bellissimo e regala molta speranza. Ma prima di farsi contagiare dall'entusiasmo, e magari cercare di acquistare da aziende responsabili, devi sapere (o ricordare) quanto inquina l'industria della moda. Causa:
A questo puoi aggiungere che è responsabile del 24% dell’uso di insetticidi e dell’11% dell’uso di pesticidi. Inoltre, l’85% dei vestiti finisce in discarica e solo 1% viene riciclato o rigenerato. C'è margine di miglioramento.