Raoni Metuktire: chi è il capo indigeno che lotta contro Bolsonaro per salvare l’Amazzonia

Un capo indigeno, un vero leader che ha portato in tutto il mondo la cultura della sua gente, da sempre minacciata dalle attività economiche, e la consapevolezza della necessità di difendere la foresta Amazzonica da estrazioni, dighe, centrali idroelettriche e monocolture di soia. A 90 anni, Raoni Metuktire è riuscito a riunire 600 leader per creare un Manifesto contro Bolsonaro.
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Sara Del Dot 4 Marzo 2020

Classe 1930 (o almeno, così pare), un piatto labiale indossato per la prima volta a 15 anni, il cacique, capo del popolo Kayapo, nel cuore del Mato Grosso in Brasile, sembra una figura d’altri tempi e altri luoghi. E lo è. 90 anni, una candidatura al Nobel per la Pace, un amore infinito e sacrale per la sua terra, l’Amazzonia, e un’influenza incredibile sugli altri.

Si chiama Raoni Metuktire, è un capo indigeno brasiliano e da tutta la vita non smette di lottare per salvaguardare (e salvare) la sua terra e le sue ricchezze naturali dall’avidità dell’uomo, espressa in scavi, miniere, deforestazione, monocolture di soia e la costruzione di centrali idroelettriche, a cui si aggiungono i disastri naturali che stanno colpendo tutto il mondo come forti incendi e più in generale i cambiamenti climatici.

In particolare, Capo Raoni si oppone da anni alle attività estrattive e distruttive del Presidente del Brasile Jair Bolsonaro. Per questo, a inizio 2020 l’anziano leader è riuscito in una grande impresa, un’impresa cui pensava da tempo.

Poco tempo fa, infatti, accompagnato dalla leader dei guardiani dell’Amazzonia Guajajara Sonia Guajajara e ad Angela Mendez, figlia di Chico Mendez attivista ambientalista assassinato nel 1988, è riuscito a riunire nell’area del Mato Grosso 600 leader di 47 popoli indigeni che abitano l’Amazzonia, per mettere insieme un’azione congiunta in grado di opporsi alla distruzione perpetrata alla loro terra attraverso la firma di un Manifesto, un documento in cui denunciano le attività distruttive del governo brasiliano e chiedono aiuto alla comunità internazionale, alzando la voce per ricevere aiuto e supporto dall’esterno.

Supporto che Capo Raoni ha già ottenuto diverse volte in passato, grazie ai suoi numerosi viaggi in giro per il mondo che gli hanno valso l’appellativo di “simbolo della resistenza e della salvaguardia della foresta amazzonica”. Raoni, infatti, è nato in una tribù nomade nel cuore della Foresta, in un villaggio chiamato Krajmopyjakare, il cui capo era suo padre. Nel 1987 ottenne visibilità mondiale grazie a una visita da parte di Sting, che partecipò al suo fianco a una conferenza in occasione del tour di Amnesty International chiamato “Human Rights Now”, per poi fondare assieme alla moglie la Rainforest Foundation per supportare le attività del Capo indigeno.

Nel 1989 Raoni visitò al fianco di Sting decine di Paesi, in cui portava il suo messaggio di tutela delle foreste dal disboscamento in atto. Grazie al suo passaggio, alle sue parole e alle sue testimonianze, la consapevolezza su questi temi crebbe enormemente e allo stesso tempo sorsero diverse fondazioni per preservare la foresta amazzonica, la cui difesa divenne grazie a lui una questione globale, e infine fu possibile riunire tutti i territori appartenenti ai vari popoli indigeni in un’unica grande riserva naturale in Amazzonia. Raoni divenne presto il simbolo di culture arcaiche e lontane di cui finalmente fu in grado di trasmettere i valori e le tradizioni, facendole conoscere al mondo in modo tale da ottenere per loro anche una maggiore protezione. Tutto ciò che riceveva, lo spartiva con la propria gente. Nel 2019 ha ottenuto una nomina al Nobel per la Pace 2020 per le sue attività di protezione delle foreste e della natura.