Qual è il ruolo della vitamina D nella prevenzione della Covid-19? Intervista al professor Giancarlo Isaia

In uno studio dell’Università di Torino, il professor Giancarlo Isaia e il professor Enzo Medico, docente di Istologia, puntano l’attenzione sulla correlazione tra l’ipovitaminosi D, ovvero la scarsa quantità della sostanza, e la malattia legata all’infezione da Coronavirus. La vitamina D non è una cura per la Covid-19: ad oggi è stato dimostrato il suo ruolo positivo nel trattamento di infezioni virali e per questo, secondo i due scienziati, aggiustarne i valori potrebbe essere un ottimo strumento di prevenzione.
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Kevin Ben Alì Zinati 27 Marzo 2020
* ultima modifica il 04/12/2020
Intervista al Dott. Giancarlo Isaia Professore di Geriatria e Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino

“Sapevamo che avrebbe creato delle aspettative troppo alte, allo stesso tempo però abbiamo pensato che se avesse potuto avere un’utilità per qualcuno allora sarebbe stato nostro dovere pubblicare”. Così, lo studio sul possibile ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D nell’emergenza del Coronavirus il 25 marzo ha visto la luce.

Lo spiega il dottor Giancarlo Isaia, professore di Geriatria e Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino. Insieme al professor Enzo Medico, docente di Istologia è l’autore di una ricerca che suggerisce una correlazione importante tra l’ipovitaminosi D, ovvero la mancanza della sostanza, e l’infezione Covid-19.

Oltre alle misure di prevenzione di ordine generale, assicurare un giusto dosaggio della sostanza, scrivono, è particolarmente importante per i soggetti già contagiati e i loro congiunti, il personale sanitario, gli anziani soprattutto quelli ospiti di case di riposo ma anche per le donne in gravidanza, le persone in isolamento e tutti coloro che per vari motivi non si espongono adeguatamente alla luce solare. Questo perché, secondo i medici, adeguati valori di Vitamina D potrebbero determinare una maggiore resistenza all’infezione COVID-19.

Professor Isaia, ma la Vitamina D cura l’infezione da Coronavirus?

No, non c’è nessuno studio né nessuna prova scientifica che dimostrino la sua efficacia sull’uomo. C’è uno studio che ne prova l’efficacia sui topi: hanno indotto loro una polmonite interstiziale e con la Vitamina D per via endovenosa è stata riscontrata una riduzione della polmonite. Ma è un trial soltanto sui topi.

Che utilità ha dunque per l’uomo?

Fondamentalmente la vitamina D ha un effetto immunomodulatorio nella replicazione delle infezioni virali delle vie respiratorie. È corretto dire anche che ha un effetto positivo nel trattamento di infezioni enteriche, dell’otite, della vaginosi, della dengue o della sepsi perché stimola la produzione di peptidi di tipo antivirale.

E per la Covid-19?

Sappiamo che la vitamina D ha correlazioni positive anche come prevenzione di infezioni virali. Probabilmente le ha pure per il Covid-19. C’è un preprint, ovvero uno studio non ancora pubblicato, che sottolinea con dei dati convincenti un possibile ruolo della vitamina D nella prevenzione e nel trattamento anche della malattia da Coronavirus.

Quindi funziona?

Lo studio deve ancora essere sottoposto alla review e per ora l’unica prova è stata ottenuta sui topi. Perciò oggi non abbiamo verifiche scientifiche dell’efficacia della vitamina D sulla Covid-19 e per tutto ciò che abbiamo detto finora la vitamina D non è una cura, è piuttosto un elemento che può aiutare a prevenire l’infezione.

Da dove è partito il vostro studio?

Ci sono diverse premesse di carattere epidemiologico. Insieme al professor Medico ci siamo chiesti come mai l’infezione, in Italia, abbia una virulenza maggiore per esempio rispetto alla Cina. E la carenza di Vitamina D era un indizio importante.

Perché?

Prima di tutto gran parte dei casi positivi si trovano sopra il tropico del cancro, zone dove la luce solare, una delle fonti da cui ricavare vitamina D, nei mesi di febbraio e marzo è scarsa e per questo le scorte di vitamina D fatte in estate vanno in esaurimento. Inoltre, anche il fatto che i bambini tendono a non ammalarsi di Covid-19 potrebbe essere attribuito alla minore prevalenza di Ipovitaminosi D: nelle nostre zone, per tradizione, c’è una cultura della profilassi dell’ipovitaminosi D, stando spesso al sole o andando al mare in vacanza. C’è da ricordare anche che, nonostante il Coronavirus colpisca più gli uomini, è stato dimostrato che il 76% delle donne anziane presentano marcate carenze di vitamina D.

Partendo da queste basi avete poi avete analizzato i pazienti positivi.

Lo studio si basa su dati ultra-preliminari di pazienti piemontesi. Abbiamo diviso in tre gruppi qualche decina di pazienti, dividendoli tra chi era intubato, chi aveva delle condizioni meno gravi e chi invece non aveva necessità di alcun supporto. E in generale abbiamo notato una quantità bassissima di vitamina D  praticamente in tutti. Soltanto uno aveva dei valori normali ed era causalmente un medico che si faceva la supplementazione. Ora sta andando meglio con la malattia e sta per essere dimesso.

Crede dunque che aggiustare l’ipovitaminosi D possa avere un ruolo in questa emergenza?

La vitamina D non è tossica e non ha effetti collaterali. Soprattutto è utile nella prevenzione delle malattie virali ed è plausibile che possa diventarlo anche per la Covid-19. Anche se al momento non abbiamo verifiche scientifiche, è molto suggestivo, comunque, pensare che questa sostanza possa essere almeno considerata.

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