“La violenza economica si combatte con l’alfabetizzazione finanziaria”: intervista a Giulia Fidilio, docente di Finanza Comportamentale

Come riconoscere i campanelli d’allarme di un fenomeno di cui si parla ancora poco, ma che viene definito come “violenza economica”. Ne abbiamo parlato con Giulia Fidilio, docente di Finanza Comportamentale.
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Rubrica a cura di Gaia Cortese
1 Marzo 2022

Solo il 36% delle donne che si rivolge in un centro antiviolenza può contare su un reddito sicuro. E del restante 64% circa la metà delle donne è a reddito zero. Una condizione che porta inevitabilmente ad una forma di violenza di cui si parla poco, ma che non è meno grave di una violenza fisica o psicologica.

La cosiddetta “violenza economica” è una violenza riconosciuta e ratificata nella Convenzione di Istanbul del 2011 all’articolo 3: “L’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o 
precedenti coniugi o partner.”

Ne abbiamo parlato con Giulia Fidilio, docente di Finanza Comportamentale e ideatrice del percorso di consapevolezza finanziaria Mind Your Money.

Giulia come è nato il tuo interesse per la finanza comportamentale?

In realtà ogni nostra decisione trasuda delle considerazioni di carattere economico: dall'auto che scegli di comprare, da dove vivi, dalla scelta di fare una separazione o una comunione dei beni, dalla scuola frequentata. Ogni decisione di tipo economico ha delle ripercussioni che hanno effetto nel tempo: il mio intento è quello di renderne più persone possibili consapevoli. Si pensa spesso che per stare bene economicamente si debba sperare in un colpo di fortuna come una vincita improvvisa o un ‘eredità inaspettata, quando invece basterebbe imparare a gestire le proprie risorse.

Ecco mi ha sempre affascinato questo modo di vedere le cose. In realtà, questa incapacità di gestire il denaro è spesso segnale di un disagio più profondo come chi mangia o beve troppo; allo stesso modo c'è chi spende in maniera eccessiva, quasi maniacale, o che appena mette dei soldi in tasca, se ne libera subito perché pensa di non meritarseli o perché non è in grado di dare un prezzo ai propri servizi. Esiste una correlazione tra scelte economiche e la testa, da qui nasce la finanza comportamentale.

Cosa si intende per violenza economica?

Tutto quello che comporta controllo si può classificare come violenza. Si parla di violenza economica ogni volta che vengono adottate condotte atte a ostacolare un’indipendenza economica del partner, ad assumere una posizione di controllo e a provocare nell’altro soggezione e dipendenza. Si tratta di una violenza ancora più subdola rispetto alle altre, che ha tutte le caratteristiche di una violenza psicologica che non lascia segni fisici, ma si nasconde dietro forme di controllo e di ricatto emotivo. Per questo motivo, spesso non se ne ha una chiara consapevolezza, pertanto può essere ancora più pericolosa.

Come la si riconosce? Quali sono i campanelli d’allarme?

Vengono identificati sei campanelli d’allarme. Il primo segnale è un partner che non vuole che lavori, subito seguito dal secondo campanello d'allarme dove il partner adotta delle condotte per sabotare sistematicamente il tuo lavoro, eventuali opportunità di impiego o di avanzamento di carriera, ma anche attività di volontariato perché comunque sono attività che danno prestigio.

Il 34% delle donne accolte nelle strutture antiviolenza denuncia episodi di violenza economica.

Un terzo campanello di allarme si verifica quando il partner controlla in maniera ossessiva le tue spese o ti chiede di renderne conto. Il quarto segnale si evidenzia quando il partner dispone dei tuoi soldi senza permesso o senza rendertene conto: ci sono molte donne che ricevono il proprio stipendio sul conto del marito o addirittura del padre perché magari vivono tutti insieme; o ancora, c’è anche un’alta percentuale di donne che non ha un proprio conto corrente o un’assicurazione dell’auto.

Il quinto campanello d’allarme si verifica quando il partner ti tiene all’oscuro della reale situazione economica in famiglia, non si sa, per esempio, quanto guadagna, quanti soldi cono sono sul conto in banca. Sesto e ultimo campanello d’allarme si evidenzia quando il partner ti obbliga a firmare inconsapevolmente documenti finanziari per ottenere prestiti e fidejussioni, senza dubbio un'azione rischiosa a maggior ragione se poi la relazione va a finire male.

Si può considerare la violenza economica trasversale, ossia ormai diffusa in tutti i ceti sociali?

Sì, assolutamente. Una delle cose che emerge nei centri antiviolenza, infatti, è che le donne che ci arrivano appartengono a tutti i livelli sociali: c’è la donna laureata, la casalinga, l’imprenditrice, è veramente un fenomeno esteso a tutti i ceti.

Quanto si è iniziato ad avere veramente consapevolezza del problema della violenza economica?

Da poco tempo. Questo tipo di violenza è annoverata tra le forme di violenza citate dalla Convenzione di Istanbul, firmata nel 2011, anche se è stata riconosciuta più tardi. Basti pensare che non esistono dati disponibili su questa forma di violenza, fatta eccezione per quelli raccolti dai centri antiviolenza che parlano di almeno un 34% di casi di donne che subiscono violenza economica.

L’interesse verso questa forma di violenza è nato da poco tempo e, se non ci sono statistiche, è perché spesso le donne non si rendono conto di essere vittime di questa violenza, finché non esplode qualcosa. Ti faccio un esempio. Penso a una donna che ha sempre lavorato nel negozio con il proprio compagno o marito e che solo nel momento in cui se ne separa, comprende l’entità e gravità di quello che stava subendo: nessuna entrata fissa, nessuna busta paga.

Trovarsi in questa situazione è più facile di quello che si creda, ma sarebbe opportuno capire che soldi e amore non c’entrano l’uno con l’altro e che chiunque ha il diritto di raggiungere una soddisfazione personale e soprattutto una dipendenza economica. Non rinunciare al proprio conto corrente è la prima regola da seguire. Insomma, bisognerebbe sempre comportarsi come se potesse andare male anche quando va bene. perché dopo l’aggravante della relazione che finisce, dove non ci sono più i presupposti per una comunicazione proficua, le conseguenze si riversano immediatamente sulle condizioni economiche.

Dipendenza affettiva e violenza economica possono dirsi strettamente collegate?

Assolutamente sì, vanno a braccetto. È un po’ come la questione irrisolta se sia nato prima l’uovo o la gallina: dipendenza affettiva e violenza economica sono fortemente correlate perché una sfocia nell’altra, e viceversa.

Come è possibile fare prevenzione per arginare il problema della violenza economica sulle donne?

Come sempre lo strumento è la prevenzione, e si sa, prevenire è meglio che curare. Sarebbe necessaria una maggiore alfabetizzazione finanziaria a partire dalle scuole, attraverso corsi di educazione finanziaria ad hoc, in cui si parli di parità di genere.

Nell’ambito di un progetto pilota in un liceo, ho potuto notare che i ragazzi sono molto avanti sul tema della parità di genere, stanno cominciando a staccarsi da questi modelli di società anacronistici di patriarcato perché sono cresciuti con madri che lavorano, quando un tempo, invece, non era così. Ecco, sarebbe opportuno cavalcare questa onda. Non solo. Le donne dovrebbero anche ricordarsi che la donna è in genere più cauta in quello che fa rispetto a un uomo, atteggiamento confermato dalle rilevazioni di Consob che vedono le donne indebitarsi meno degli uomini e rispettare meglio il budget.

Se poi fino a poco tempo fa le donne non presentavano grande interesse per le questioni finanziarie, oggi vedo un’inversione di tendenza, c’è una maggiore consapevolezza e l’occasione di parlare di denaro apertamente, senza più tabù.

Come si esce da una condizione di violenza economica?

Il primo passo da fare è rivolgersi a un centro antiviolenza, senza cadere nell'errore di minimizzare troppo il problema. In Italia ce ne sono oltre trecento, a cui si aggiungono numerosi centri per l’orientamento al lavoro, centri per il sostegno psicologico e case di accoglienza. Certamente poi dipende da quali sono le circostanze. Il secondo passo da fare è trovarsi un lavoro prima possibile perché in Italia una mossa del genere viene ben vista anche in sede di tribunale.

Le persone disposte ad aiutare una persona in difficoltà che subisce violenza economica non mancano. La cosa importante da dire è che chiunque si trovi in difficoltà economica non si deve colpevolizzare, quando invece la cosa più difficile da superare è proprio la vergogna.

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