Nascere nel lato giusto del mondo. La storia che stai per leggere porta inevitabilmente a considerare quanto le cose possano cambiare se si nasce in Europa o in Africa, in Canada piuttosto che in Sudamerica.
Luca Falcon, classe 1989, ha una grandissima passione per la moto. Nell’agosto del 2016 un incidente stradale gli ha stravolto la vita: dopo esser stato investito mentre guidava la sua moto, Luca ha combattuto per diversi giorni tra la vita e la morte. Negli ultimi quattro anni si è sottoposto a oltre 41 interventi, che tuttavia non sono riusciti a evitargli l’amputazione della gamba sinistra nel 2019,
In realtà non molto, un paio di mesi circa. Il tempo di prendere le misure e di aspettare che la ferita guarisse completamente. Due mesi sono pochi, ma vissuti abbastanza male perché arrivavo da un lungo periodo in cui sono stato costretto a rimanere a letto, e ritrovarmici, in attesa della protesi, non è stato per niente facile.
Quando mi sono risvegliato, ero in terapia intensiva. Le previsioni non erano rosee, così mi sono fatto un esame di coscienza: nella mia vita prima dell’incidente lavoravo, amavo andare in montagna e viaggiare in moto. La possibilità di continuare ad andare in montagna non la vedevo molto fattibile, arrampicare o fare trekking con una protesi alla gamba è piuttosto complicato. Alzarmi ogni giorno solo per andare a lavorare, non ne vedevo il senso. L’unica possibilità era quella di rimontare in sella. L’obiettivo era tornare in moto, e da lì ho ritrovato la forza per reagire nel modo giusto. Per me tornare in moto, è stato uno stimolo.
Trascorso poco più di un anno dall’incidente, ho acquistato una vecchia BMW GS 650 e me la sono fatta mettere in garage. Ho passato sei, otto mesi a rimetterla in sesto, l’ho smontata tutta, l’ho restaurata. Le mie giornate erano fatte di fisioterapia e moto da restaurare. La moto mi ha salvato la vita. Non c’era solo la voglia di tornare in moto, ma anche lo stimolo per alzarmi ogni giorno per sistemarla.
Siccome avevo il piede sinistro bloccato, ho modificato leggermente il cambio, per poter cambiare le marce con il ginocchio. A quel punto ho fatto un primo viaggio in Corsica (il viaggio che avrei dovuto fare tre giorni dopo l’incidente) con Giulia, che poi sarebbe diventata mia moglie. A quel viaggio ne sono poi seguiti molti altri, perché per me andare in moto significa soprattutto viaggiare.
Non sono tantissimi, e la maggior parte guida in pista. Dipende molto dal livello dell’amputazione perché le modifiche alla moto, per girare in strada, devono essere certificate, mentre per girare in pista non ce n’è bisogno.
Abbiamo voluto aggiungere qualcosa di più profondo a quello che poteva essere un semplice viaggio. L’idea è nata durante il lockdown, mentre Giulia ed io sognavamo già quella che sarebbe stata la prossima meta. Ci siamo resi conto che fare un viaggio fine a se stesso era riduttivo. Volevamo scegliere una meta che avesse un significato, portare un messaggio di speranza a qualcuno.
Non sapevamo bene da dove partire, ma abbiamo provato a cercare una clinica che si occupasse di persone amputate. Abbiamo così trovato Legs4Africa: non solo era una no profit piccola con la mission di riciclare protesi utilizzate e portarle in Africa, ma permetteva anche un contatto diretto, a differenza delle onlus più grandi; oltretutto sul loro sito c’era un vero e proprio appello per ricevere idee e proposte per far partire una raccolta fondi.
Così abbiamo mandato una mail, ma siamo stati almeno una ventina di giorni ad aspettare una risposta; d’altronde anche loro erano in lockdown per la pandemia da Covid-19. Poi un giorno, finalmente è arrivata una mail di risposta e abbiamo creato subito la pagina facebook dedicata alla nostra iniziativa.
Il progetto è quindi quello di raggiungere il Centre National d’Appareillage Orthopedique a Dakar, una meta molto iconica per la testa di un motociclista, non è una zona a rischio di guerra e ci permette di arrivarci con una certa sicurezza.
In Africa la situazione è complicata. In pratica solo una persona su dieci riesce ad ottenere questi dispositivi perché di fondo sono tanti gli incidenti e non ci sono i soldi per fare prevenzione stradale: non c’è il concetto di avere una patente per guidare e il più delle volte chi rimane ferito gravemente, viene amputato e poi sono affari suoi.
Partiremo nel mese di ottobre. In questo momento ci stiamo procurando le autorizzazioni dei vari consolati: il Senegal è ancora chiuso, il Marocco sembra aver aperto, ma non ha trovato ancora accordo con l’Italia. È tutto molto poco chiaro, ma possiamo aspettare, abbiamo tempo. D’altronde la pandemia da Covid-19 deve essere tenuta sotto controllo. Quello che è sicuro è che non esiste che non partiamo, nel peggiore dei casi posticiperemo la partenza.
Non lo so ancora bene. Il viaggio vuole essere dedicato interamente alla raccolta fondi per Legs4Africa che raccoglie protesi usate nei Paesi sviluppati per mandarle in Africa. Vogliamo arrivare a destinazione al Centre National d’Appareillage Orthopedique (CNAO), con cui Legs4Africa collabora per fornire le protesi, con questa sorta di assegno virtuale. In questo modo il viaggio acquisterà un senso ancora più profondo.