Il governo continua a finanziare le auto inquinanti, Greenpeace: “È un brutto segnale, come se non ci fosse bisogno di accelerare la transizione energetica”

Abbiamo intervistato Federico Spadini, campaigner trasporti di Greenpeace Italia, per parlare dei nuovi incentivi al settore automotive contenuti nel Decreto Energia e molto criticati dalle associazioni ambientaliste.
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Gianluca Cedolin 21 Maggio 2022

La transizione energetica ed ecologica passa inevitabilmente dalla rivoluzione nei trasporti, pubblici e privati. Le auto con motore termico, a benzina o diesel, devono lasciare il passo a quelle elettriche, e in generale soprattutto nei centri cittadini dobbiamo sostituire l'auto con dei mezzi di trasporto meno impattanti, come la bicicletta, il monopattino elettrico, il trasporto pubblico elettrico o su rotaia, spostandoci a piedi.

Per questo, le associazioni ambientaliste hanno accolto con grande preoccupazione e rabbia la decisione del governo di promuovere degli incentivi a quasi tutti i tipi di auto, anche quelle a benzina o diesel, fino ad almeno il 2030. Ne abbiamo parlato con Federico Spadini, campaigner trasporti di Greenpeace Italia.

In cosa consistono i nuovi incentivi sulle auto?

All'interno del decreto Energia, il governo ha inserito un Dpcm con degli incentivi al settore automotive, che prevedono dei finanziamenti per circa 7-8 miliardi totali da adesso al 2030 (fino a 5mila euro all'acquisto, 650 milioni per ciascuno degli anni 2022, 2023 e 2024 intanto, ndr). Questi riguardano anche le auto più inquinanti, a diesel e benzina, che emettono fino a 135 grammi di CO2 per chilometro.

Ua decisione che lascia molto perplessi.

Sì, tutti i vari gruppi ambientalisti come noi sono stati molto critici, perché si continuano a mettere sul mercato auto con impatti devastanti sull'ambiente e contemporaneamente si rallenta una transizione energetica già molto in ritardo nell'automotive. L'Italia è l'unico paese europeo che continua a favorire l'acquisto di veicoli nella fascia di emissioni tra i 90 e i 135 g di CO2 per chilometro. Questo dà un brutto segnale ai produttori e ai consumatori, li esorta a pensare che non ci sia bisogno di accelerare nella transizione verso l'auto elettrica.

Eppure siamo ancora molto indietro in Italia, giusto?

Qualche giorno fa l'Italia è stata nuovamente sanzionata dall'Europa per l'eccesso di inquinante dovuto al biossido di azoto (NO2), un gas che ha impatto sulla salute delle persone e che per il 50% è prodotto dal tubo di scappamento delle auto.

Federico Spadini, campainger Trasporti di Greenpeace Italia

Quando il ministro Cingolani difende le auto diesel di nuova generazione o dice che le auto elettriche non sono una soluzione ecologica, perché lo fa secondo lei? Per mancanza di informazioni o per difendere il business as usual?

Al di là di grandi annunci all'inizio del mandato (e del cambio di nome), le azioni del ministro sono sempre state interessate a mantenere lo status quo, anche nelle politiche energetiche (come l'investimento sul fossile). Questo credo sia avvenuto per mantenere vivi gli interessi di grandi aziende. Il fatto è che gli interessi delle multinazionali e delle lobby dell'industria fossile sono talmente dentro la politica da essere complicate da sradicare. I governi in Italia hanno sempre preso delle decisioni a breve termine, scaricando le responsabilità sui successori e rimandando il problema quando invece bisognerebbe affrontare le radici, anche perché in futuro la questione diventerà sempre più grossa e insostenibile, se non interveniamo prima.

Quali sono i prossimi passi che, secondo Greenpeace, l'Italia dovrebbe fare per raggiungere una maggior sostenibilità nella mobilità e nell'automotive?

Innanzitutto rivedere questi incentivi e promuovere solo la mobilità elettrica o a basse emissioni. Bisogna impegnarsi per una data di phase out dei motori endotermici ben prima del 2035 (data richiesta dalla Commissione europea): Greenpeace chiede entro il 2028, altre associazioni al massimo per il 2030. Transizione però non vuol dire solo auto elettriche, ma investire in modelli che ci permettano di essere meno dipendenti dall'auto. L'Italia ha un tasso molto alto di rapporto tra auto e numero abitanti (64 auto ogni 100, dato secondo solo a quello di Lussemburgo in Europa). Dobbiamo togliere le auto dalle nostre strade e favorire, soprattutto a livello urbano, altre forme di mobilità: la micromobilità, il trasporto pubblico, i servizi di sharing, il trasporto su rotaia per collegare le città, utilizzando le linee abbandonate, senza costruire nuove infrastrutture quando possibile.

Cosa blocca ancora la transizione alle auto elettriche e soprattutto alla loro alimentazione con fonti rinnovabili?

Mancano politiche ambiziose e lungimiranti dei governi. Si continuano a dare soldi per le auto a benzina e diesel, quindi il mercato dell'elettrico non avrà mai una spinta decisiva. Di nuovo, sono forti gli interessi delle aziende sostenuti dai governi. Gli studi dimostrano che l'auto elettrica ha un minor impatto sul clima in termini di emissioni già ora rispetto all'auto a motore endotermico, anche in paesi dipendenti dai combustibili fossili per il mix energetico, se consideriamo l'intero ciclo di vita, dalla produzione allo smaltimento. Questo deve essere poi sicuramente associato a un aumento costante delle rinnovabili, con la riduzione del consumo dei combustibili fossili, fino a una neutralità climatica che Greenpeace auspica al 2040.

In che modo la guerra tra Russia e Ucraina ha peggiorato la situazione?

La situazione attuale ha creato scompensi o comunque criticità nel mercato, sono aumentati i prezzi dell'energia, noi stessi consumatori lo abbiamo visto, prezzi alla pompa di benzina. Di sicuro, quello che questa tragica guerra ci dimostra è che la dipendenza dell'Italia e delle nostre società dai combustibili fossili, soprattutto dal petrolio e dal gas, è qualcosa che alimenta la possibilità di guerre, conflitti e instabilità sociale. Un mondo di pace è un mondo fatto di energia verde e rinnovabile.