La carenza di un particolare enzima indurrebbe la Sla: è il primo passo verso una nuova terapia?

Nuove speranze contro la Sla. Secondo i ricercatori dell’Istituto Mario Negri di Milano e della Città della Salute di Torino l’enzima ciclofillina A quando carente nelle cellule provocherebbe l’accumulo anomalo della proteina TPD-43, già coinvolta nell’insorgenza della malattia neurodegenerativa, e sintomi ad essa associabili come la progressiva disfunzione motoria, la disinibizione e altre alterazioni del comportamento.
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Kevin Ben Alì Zinati 10 Gennaio 2022
* ultima modifica il 10/01/2022

Una nuova terapia contro la Sla? Al momento non c’è ancora ma probabilmente siamo un passo un po’ più vicini. Tutto grazie alle informazioni ricavate da un enzima chiamato ciclofillina A che, quando carente nelle cellule, indurrebbe la malattia neurodegenerativa.

La Sla è una grave malattia progressivamente invalidante che colpisce e compromette le cellule responsabili della contrazione dei muscoli, i cosiddetti i motoneuroni, impendendo così a chi ne è affetto di muoversi e costringendo alla paralisi i suoi muscoli volontari, perfino quelli respiratori.

La scienza era già giunta alla conclusione che nella maggior parte delle persone colpite da sclerosi laterale amiotrofica aveva un ruolo determinante la TDP-43, una proteina responsabile dei processi cellulari. Se mutata, sarebbe all’origine della Sla.

Ora i risultati dell’ultimo studio pubblicato sulla rivista Brain e condotto dai ricercatori dell'Istituto Mario Negri di Milano e della Città della Salute di Torino puntano i riflettori sulla ciclofillina A (o PPIA).

Questo enzima è decisivo per il corretto funzionamento della proteina TDP-43, tanto che quando i ricercatori l’hanno eliminata dai modelli animali analizzati hanno osservato l'accumulo anomalo della proteina TPD-43 e l’insorgenza di una malattia neurodegenerativa simile alla SLA insieme a sintomi “tipici” come la demenza frontotemporale, cioè una progressiva disfunzione motoria, la disinibizione e altre alterazioni del comportamento.

"Inoltre abbiamo identificato un paziente SLA con una rara mutazione nel gene PPIA che rende la proteina disfunzionale. Questa mutazione, pur non rappresentando una causa comune di SLA, è importante perché ci dà delle indicazioni su quali possano essere i processi cellulari alterati nei pazienti” hanno spiegato i ricercatori.

Questa mutazione e i risultati raccolti con i modelli animali sembrano dunque confermare che nella SLA le funzioni protettive di PPIA sono deficitarie. Secondo gli scienziati questa è la strada da seguire per provare a sviluppare un approccio terapeutico che miri a ripristinare queste funzioni. “Ora dobbiamo tornare in laboratorio e valutare se questa è la strada giusta per fermare l'insorgenza e la progressione della malattia. Se così fosse sarebbe un primo passo importante verso lo sviluppo di una terapia per la Sla”.

Fonte | "Defective cyclophilin A induces TDP-43 proteinopathy: implications for amyotrophic lateral sclerosis and frontotemporal dementia" pubblicata il 31 dicembre 2021 sulla rivista Brain

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