Mio nonno è stato un calciatore professionista. Giocava come centrocampista nella Biellese, in serie B. Quando ha smesso di giocare, tale era la sua passione per il calcio, che ha fondato un’associazione calcistica, la Libertas. Lo ricordo perchè nei giorni di Pasqua e Pasquetta era tradizione che io e mia sorella con mamma e papà pranzassimo con i nonni e finissimo per trascorrere il pomeriggio sugli spalti di uno stadio ad assistere ad una serie infinita di partite di pulcini, esordienti e juniores.
Piedi da artista, inventiva da grande regista e senso del gol fanno di Rivera uno dei giganti del calcio mondiale
La passione che aveva mio nonno per il calcio era grandissima. Per questo non mi sorprende come un grandissimo calciatore come Gianni Rivera abbia da poco ottenuto il titolo di allenatore professionista di prima categoria, ossia il massimo livello di abilitazione riconosciuta a livello europeo, dopo essere aver frequentato il Master di Coverciano all’età di 76 anni. Con tale titolo, l’ex Golden Boy (o anche “Cosino” come veniva soprannominato per il suo fisico minuto, quando giocava nell’Alessandria) oggi può allenare qualsiasi squadra; in verità Rivera non sembra intenzionato a intraprendere una nuova carriera professionale, ma "tornare sui banchi di scuola" è stato un ulteriore modo per vivere la sua passione per il calcio.
Gianni Rivera ha giocato nell’Alessandria dal ‘56 al ‘60, per poi passare al Milan dove ha militato per diciannove anni con 658 presenze e 164 gol segnati; ne è stato anche il capitano e dopo il ritiro, vicepresidente fino al 1986. Campione di Europa nel 1969 e vicecampione del mondo nel 1970 con la Nazionale ai Mondiali di Messico '70, Gianni Rivera è considerato uno tra i più grandi numero 10 del calcio, tanto che nel 2013 è entrato a far parte della Hall of Fame del calcio italiano e nel 2015 è stato tra i primi cento atleti selezionati dal CONI per la Walk of Fame dello sport italiano.
Nonostante l’incredibile carriera da calciatore, Gianni Rivera ha conservato un’umiltà che lo ha sempre contraddistinto. Merito forse dell’educazione impartitagli dal padre Teresio, ferroviere, e dalla madre Edera che si occupava delle faccende domestiche. O ancora della frequentazione nei primi anni dell’infanzia dell’oratorio Don Bosco dove il futuro campione del mondo imparava a tirare i primi calci al pallone.
Uno dei più grandi assistmen della storia. La sua abilità nel dribbling e nella distribuzione del gioco ha avuto pochi eguali.
O forse una conseguenza dell’epoca in cui Gianni nasceva, in pieno conflitto mondiale, di cui racconta alcuni aneddoti nella sua autobiografia “Gianni Rivera ieri e oggi, autobiografia di un campione”: “Alessandria, che era un importante nodo ferroviario, diventò uno dei bersagli preferiti. Mio padre, che lavorava in ferrovia, appena sentiva la sirena d’allarme si buttava dalla locomotiva su cui stava lavorando e, a rotta di collo, raggiungeva mia madre per correre insieme sulla bicicletta verso il paese, come facevano spesso anche prima del conflitto. Edera era incinta e in uno di quei trasferimenti decisi di venire al mondo!”.
Quello che è certo è che un uomo così, tra macchine sportive, foto su Instagram e ore piccole nei locali notturni delle città, oggi è sempre più difficile da trovare fuori e dentro un campo da calcio.