La storia dell’uomo di 62 anni che si è vaccinato 217 volte contro il Covid-19: così è diventato un importante caso studio

Un uomo di 62 anni di origine tedesca ha scelto, per motivi personali, di sottoporsi al vaccino anti-Covid per ben 217 volte. I ricercatori dell’Università di Erlangen-Norimberga hanno indagato gli effetti sul sistema immunitario di un’ipervaccinazione e hanno scoperto non solo che non vi erano stati effetti avversi né segni di infezione da Sars-CoV-2: l’uomo, contro ogni aspettativa, aveva anche livelli di anticorpi addirittura più alti di quelli rilevati in persone con “solo” tre dosi.
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Kevin Ben Alì Zinati 6 Marzo 2024
* ultima modifica il 06/03/2024

Duecentodiciassette. Tante sono le volte in cui un uomo di 62 anni di origini tedesche si è sottoposto alla vaccinazione contro il Covid-19.

Oltre 200 iniezioni nell’arco di 29 mesi fatte di propria spontanea volontà che, secondo quanto confermato e certificato da uno studio pubblicato su Lancet Infectious Diseases non hanno avuto alcun effetto negativo.

Nessuna reazione avversa, nessun effetto collaterale indesiderato grave o poco piacevole e soprattutto nessun segno di infezione da parte di Sars-CoV-2.

L’uomo, originario di Magdeburgo, in Germania e per ora rimasto anonimo, ha attirato l’attenzione dei media locali e internazionali fino ad arrivare alle orecchie di un gruppo di ricercatori dell’Università di Erlangen-Norimberga che hanno così deciso di indagare.

A incuriosire non erano tanto le ragioni di questa scelta, per ora limitate a «motivi di natura personale», quanto piuttosto il modo in cui l’organismo dell’uomo avrebbe potuto rispondere a un’ipervaccinazione.

In questi anni ormai avrai imparato che un vaccino può contenere al suo interno parti dell’agente patogeno contro cui ci si vuole immunizzare oppure anche una sorta di manuale di istruzioni per insegnare alle cellule a produrre esse stesse questi componenti patogeni e allenare il sistema immunitario a riconoscerlo e respingerlo.

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Il dubbio degli scienziati era che una volta esposto a una moltitudine di antigeni, il sistema immunitario potesse “abituarsi” e quindi diventare meno efficace nella produzione di anticorpi.

Una sovra esposizione, costante e massiccia, a uno specifico antigene può in effetti portare alcuni tipi di cellule immunitarie, in particolare le cellule T, a un maggior affaticamento e dunque a un indebolimento della propria azione difensiva contro gli agenti patogeni. Succede per esempio nel caso di alcune malattie come l’infezione da HIV o l’epatite B.

Le 217 dosi di vaccino a cui si era sottoposto l’uomo rappresentavano dunque un ottimo caso studio.

Il gruppo di ricerca ha quindi analizzato i suoi esami del sangue effettuati prima dell’ipervaccinazione e confrontandoli con quelli del periodo successivo ha scoperto che non c’erano effetti collaterali evidenti. Sintomo, insomma, che i farmaci erano sicuri.

A sorprendere, però, è stato anche osservare l’opposto di quanto si pensava. Il suo sistema immunitario, cioè, era perfettamente funzionante e al suo interno vi era un gran numero di cellule T mirate contro Sars-CoV-2.

I livelli di anticorpi insomma erano decisamente alti, più alti di quelli rilevati in persone che avevano ricevuto solo tre dosi di vaccino.

“L'osservazione che nonostante questa straordinaria ipervaccinazione non si sono verificati effetti collaterali evidenti indica che i farmaci hanno un buon grado di tollerabilità hanno spiegato ricercatori.

In ogni caso, la parola d’ordine di questa storia resta «caso studio». Gli scienziati infatti hanno specificato che questo singolo caso non è sufficiente per trarre conclusioni di larga portata o nuove raccomandazioni per il pubblico.

“La ricerca attuale indica che una vaccinazione a tre dosi, abbinata a regolari vaccini aggiuntivi per i gruppi vulnerabili, rimane l’approccio preferito. Non vi è alcuna indicazione che siano necessari più vaccini” hanno, dunque, raccomandato.

Fonte | "Adaptive immune responses are larger and functionally preserved in a hypervaccinated individual" pubblicata il 4 marzo 2024 sulla rivista Lancet Infectious Diseases

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