Quando l’arte scende in campo in difesa delle donne

Illustrazioni che raccontano storie comuni di donne che ancora subiscono stereotipi insensati. Installazioni contemporanee che denunciano quanto i media non abbiano rispetto delle vittime di violenza. In difesa delle donne scende in campo l’arte. Donne che difendono donne, e che invitano gli uomini a identificarsi nelle donne.
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Gaia Cortese 25 Novembre 2020

Qualche piccola coltellata e nulla più. L’assurda difesa di un uomo davanti al giudice dopo aver accoltellato la moglie per gelosia. È il 1935 (ma poco è cambiato nel 2020), e Frida Kahlo rimane così esterrefatta da queste parole lette sul giornale da dipingere Unos Cuantos Piquetitos (che tradotto significa, per l’appunto, "qualche piccola coltellata"). Il quadro riproduce un uomo, ancora con un coltello in mano, in piedi accanto al letto su cui giace una donna nuda, in fin di vita, ricoperta dalle ferite.

Simbolo del femminismo moderno, attraverso le sue opere l’artista messicana ha sempre manifestato uno spirito indipendente, anticonformista, riluttante verso ogni convenzione sociale. I temi centrali della sua produzione artistica sono il corpo femminile e i tabù ad esso connessi diventano temi centrali della sua produzione artistica, un richiamo per le donne di allora e di oggi, perché Frida è il simbolo della riappropriazione di sé stessa, delle cicatrici e dei dolori che sono bagaglio di ogni donna. Frida Kahlo è una figura di riferimento per tutte le donne, un esempio di come sia possibile accogliere sofferenza e dolore, trasformandoli in arte.

Sulla traccia della pittrice messicana, altre due artiste contemporanee hanno estrapolato dai media alcune frasi per minimizzare i consueti episodi di cronaca legati alla violenza o usate dal carnefice per motivare il suo gesto: “Se l’è cercata”, “Era un bravo ragazzo”, “Senza di me non sei niente”

Tutte parole che esprimono il desiderio di controllo e il potere esercitato da uomini incapaci di gestire il rifiuto o il fallimento di una relazione sentimentale. Parole che dimostrano come il femminicidio non è la conseguenza di un improvviso impulso violento, ma l’esito di un lungo processo emotivo, spesso sottovalutato, e di una radicata cultura di violenza verso le donne.

“Il luogo più pericoloso. L’arte ai tempi del Covid” è il titolo dell’installazione "vivente" delle artiste Silvia Levenson e Natalia Saurin, madre e figlia, che nel giorno dedicato all’eliminazione della violenza contro le donne, sarà trasformata in un’azione tra il Palazzo Reale di Milano e piazza del Duomo. Ne è nata una sequenza di fotografie di donne che hanno dato vita all’opera con i volti coperti dalle mascherine che Silvia Levenson stessa ha progettato con il suo simbolo dell’amore pericoloso per #sinergie: una mascherina per dar voce alle donne "imbavagliate" dell’Associazione "Non sei sola. Uscire dal silenzio. Contro la violenza" di Biella.

L’obiettivo è sottolineare quanto la comunicazione legata alla divulgazione delle notizie delle violenze, che colpevolizzano la vittima, sia distorta e misogina.

Oggi come ieri, ma quasi cent’anni più tardi, un’altra artista sudamericana si batte per la lotta degli stereotipi quotidiani e per la difesa delle donne. Carol Rossetti è una disegnatrice e illustratrice, che ha dedicato un intero progetto alle donne ("Mulheres"), sottolineando tuttavia quanto sia interessante suscitare anche negli uomini la possibilità di identificarsi con i suoi personaggi femminili.

“Mi ha sempre infastidito i continui tentativi del mondo di controllare i corpi, i comportamenti e le identità delle donne – si legge sul sito dell'artista -. Questo controllo è una parte così profonda della nostra cultura che non ci rendiamo quasi mai conto di quanto sia crudele e di come limiti le nostre scelte personali”.

Nelle sue illustrazioni, Carol rappresenta semplici personaggi femminili che ancora oggi ricevono giudizi e condizionamenti sociali. C’è per esempio Lydia che ama indossare minigonne, ma il fidanzato le chiede di indossare qualcosa che la copra di più: Lydia decide che è meglio cambiare compagnia e uscire con persone che non la giudichino per il suo abbigliamento.

C’è poi Babi che ha solo 7 anni e si è ribellata agli stereotipi di genere che ne avrebbero limitato l’identità: Babi sceglie di praticare il karate piuttosto che la danza classica, perché non c’è attività sportiva che una ragazza non possa fare.

E Brenda che subisce sempre molestie nel tragitto per andare al lavoro, ma non dovrebbe mai sentirsi minacciata né in un luogo pubblico né in un luogo provato. E ancora, Tejaswiniche è stata offesa quando le sue foto personali sono state diffuse in internet, quando la vergogna dovrebbe provarla solo chi ha volutamente causato dolore e imbarazzo esponendo la sua privacy senza il suo consenso.