L’orto che fa la differenza dove non si dà peso alle differenze

In provincia di Bergamo a Fara Gera d’Adda, c’è un orto speciale dove le persone con disabilità coltivano una passione e imparano un lavoro. Si chiama “L’orto che fa la differenza” e, paradossalmente, non “vede” le differenze tra le persone, ma solo le potenzialità.
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Gaia Cortese 22 Luglio 2022

"In un orto ogni ortaggio è unico e irripetibile, proprio come lo è ogni individuo". Sulla base di questo pensiero Mattia, Amanda e Filippo portano avanti l'attività de L'Orto che fa la differenza, un'azienda agricola che non si occupa solo di coltivare la terra con tecniche non invasive, ma che rivolge la proprio attenzione anche a tutte quelle persone con disabilità psicofisiche considerate "non adatte" a lavorare la terra.

L’orto che fa la differenza nasce nel 2017 appoggiandosi a un progetto molto particolare nato da più realtà interconnesse. C’è il Centro artistico Poliedro che mette al centro la persona in tutta la sua unicità. C’è la realtà di 1000 note per educare che offre percorsi artistici, educativi e riabilitativi; e poi c’è l’associazione Al di là del mio naso c’è… che dà spazio alla persona valorizzandola in tutte le sue differenze. Obiettivo comune è non dare peso alle differenze, perché forse non ce ne sono così tante.

Abbiamo incontrato Mattia, uno dei tre responsabili de L'Orto che fa la differenza, per capire meglio cosa succede in questo luogo in mezzo alla natura e a tanti progetti virtuosi.

Come è nato L'orto che fa la differenza?

L’obiettivo de L’orto che fa la differenza è quello di dare spazio e offrire una formazione lavorativa a quelle persone che sono dichiarate inabili per le loro difficoltà psicofisiche. Perché quando il percorso scolastico arriva a un termine, c’è il buio. Sono tante le aziende che non prendono neppure in considerazione queste persone a causa delle difficoltà psicofisiche che le accompagnano, ma la nostra azienda agricola è diversa e ha l'obiettivo di dare valore a ciascuna persona.

E in che modo fate la differenza?

Nell’orto lavora una squadra di almeno quattordici ragazzi di età compresa tra i 20 e i 30 anni. Vengono da noi e imparano un mestiere. Lavorano la terra, si occupano della raccolta delle erbe aromatiche o della differenziazione dei prodotti. Dal momento che con la pandemia molte persone hanno iniziato a fare l’orto in casa, noi cerchiamo di fare la differenza anche trapiantando e producendo ciò che le persone non riescono a produrre in casa.

La nostra lavorazione è manuale quasi al 100 per cento e, a livello di sostenibilità, siamo quasi a impatto zero, abbiamo un piccolo trattore, ma lo usiamo pochissimo.

Che riscontro avete avuto dalle persone?

All’inizio non è stato facile, ma ora abbiamo un po’ più di visibilità, soprattutto nella fascia di età dai 45 anni in su. Mancano all’appello i giovani. Qualcuno è più sensibile al tema e quindi acquista da noi prodotti a km zero (qui la raccolta di frutta e verdura avviene nel momento stesso in cui viene richiesta dal cliente), ma secondo me secondo me questa fascia manca perché i più giovani non hanno ancora una dimora fissa o perché, lavorando in smart working, preferiscono acquistare cibi d’asporto perché più comodo. A breve comunque diventeremo portatori anche di questo messaggio legato alla sostenibilità ambientale perché diventeremo a pieno titolo una fattoria didattica.

Come collaborano le persone considerate "inabili"?

Fanno esattamente quello che facciamo noi. Si occupano di trapiantare, di zappare la terra, di essiccare le erbe aromatiche, di raccogliere i pomodori per trasformarli in passata nel nostro laboratorio. Tutte queste persone, se ci lavori insieme, ti sorprendono davvero. Perché hanno abilità che non pensavi che avessero tutti, perché standoci vicino le scopri ogni giorno. E qui tutti ci mettiamo in gioco. Abbiamo avuto ragazzi che con noi hanno fatto un percorso davvero bello e quindi potrebbero essere anche assunti dall'azienda.

Quali benefici può dare il lavoro in un orto?

Conoscere la terra e capire cosa può darci è una vera soddisfazione, ma è soprattutto il contatto con la natura che fa stare bene, con sé stessi e con gli altri. Lo dimostra il fatto che da noi vengono molte persone, anche solo per collaborare qualche ora. C'è chi viene solo al mattino oppure solo nel fine settimana, e se lo fa è perché in questo modo ci si sente utili, parte di qualcosa e, ancora una volta, stare in mezzo alla natura fa stare bene.