Pet Therapy con animali domestici: un aiuto per alleviare il dolore e imparare a occuparsi dell’altro

Prendersi cura del cane per decentrarsi da se stessi e imparare a relazionarsi, aspettare pazientemente che il gatto ti permetta di prenderlo in braccio e accarezzarlo, categorizzare, creare, costruire, esercitare la calma, ritrovare la serenità. Sono solo alcuni degli effetti benefici che la pet therapy con cani e gatti può esercitare su chiunque ne senta il bisogno.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Rubrica a cura di Sara Del Dot
15 Gennaio 2019

Avere attorno animali e interagire con loro è una delle cose che solitamente fa stare molto bene le persone, in particolare bambini e anziani. Quante famiglie scelgono di far entrare un cane o un gatto nella propria famiglia per permettere ai loro bambini di responsabilizzarsi e insegnare loro il rispetto e la cura per gli altri esseri viventi? E quante persone di una certa età scelgono di adottare un cane o un gatto ritrovando la voglia di uscire di casa a fare lunghe passeggiate? Prendersi cura di un cane o un gatto, infatti, insegna tante cose: la pazienza, l’attesa, l’interazione ragionata e spesso è in grado di spazzare via ansie e paure.

Non a caso, la pet therapy rappresenta una delle co-terapie più celebri e diffuse, in cui animali e persone lavorano insieme e interagiscono imparando a conoscersi e a comportarsi gli uni sulla base degli altri. Viene svolta con vare specie, ma un’iniziale macro distinzione può essere fatta tra quella con animali domestici e quella invece con animali da fattoria, che hanno magari le stesse finalità ma si articolano in modi totalmente diversi. Oggi parleremo di quella che prevede l’utilizzo di soli cani e gatti.

Per comprendere meglio come funziona il percorso di pet therapy e quali sono i suoi maggiori benefici, ho chiesto aiuto a Erika Consonni, psicopedagogista e psicomotricista, operatore IAA (Interventi assistiti con gli animali) e responsabile di progetto presso il centro “Il Girasole” di Milano.

Prima del 2015, anno in cui sono state istituite le linee guida nazionali per la professione e ogni Regione ha recepito il proprio regolamento, la pet therapy non era tenuta molto in considerazione perché considerata priva di fondamento scientifico. Ora, con l’introduzione delle linee guida e dell’albo degli operatori, la speranza è che venga sempre più accettata. Se prima, infatti, l’operatore di pet therapy doveva fare un semplice corso di varia durata e non aveva un riconoscimento vero e proprio, oggi chiunque voglia esercitare questa professione deve frequentare un corso di 200 ore accreditato alle Regioni, al termine del quale è possibile accedere all’albo, istituito dal Ministero della Salute nel 2018. Erika mi ha spiegato infatti che “la terapia assistita con animali si svolge all’interno di centri o spazi dedicati a un lavoro clinico, e viene sempre affiancata a terapie tradizionali. Quindi, secondo le linee guida nazionali, è sempre necessaria le presenza di un coordinatore di progetto, un medico referente e un’equipe multidisciplinare.” Ad esempio, nel loro centro, Il Girasole, in cui si occupano prevalentemente di bambini con disabilità, sono sempre presenti un neuropsichiatra, alcuni psicologi e diversi pedagogisti, oltre a un veterinario preposto al controllo del benessere dell’animale.

Ma come funziona esattamente la pet therapy con cani e gatti? Quali sono le attività che si svolgono, come si articolano le sedute?

“Naturalmente dipende tutto dal paziente”, spiega Erika, “ad esempio in presenza di bambini che soffrono di autismo, si aiuta il bambino a relazionarsi con gli altri e a decentrarsi dal proprio mondo. Il pet rappresenta il mezzo di comunicazione tra il bambino e l’operatore, dato che il bambino tende ad avvicinarsi all’animale in modo spontaneo. Questa componente psicologica lo spinge molto a decentrarsi, favorendo la relazione, e aiuta a prendersi cura di questo essere che si trova davanti, che anche se non parla è comunque un soggetto attivo, percepisce delle emozioni e dei bisogno che vanno ascoltati, letti e capiti, e a cui va risposto.”

Sebbene il beneficio sia generalizzato, in base alla patologia da trattare le attività da svolgere cambiano. “Ad esempio”, prosegue Erika, “se un bambino è iperattivo posso lavorare sul controllo del movimento e delle emozioni, sul non urlare, non andare addosso all’animale scatenando una reazione immediata di ricerca di protezione. Il bambino così impara che se ti poni in modo tranquillo la relazione che si instaura è senza dubbio positiva. C’è in campo tutto un lavoro di comunicazione non verbale che viene attivato e accolto con empatia. Se abbiamo pazienti con un ritardo cognitivo possiamo lavorare sull’attenzione con giochi referenziali e di categorizzazione, come ad esempio fare la valigia del cane e capire che tipo di oggetti ci vanno dentro, o ancora lavorando sulla psicomotricità possiamo creare percorsi motori da fare da soli o insieme, o imparare a costruire un percorso per il cane che abbia un senso logico.”

Naturalmente, la pet therapy non è soltanto dedicata ai bambini. Anche diverse categorie di soggetti adulti possono beneficiare della positività dell’interazione con un animale, ad esempio pazienti psichiatrici, anziani, e persone affette dal morbo di Alzheimer.

“Con i pazienti adulti possiamo lavorare sui giochi di elasticità mentale, come ad esempio i cruciverba o i puzzle, sempre aventi il cane come centro. In particolare, sui malati di Alzheimer gli effetti si vedono molto, perché lavorano sul prendersi cura, sul fatto di avere una relazione affettiva. Bisogna stare attenti, però, perché queste terapie tendono a far affiorare i ricordi. È importante lavorare tenendo ben presente la storia personale del paziente, considerando sempre la sua personalità.”

In base al tipo di paziente, si sceglie anche il tipo di animale da utilizzare. Il gatto, ad esempio, risulta più adatto per individui che soffrono di ansia e depressione, perché come animale ha un comportamento che presuppone un’attesa da parte della persona. “È il gatto che decide quando avvicinarsi a te”, prosegue Erika, “inoltre si fa manipolare in modo diverso, ha bisogno di tranquillità, silenzio, di conseguenza anche il contatto con lui trasmette alle persone più calma, serenità e sicurezza. È un animale più introspettivo, infatti ci lavorano molto gli psicologi. Il cane invece viene usato più a livello relazionale, perché è istintivo, ti cerca, ti salta addosso, la relazione è più attiva e dinamica”.

Ma non pensate che questo significhi che la pet therapy con il cane è dedicata solo ai bambini.

“Anche nelle residenze per anziani la terapia col cane porta allegria e serenità. In più, attiva molto le persone, che hanno all’improvviso voglia di parlare, di muoversi, fanno quello sforzo fisico in più magari per lanciargli la pallina o cambiargli l’acqua nella ciotola.”

E l’animale in tutto questo? Nasce terapeuta o lo diventa?

“Ovviamente il cane fa un percorso di educazione di base, anche se in Italia non è richiesto un certificato. Il cane o il gatto che fa pet therapy deve imparare da subito a essere manipolato in tutti i modi possibili, non deve assolutamente sviluppare paura delle persone, di suoni o di odori. La relazione con il coauditore deve essere molto forte.”

Questo articolo fa parte della rubrica
Sono nata e cresciuta a Trento, a due passi dalle montagne. Tra mille altre cose, ho fatto lunghe passeggiate nel bosco altro…