La funzionalità della placenta nei casi di placenta accreta è la medesima della placenta in situazioni normali, tuttavia la maggior adesione all’utero non le permette di essere espulsa in modo naturale. La rimozione manuale della placenta accreta causerebbe gravi perdite di sangue, quindi il trattamento principale a seguito del parto cesareo sarà la rimozione totale dell’utero.
La placenta è l’organo che regola gli scambi metabolici tra l’organismo materno e quello fetale: è costituita da una porzione materna e una porzione embrionale, e in condizioni normali viene eliminata con il parto. Nei casi di placenta accreta vi è un difetto di adesione della stessa alla parete uterina (la placenta accreta è conosciuta anche come placenta aderente), condizione che può causare gravi emorragie.
I disturbi derivati dalla placenta accreta sono più comuni nelle donne che hanno già avuto parti cesarei: per questo motivo l’incidenza della placenta accreta è aumentata significativamente negli anni in correlazione con la crescita dei parti cesarei. Negli anni ’60 si contava 1 caso di placenta accreta su 30.000 gravidanze, nei primi anni 2000 si è arrivati ad 1 su 533 gravidanze, e i dati più recenti indicano 1 su 272. Questa condizione aumenta il rischio di complicazioni gravi, portando anche alla mortalità materna e fetale.
La tonaca muscolare della parete dell’utero è spessa e vascolarizzata, e composta da più strati: la tonaca muscosa (endometrio), tonaca muscolare (miometrio) e tonaca sierosa (perimetrio). Nelle normali gravidanze la placenta si ancora all’endometrio: nei casi di placenta accreta assistiamo ad un’invasione anormale dei villi coriali (la parte embrionale della placenta) nel miometrio uterino, ovvero la tonaca muscolare. In base al grado di invasione miometriale si suddividerà perciò in placenta accreta, placenta increta e placenta percreta.
Abbiamo visto come la classificazione della placenta accreta varia in base alla profondità di invasione miometriale da parte dei villi coriali. Per questo motivo, in base alla categorizzazione dell’ACOG, l’American College of Obstetricians and Gynecologists, si suddividerà in:
Non si può parlare di cause precise nei casi di placenta accreta ma, come abbiamo già visto, la condizione più associata è una precedente storia di parto cesareo.
Tra gli altri fattori di rischio imputabili troviamo:
La diagnosi precoce è molto importante per poter programmare un approccio multidisciplinare allo scopo di gestire al meglio la gravidanza e il successivo parto, e ridurre al minimo i rischi. Il mezzo più utilizzato e sicuro per diagnosticare al meglio la presenza di placenta accreta è l’ecografia. Questo esame è molto utile anche per rilevare la presenza di placenta previa che, come abbiamo già visto, è la condizione in cui la placenta ricopre la cervice, ed è un fattore di rischio per l’insorgenza di accreta.
Nel caso in cui la placenta accreta non sia diagnosticata precocemente, si potrà sospettare la sua presenza durante il parto se sussistono le seguenti condizioni:
Il grado di invasione miometriale della placenta, che la suddivide in accreta, increta e percreta, verrà invece rilevato avvalendosi dell’utilizzo di un altro esame di imaging, tramite la risonanza magnetica per immagini (RMI).
Abbiamo già esaminato come precedenti parti cesarei possano determinare una maggiore incidenza di placenta accreta, per questo motivo le pazienti dovrebbero essere opportunamente informate di questa possibilità, come del fatto che potrebbero incorrere in maggior rischio di necessità di trasfusione durante il parto e un possibile ricovero ospedaliero.
I rischi sono anche maggiori nei casi di placenta accreta con placenta previa. La presenza di placenta previa aumenta il rischio di emorragia post-partum e la probabilità di essere sottoposte ad isterectomia, cioè l’intervento di rimozione dell’utero.
Tra le tipologie di placenta accreta, le maggiori complicanze si riscontrano nelle pazienti con placenta percreta, tra i cui rischi troviamo:
Altre complicazioni che si possono riscontrare sono il danneggiamento delle strutture vicine: in alcuni casi la placenta può arrivare ad invadere la vescica, una condizione che richiederebbe una cistotomia (un intervento chirurgico alla vescica), utile per separare il tessuto placentare; in altri casi si possono verificare lesioni ureterali (gli ureteri sono i canali che trasportano l’urina dai reni alla vescica) a seguito dell’isterectomia.
I rischi maggiori per il neonato derivano anch’essi dall’emorragia materna, che può provocare una diminuzione dell’ossigeno fetale, e dalle complicanze relative alla nascita prematura, ossia prima del termine ideale di parto.
In caso di placenta accreta è raccomandabile fissare il parto cesareo tra la 34a e la 35a settimana di gestazione, per ottimizzare il più possibile la maturità del feto e ridurre al minimo il rischio di sanguinamento materno.
La diagnosi prenatale è molto utile per poter valutare anticipatamente un ricovero in un centro specializzato in parti cesarei correlati al problema di placenta accreta: il taglio cesareo viene eseguito in modo tale da evitare l’incisione della placenta che verrà lasciata dove si trova. Una rimozione manuale causerebbe emorragie importanti, perciò verrà in seguito raccomandata l’esecuzione di un’isterectomia per ridurre al minimo il rischio di emorragia.
L’isterectomia causa l’infertilità della donna, pertanto alcune pazienti che desiderano provare a preservare la fertilità scelgono di prendere in considerazione una gestione conservativa, nella quale la placenta viene rimossa senza la rimozione dell’utero: è una pratica che ovviamente non si può intraprendere nei casi più gravi in cui vi è a rischio la salute della donna, e chi procede per questa strada deve essere ben informato sui potenziali rischi di quest’operazione, incluso quello di subire in un secondo momento l’isterectomia o avere più alto rischio di recidiva di accreta nelle eventuali gravidanze future.