La narcolessia è una malattia cronica neurologica caratterizzata da un’eccessiva sonnolenza diurna. In pratica, chi è narcolettico fatica a stare sveglio per troppo tempo durante il giorno, in particolare se in assenza di stimoli forti, come ad esempio a scuola o durante la visione di un film.
La narcolessia colpisce circa 1 persona su 2.000, ovvero circa lo 0,05% della popolazione, con distribuzione simile nei due generi. Quasi sempre si manifesta in adolescenza, ma vi sono anche casi a esordio infantile (2-3 anni) o più tardivo tra i 25 e i 40 anni.
Nel concreto nelle persone narcolettiche viene alterato il normale ritmo tra le due fasi del sonno, ovvero il sonno NREM e il sonno REM, in quanto quest'ultima sopraggiunge prima di quanto dovrebbe essere normale o si manifesta durante il giorno.
La narcolessia non è mortale ma potrebbe esserlo se si è alla guida. Sicuramente è una malattia invalidante che può stravolgere la propria vita quotidiana.
I primi ad analizzare i sintomi tipici della narcolessia furono Yoss e Daly, che nel 1957 definirono i criteri su cui doveva basarsi la diagnosi. Si tratta di quattro sintomi principali che insieme costituiscono la cosiddetta "tetrade della narcolessia" e sono:
Più nel dettaglio la narcolessia può quindi manifestarsi con:
Più in generale, la narcolessia può essere di due tipi: quella di tipo 1 presenta tutti e quattro i sintomi appena descritti, mentre quella di tipo 2 non prevede la cataplessia. Il che non è un aspetto da sottovalutare, dal momento che la cataplessia, colpendo il malato soprattutto in presenza di emozioni forti, lo induce a tenere sempre controllate le proprie reazioni, soprattutto quelle positive come può essere una risata o l’esultanza per una vittoria sportiva.
Immagina di non poter restare perfettamente sveglio e cosciente per più di un paio d’ore. Immagina, dopo questo paio d’ore, di sentire una sensazione di sonno talmente forte da non riuscire a resistere, cadendo addormentato sul tavolo mentre mangi o mentre guidi la tua auto. Immagina di cadere a terra solo perché hai riso o pianto troppo e i tuoi muscoli hanno ceduto alla forte emozione. Ecco, per molte persone questa è la normalità.
Anche se non sono ancora note le cause certe della narcolessia, sappiamo che non si tratta di una malattia genetica. Secondo alcuni dati, potrebbe essere causata da una reazione autoimmune che colpisce e distrugge le cellule nervose in una determinata area del cervello.
Alcuni ricercatori hanno notato l’assenza nell’ipotalamo dei neuroni che producono l’ipocretina (anche chiamata orexina). Si tratta di un neurotrasmettitore coinvolto direttamente nel processo di regolazione dei cicli sonno-veglia. Questi neuroni produttori di ipocretina sono meno presenti nella narcolessia di tipo 1 (quella con cataplessia) e più presenti invece in quella di tipo 2 (dove la cataplessia non è presente).
Secondo uno studio molto recente condotto dall’Istituto di ricerca di Biomedicina di Bellinzona, in collaborazione con il Politecnico di Zurigo e il dipartimento di Neurologia dell’Inselspital di Berna, sembra che nell’organismo dei narcolettici l’ipocretina viene eliminata perché i neuroni che la producono sono attaccati da alcune cellule del sistema immunitario chiamate linfociti T. Pare quindi che, bloccando questi linfociti alle loro prime fasi, si possa preservare l’ipocretina e mantenere intatto l’equilibrio sonno-veglia dell’individuo. Per questo motivo la diagnosi di narcolessia assume un’importanza fondamentale.
Alla luce di queste scoperte, è stata quindi ipotizzata una reazione autoimmune alla base della narcolessia. Questa teoria sembrerebbe confermata dal fatto che in più del 90% dei narcolettici è stata riscontrata la presenza dell'allele HLA DQB1*0602.
Tuttavia, questo allele si trova anche in soggetti sani e non è presente in tutti i pazienti narcolettici, per cui è stato teorizzato che anche altri fattori, ambientali e genetici, predisponenti possano concorrere alla malattia.
La diagnosi della narcolessia si basa sul riconoscimento dei sintomi attraverso test specifici e rappresenta un punto fondamentale per la gestione della narcolessia. Purtroppo, trattandosi di una patologia ancora poco conosciuta, non è facile ricondurre subito i sintomi alla malattia, e quindi spesso la diagnosi tarda ad arrivare. Infatti, in media arriva soltanto dopo circa dieci anni dall’insorgenza dei primi sintomi. Durante tutto quel tempo, i sintomi del narcolettico vengono scambiati per distrazione, sonnolenza, pigrizia, addirittura disturbi psichiatrici.
Se l’anamnesi riconduce al disturbo della narcolessia, il medico potrà indicarti uno specialista che ti sottoporrà a tre esami per accertare il disturbo del sonno:
Attualmente pare che le persone affette da narcolessia siano 2-4 ogni 10.000, e solo in Italia i casi diagnosticati sono 2.500 ma si presume che siano in molti a esserne affetti senza saperlo, almeno 25.000 nel nostro Paese. Questo perché uno dei maggiori problemi della narcolessia è che, non essendo subito riconoscibile, se non viene diagnosticata spesso rimane celata dietro disturbi comportamentali e dell’attenzione, soprattutto nei bambini.
La scala di Epworth – il nome per intero è "Epworth Sleepiness Scale" – è un questionario di autovalutazione che permette di stimare la propensione alla sonnolenza diurna di una persona, o in generale la propensione media al sonno nella vita quotidiana. SI prescrive per avere un ulteriore indizio nella diagnosi di diversi disturbi del sonno, tra cui anche la Sindrome Ostruttiva delle Apnee del Sonno (OSAS).
Alla persona che si sottopone al test viene chiesto di stimare la probabilità di addormentarsi in otto diverse situazioni di vita quotidiana esprimendo un valore in una scala da 0 (bassa) a 3 (alta).
Il punteggio finale, calcolato come la somma dei valori delle 8 risposte, può assumere un valore da 0 a 24.
In genere per punteggi superiori a 11 si consiglia di rivolgersi ad un medico specialista per approfondire la situazione e procedere eventualmente ad effettuare ulteriori test quali la polisonnografia.
Ad oggi non esiste una cura per la narcolessia. Ma arrivare a una diagnosi è già un buon punto di partenza per migliorare notevolmente la qualità della vita di un paziente narcolettico. Le terapie per la narcolessia al momento agiscono solo sui suoi sintomi. I farmaci più indicati per la gestione della malattia sono:
Si tratta di terapie che stimolano l’equilibrio tra momenti in cui dormire e momenti in cui restare svegli. Ma la cura vera e propria, la reale sconfitta della narcolessia, consisterebbe nel riuscire a re-introdurre l’ipocretina nell’ipotalamo del narcolettico, ripristinando definitivamente il ciclo sonno-veglia.
Inoltre, in seguito alla diagnosi, sono diverse le misure che si possono mettere in pratica per rendere la vita di queste persone più sostenibile. Come, ad esempio, mettere a disposizione un piccolo spazio in cui possano schiacciare un pisolino di dieci minuti quando ne sentono il bisogno, così da “ricaricarsi” e tornare attivi.
Per facilitare il riconoscimento dei sintomi di narcolessia e la consapevolezza di questa malattia tanto invisibile quanto debilitante, l’Associazione Italiana Narcolettici ha curato la redazione di due libri bianchi, uno riguardante la narcolessia nei bambini e uno dedicato alla narcolessia in età adulta, da distribuire gratuitamente a tutti coloro che trascorrono del tempo a contatto con persone narcolettiche, come colleghi, genitori, insegnanti, amici.
(Modificato da Giulia Dallagiovanna il 05-07-2019
Modificato da Simona Cardillo il 9-6-2020)
Fonte| Associazione italiana narcolettici; Auxologico
(Scritto da Sara Del Dot il 28 ottobre 2018,
modificato da Maria Teresa Gasbarrone il 28 giugno 2023)