L’ecografia in medicina interna: come funziona e a cosa serve questo esame piuttosto comune

L’ecografia (o ecotomografia o ultrasonografia) è uno degli esami più prescritti dai medici di famiglia e dagli specialisti. Grazie alle sue caratteristiche, questa metodica trova importanti applicazioni in svariati ambiti della medicina e rappresenta spesso il punto di partenza dell’iter diagnostico. In questo articolo offro un’introduzione generale alla metodica ecografica, soffermandomi in particolare sui vantaggi e sui limiti di questo esame.
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Dott. Maurizio Cè Medico chirurgo
16 Maggio 2020 * ultima modifica il 16/09/2020

L’ecografia è un esame strumentale di diagnostica per immagini, ovvero un esame che ci aiuta a fare diagnosi attraverso delle rappresentazioni visive del nostro corpo o di parti di esso. Altri esempi sono la radiografia, la tomografia computerizzata (la cosiddetta tac) e la risonanza magnetica. Prima di proseguire, una precisazione lessicale: l’ecografia è la tecnica, l’ecografo è la macchina, l’ecografista è l’operatore (generalmente un medico, in alcuni contesti un infermiere).

Come funziona

Il funzionamento dell’ecografia si basa sul fenomeno della trasmissione di ultrasuoni e della ricezione di eco. In linea di principio, il meccanismo è piuttosto semplice: esiste un dispositivo, collocato all’interno della sonda (cioè la parte che l’operatore fa scorrere sul corpo del paziente), che emette un fascio di ultrasuoni. Gli ultrasuoni attraversano il corpo del paziente e, a seconda delle caratteristiche dei tessuti che attraversano, rimbalzano verso la sonda (ovvero producono un eco). Sempre all’interno della sonda, esiste un secondo dispositivo, il quale funge da recettore per l’eco di ritorno. Un sistema di elaborazione traduce le informazioni, codificate nell’eco di ritorno, in una rappresentazione virtuale, in bianco e nero e in due dimensioni, della “fetta” di tessuto attraversata.

I vantaggi

Innanzitutto, a differenza delle radiazioni ionizzanti (quelle che si utilizzano, per esempio, nella classica radiografia o nella tac), gli ultrasuoni non interferiscono con gli atomi e le molecole all’interno delle nostre cellule. Per questo motivo è considerato un esame sicuro e ripetibile anche a distanza di breve tempo. L’ecografia si è affermata come l’esame “principe” durante il periodo di gravidanza, grazie al quale si può monitorare la crescita del feto e studiarne l’anatomia, alla ricerca di eventuali malformazioni.

Un secondo, grande vantaggio è rappresentato dalla sua disponibilità. I progressi tecnologici hanno permesso di miniaturizzare i dispositivi (oggi esistono ecografi delle dimensioni di uno smartphone) e di ridurne i costi (soprattutto se comparati con quelli di macchine più complesse, come la risonanza magnetica). Questi fattori hanno reso l’ecografia un esame ampiamente disponibile a un costo accessibile.

Un terzo vantaggio è che l’ecografo è sempre pronto, basta accenderlo e trovare un ecografista. Altre metodiche, come la tac o risonanza magnetica, necessitano di macchinari enormi, spazi debitamente attrezzati, personale dedicato e una fase complessa di impostazione dell’apparecchio (nel caso della risonanza, una vera missione spaziale).

Tutti questi vantaggi rendono l’ecografia un supporto prezioso – quando non essenziale – in alcuni contesti, per esempio quello della medicina d’urgenza, in cui è necessario prendere decisioni rapide e in sicurezza, discriminando tra condizioni cliniche che mettono a rischio la vita (life-threatening), senza che questo comporti il trasferimento del paziente in una stanza dedicata e l’interruzione delle altre attività di supporto.

I limiti

Al primo, formidabile vantaggio, corrispondono però una serie di limitazioni. Alcune sostanze (per esempio, i liquidi, come il sangue o l’urina), si lasciano attraversare agevolmente dagli ultrasuoni mentre altre oppongono resistenza (per esempio l’osso o l’aria). Nell’esempio che seguirà, farò riferimento alla presenza di ostacoli alla nostra esplorazione (le recinzioni); ebbene, anche durante l’esame ecografico, ogni tanto si incontrano degli ostacoli (per esempio, le costole), e bisogna cercare di aggirarli. A questo proposito, il gel che gli operatori utilizzano durante l’esame, svolge due importanti funzioni: la prima, più intuitiva, è di agevolare lo scorrimento della sonda, la seconda è proprio di favorire la penetrazione del fascio di ultrasuoni nei tessuti sottostanti.

L'interpretazione dei risultati

Oltre alla sicurezza, alla disponibilità e all’estrema versatilità, un’ulteriore caratteristica che contraddistingue la metodica ecografica è il suo essere operatore-dipendente. Dal punto di vista dell’operatore, questo aspetto rappresenta sicuramente il lato più affascinante della metodica. A questo proposito, un mio caro collega è solito definire l’ecografia come l’ “arte di interpretazione delle luci e delle ombre”. La trovo una definizione suggestiva e appropriata. Come in ogni interpretazione infatti, è prima di tutto necessario conoscere la sintassi e la semantica del linguaggio. Per esempio, bisogna sapere che a un’immagine nera corrisponde un contenuto liquido (la semantica ecografica), ed essere in grado di collocare questo elemento nel suo contesto clinico e in relazione agli altri reperti (la sintassi ecografica). Ma non è sufficiente, come è noto a chi si occupa di ermeneutica, l’attività dell’interpretazione può portare a gravi fraintendimenti quando è condotta in modo letterale: il buon interprete non è chi si limita a tradurre letteralmente i termini, ma chi è in grado di restituire al discorso originale la sua ricchezza. D’altra parte, in quanto arte, l’ecografia ha in sé una componente tecnico-procedurale che contempla elementi di sensibilità e stile propri dell’esecutore.

Le differenze con gli altri esami diagnostici

Per chiarire meglio il significato di queste riflessioni in ambito ecografico è necessario precisare ulteriormente la differenza fondamentale tra l’ecografia e gli altri esami di II livello. L’ecografia è un esame scopico (dal greco σχοπεο,che significa “osservare attentamente”). Se è vero che tutti gli esami che si avvalgono di immagini sono in qualche modo esami basati sull’osservazione, l’ecografia lo è in un modo molto particolare. Illustrerò questo concetto partendo da un controesempio. Si consideri la Tomografia Computerizzata (la cosiddetta “TAC”). Per condurre questo esame, dopo aver fatto accomodare il paziente sul lettino e aver impostato la macchina, l’operatore attiva la procedura di acquisizione dei dati, che nella maggior parte dei casi dura una manciata di secondi. A quel punto, una rappresentazione virtuale e tridimensionale del corpo del paziente viene salvata e resa disponibile per la fase della refertazione, che può avvenire anche da remoto e a distanza di tempo. Il punto fondamentale, in questo tipo di esame, è che le fasi di esecuzione e interpretazione avvengono separatamente.

L’ecografia, al contrario, si caratterizza in quanto la fase di acquisizione dei dati e la loro interpretazione avvengono simultaneamente. L’ecografo non ha la possibilità di raccogliere una rappresentazione globale del distretto di interesse (per esempio, l’addome superiore), questo perché il fascio di ultrasuoni è bi-dimensionale e attraversa, istante per istante, solo quella “fetta di tessuto” in cui l’operatore lo indirizza.

Come si fa un'ecografia

Normalmente, noi ecografisti siamo soliti iniziare l’esame con alcune finestre standard, ovvero con una serie di posizioni in cui la sonda esplora una sezione particolarmente significativa del corpo. Scorrendo e inclinando la sonda, siamo chiamati ad interpretare in tempo reale lo scenario che appare sullo schermo, rispetto al quale siamo allo stesso tempo spettatori e registi poiché attraverso il controllo della sonda, possiamo indirizzare il fascio di ultrasuoni la dove si rivolge la nostra attenzione, al fine di caratterizzare un determinato reperto (posizione, dimensioni, ecc.). Nell’atto ecografico, cervello e mano, interpretazione e azione, sono intimamente collegati. Quando un reperto cattura la nostra attenzione, mettiamo in atto una serie di accorgimenti per caratterizzarlo meglio. Alcuni di questi accorgimenti dipendono direttamente dall’operatore (le impostazioni della macchina, la manualità nell’utilizzo della sonda), altri possono richiedere la collaborazione del paziente (per esempio, attraverso dei respiri profondi).

Un esempio

Per chiarire meglio quanto detto finora, consideriamo la seguente situazione simulata. Immaginate di voler studiare la topografia di un terreno di notte. Questo terreno comprende diversi elementi (le case, gli alberi, gli animali) che non sono accessibili alla vostra vista, così come non lo sono gli organi all’interno del corpo. Il vostro obiettivo è ricostruire la topografia del territorio, collocare i vari elementi nello spazio e descriverne le caratteristiche. In questa simulazione, le case e gli elementi naturali rappresentano gli organi interni (il fegato, i reni e così via), mentre gli animali rappresentano gli elementi mobili (per esempio, i calcoli).

Ora, per raggiungere il vostro scopo, avete due possibilità: la prima è utilizzare un satellite dotato di speciali filtri per la visione notturna. Questa opzione, chiamiamola opzione A, corrisponde ad un esame di II livello, per esempio la Risonanza Magnetica. Se optate per questa scelta, dovete sapere che la maggior parte delle vostre risorse saranno dedicate ad organizzare e finanziare la missione. Poi, una volta acquisite le immagini, potrete sedervi davanti al PC con una bella tazza di tè e analizzare i dati che avete raccolto. I limiti di questo approccio sono di due tipi:

  1. la scarsità di risorse (i satelliti costano cari e una missione spaziale non può essere gestita da una persona sola)
  2. il tempo: non si può organizzare una missione spaziale ogni qual volta vogliamo sapere se le galline sono scappate dal pollaio (tradotto:se i calcoli sono scesi nelle vie urinarie)

L’alternativa (opzione B) è armarsi di pazienza e di una torcia (la nostra sonda ecografica), e iniziare a pattugliare a piedi il terreno. In questo caso il buon esito della missione dipenderà dalla vostra capacità di costruirvi una mappa mentale dell’ambiente in cui vi muovete, stando attenti ad evitare gli ostacoli, per esempio le recinzioni (le ossa), che possono interferire con il successo della vostra esplorazione. Non solo, dal momento che il vostro fascio di luce è relativamente limitato, dovrete cercare di ricostruire la morfologia tridimensionale degli edifici (del fegato), esplorandone un pezzo alla volta. Quanto agli elementi mobili, è verosimile che non vi possa sfuggire un rinoceronte immobile nel bel mezzo di un prato (un grosso calcolo in mezzo al rene), ma difficilmente riuscirete ad individuare un furtivo uccello notturno appollaiato da qualche parte tra le fronde di un albero. Per concludere, consapevoli del fatto che non potrà mai essere accurata come un’immagine satellitare, i vantaggi di questa seconda opzione sono:

  1. il risparmio economico (le torce costano relativamente meno dei satelliti!)
  2. la versatilità e la ripetibilità, ovvero potrete rifare l’esplorazione in qualsiasi momento, poiché non necessitate di una grande struttura di supporto

In conclusione, la qualità di un esame ecografico è influenzata da molti fattori. Del ruolo dell’operatore abbiamo già discusso estesamente nei paragrafi precedenti. Esistono poi numerosi fattori operatore-indipendenti. Innanzitutto – banalmente – per un esame di qualità occorre un ecografo di qualità. Altri aspetti, come la presenza di meteorismo intestinale o una conformazione fisica sfavorevole, possono agire come fattori confondenti o limitanti, al punto da interferire con la qualità dell’esame. Uno dei prossimi articoli sarà dedicato all’importanza della preparazione del paziente all’esame ecografico.

Laureato con Lode in medicina e chirurgia all’Università degli Studi di Milano con una tesi sull’organizzazione anatomo-funzionale del linguaggio umano, ha altro…
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