La dipendenza dei tumori dal glucosio? Grazie alla ricerca di un team dell'Università di Milano, adesso se ne conoscono le cause e l'origine. Il lavoro, pubblicato recentemente su Nature Communications, rivela un meccanismo molecolare capace di modulare la dipendenza delle cellule tumorali dal glucosio, identificando anche un rapporto di causa ed effetto tra il DNA e il metabolismo del glucosio.
Le mutazioni del DNA, che sono alla base della replicazione incontrollata delle cellule (cioè dei tumori), sono anche responsabili della capacità delle cellule tumorali di assorbire quantità maggiori di glucosio per le loro reazioni chimiche (devi pensare alla cellula come ad un motore e allo zucchero come il carburante. Una cellula tumorale è un motore che va a 300 km/h e quindi necessita di più carburante).
Sembra che la mutazione responsabile della capacità di assorbire più zuccheri dipenda dal numero di proteine, chiamate istoni. In collaborazione con l’Istituto Nazionale dei Tumori, i risultati dello studio potranno contribuire alla messa a punto di sperimentazioni cliniche mirate, che combineranno approcci terapeutici sperimentali, di tipo nutrizionale o farmacologico con i tradizionali farmaci chemioterapici.
Per aumentare l’efficacia dei trattamenti assieme alla normale chemioterapia, adesso si potrà utilizzare anche una terapia metabolica in grado di ridurre la capacità della cellula tumorale di ottenere il suo "carburante". Proprio a causa della dipendenza dal glucosio delle cellule tumorali, è possibile che la chemioterapia possa risultare più efficiente se abbinata a una dieta.
Insomma la scoperta del team di Marco Foiani, Direttore del programma “Integrità del Genoma” dell’Ifom e professore dell’Università degli Studi di Milano, apre la strada ad approcci terapeutici combinati che affiancano alle terapie oncologiche convenzionali degli approcci farmacologici e diete specifiche.
Fonte| "The Rad53CHK1/CHK2-Spt21NPAT and Tel1ATM axes couple glucose tolerance to histone dosage and subtelomeric silencing" pubblicato sulla rivista Nature Communications, il 19 agosto 2020