Un intervento meno invasivo per i tumori cerebrali? È possibile, ne abbiamo parlato con il professor Paolini

All’Irccs Istituto Neuromed da circa tre anni ricorrono in modo sistematico alle mini-craniotomie per l’asportazione di tumori cerebrali come gliomi, glioblastomi e metastasi. E questo metodo sta dimostrando di avere diversi vantaggi rispetto a quello tradizionale.
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Giulia Dallagiovanna 23 Giugno 2022
* ultima modifica il 23/06/2022
Intervista al Prof. Sergio Paolini Responsabile della Neurochirurgia 3 dell'Irccs Istituto Neuromed

Da un'incisione ampia a un piccolo taglio di 6 centimetri. E poi a un'apertura di tre. Asportare, cioè, un tumore cerebrale attraverso una metodica mininvasiva che garantisce minori complicanze postintervento e tempi più rapidi di recupero per il paziente, il quale può iniziare prima l'eventuale radioterapia. Ci riescono da almeno tre anni all'Irccs Neuromed (Istituto Neurologico Mediterraneo), dove hanno condotto uno studio su oltre 300 pazienti, pubblicato ora sulla rivista Neurosurgical Review. L'equipe è quella del professor Sergio Paolini, Responsabile della Neurochirurgia 3, in collaborazione con il Dipartimento di Epidemiologia dello stesso Istituto. "Questo approccio ha cambiato il nostro modo di lavorare – ha spiegato a Ohga il professore – e ha reso la chirurgia molto più efficiente e sicura. Spero che si diffonda anche in altri ospedali".

Professor Paolini, qual è la novità che introduce il vostro studio?

L'utilizzo della mini-craniotomia per l'asportazione di alcuni tumori cerebrali tra cui i gliomi, i glioblastomi o le metastasi che si sono formate nel cervello. Abbandoniamo così le ampie incisioni cutanee, come quelle a forma di punto interrogativo, e pratichiamo un taglio di circa 6 centimetri, con una craniotomia di 3.

Non stiamo parlando di una novità assoluta, perché questo approccio viene già utilizzato per incisioni di piccoli ematomi nell'anziano, oppure per l'asportazone di alcuni tumori molto selezionati. La differenza è che noi la utilizziamo in modo sistematico, a prescindere dalla sede e dalle dimensioni della massa.

Come siete arrivati a queste conclusioni?

Si tratta di uno studio che portiamo avanti da oltre tre anni e che è stato fatto su 306 casi, di cui 160 consecutivi. Abbiamo messo a confronto un campione di pazienti, il più omogeneo possibile, dove alcuni venivano trattati tramite mini-craniotomie e altri con l'approccio tradizionale. Con alcuni accorgimenti tecnici, il tasso di esportazione rimane identico a prima. Inoltre non è stato pregiudicato l'utilizzo delle normali metodiche di monitoraggio delle funzioni neurologiche durante l'intervento.

Un intervento meno invasivo dovrebbe avere anche minori complicanze…

Esatto, infatti il secondo dato importante riguarda proprio il rischio di complicanze, soprattutto di quelle più superficiali, che con questo approccio è solo dell'1%. Abbiamo ridotto drasticamente le probabilità di infezioni, versamenti o ematomi legati alla ferita. Ma sono diminuite anche quelle profonde, perché minore è la porzione di cervello esposta e più basse sono le possibilità che queste strutture incorrano in qualche problema. La maggioranza dei pazienti è in piedi nel giro di uno o due giorni.

Una ferita più piccola è anche meno visibile dall'esterno?

Proprio così, il taglio viene più facilmente nascosto dai capelli e non dà luogo a deformità. Si tratta di un vantaggio estetico che ha ripercussioni molto importanti anche dal punto di vista psicologico. Il paziente sta già vivendo un periodo molto complicato e il fatto di non vedersi diverso rispetto a prima dell'intervento è un grande aiuto. Ed è anche una forma di tutela della privacy, perché nessuno si può accorgere che si è stati operati.

Quanto dura questo intervento?

Un altro vantaggio è proprio legato alle tempistiche dell'intervento: con le metodiche tradizionali impiegavamo anche mezz'ora per arrivare sul tumore, ora ci servono poco più di 5 minuti. L'operazione quindi è più semplice e più leggera per il paziente, mentre noi siamo in grado di eseguirne di più durante una giornata.

Perché è importante ridurre i tempi dell'intervento?

Come dicevo prima, il paziente sta affrontando un periodo difficile e il nostro obiettivo era quello di rendere l'intervento una parentesi, la più breve possibile. Volevamo fare in modo che la persona potesse vivere il resto della vita in condizioni dignitose e senza dover rimanere troppi giorni in ospedale. In queste situazioni infatti si ragiona per piccoli traguardi, ad esempio pensando alla possibilità di trascorrere un altro Natale in famiglia. Inoltre, prima si conclude l'intervento e prima si possono iniziare le eventuali terapie.

Questo potrebbe significare anche un miglioramento dei tassi di sopravvivenza?

Non abbiamo un dato oggettivo con cui rispondere a questa domanda, perché non era l'obiettivo diretto dello studio. La conclusione del lavoro, però, ipotizza un aumento della sopravvivenza grazie al più rapido accesso alle terapie.

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.