L’Alzheimer c’è ma non si vede: merito delle attività che stimolano il cervello e ti aiutano a contrastare la demenza

Un gruppo di ricercatori del Mit ha scoperto che attività intellettualmente stimolanti come leggere, parlare più lingue o fare cruciverba potenzia una particolare classe di geni che portano allo sviluppo della cosiddetta resilienza cognitiva: ovvero la capacità del cervello di adattarsi a condizioni difficili come l’Alzheimer e controbilanciare i suoi effetti negativi.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Kevin Ben Alì Zinati 11 Novembre 2021
* ultima modifica il 11/11/2021

Leggere, studiare e impegnarsi in attività intellettualmente stimolanti fa bene al tuo cervello: letteralmente.

Tenere la mente attiva ti proteggerebbe dal declino causato da malattie neurodegenerative perché favorirebbe lo sviluppo della cosiddetta resilienza cognitiva. Ovvero la capacità di adattarsi a condizioni dannose e reagire nel migliore dei modi.

Ciò che avrebbe dimostrato un gruppo di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology, in sostanza, è che persone con un buon livello di istruzione, un lavoro mentalmente intenso o la capacità di parlare più lingue e affette dalla malattia di Alzheimer porterebbero i segni della malattia nel cervello senza però subire le conseguenze più pesanti della demenza.

La malattia ci sarebbe quindi, ma non si vedrebbe.

Secondo gli scienziati, quello che definiscono “arricchimento” attiverebbe una particolare famiglia di geni, detti MEF2, che promuoverebbero la resistenza al declino cognitivo.

Il gruppo del Mit ha voluto indagare il rapporto tra il livello di istruzione, il tipo di lavoro, il numero di lingue parlate e la quantità di tempo trascorso a leggere o fare cruciverba e livelli più elevati di resilienza cognitiva perché da tempo la scienza aveva sottolineato l’importanza dell’ambiente esterno nell’evoluzione di patologie come l’Alzheimer.

Per capire come questi fattori influenzino l’attività dei neuroni hanno analizzato in parallelo i cervelli di esseri umani e topi. Entrambe le indagini li hanno portati a porre l’attenzione sui geni MEF2.

Si tratta di fattori di trascrizione che originariamente erano risultati decisivi per lo sviluppo del muscolo cardiaco e che solo recentemente sono stati collegati ai neuroni e al neurosviluppo.

Sia due set di dati umani su oltre 1000 persone sia l’esperimento eseguito sui topi, basato sul confronto tra un gruppo allevato in gabbie senza giocattoli e uno allevato in un ambiente più stimolante con una ruota da corsa e giocattoli, hanno confermato che la maggior espressione dei geni MEF2 era correlata a una migliore resilienza cognitiva.

Nonostante ci siano ancora diversi aspetti da approfondire, i ricercatori sono convinti che potenziare l'attività dei geni MEF2 potrebbe aiutare a proteggere dalla demenza.

Significa dunque che la miglior forma di prevenzione, quindi, è tenere la mente attiva e allenata.

Fonte | Massachusetts Institute of Technology

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.