Vitamina D, l’Aifa riduce i criteri di prescrizione per gli integratori

La vitamina D non sarà più prescritta per la prevenzione di fratture, se non c’è una situazione di osteoporosi diagnosticata. Lo ha deciso l’Aifa che ha aggiornato la relativa Nota 96 sui criteri di prescrittivi.
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Valentina Rorato 27 Febbraio 2023
* ultima modifica il 20/03/2023

Gli integratori a base di Vitamina D sono sempre molto discussi: si teme che vengano assunti in modo improprio, abusando di un prodotto che può risultare anche tossico. E, secondo nuovi studi, l’assunzione di questa sostanza “non è in grado di modificare il rischio di frattura nella popolazione sana, senza fattori di rischio per osteoporosi”. Per questo motivo l’Agenzia Italiana del Farmaco ha aggiornato la Nota 96 sui criteri prescrittivi della Vitamina D. Il documento, istituito nel 2019, si è reso necessario a seguito della pubblicazione di nuove evidenze scientifiche che hanno ulteriormente chiarito il ruolo della vitamina D (nello specifico colecalciferolo, colecalciferolo/sali di calcio e calcifediolo) in assenza di concomitanti condizioni di rischio.

Pare, infatti, che supplementazione con dosi di vitamina D più che adeguate (2000 UI die di colecalciferolo) e per diversi anni (oltre 5 anni nel primo studio e 3 anni nel secondo) non sia in grado di ridurre il rischio di fratture, nelle persone che non soffrono di osteoporosi. Questi risultati si sono confermati anche tra i soggetti con livelli più bassi di vitamina 25(OH)D.

Nel documento, Aifa ha ridotto da 20 a 12 ng/mL (o da 50 a 30 nmol/L) il livello massimo di 25-idrossivitamina D sierica (quella prevista nella maggior parte delle supplementazioni), necessario ai fini della rimborsabilità: insomma, al di sopra di queste soglie il Servizio sanitario nazionale non rimborsa più l’integratore. Oggi, la spesa per la Vitamina D a carico del Ssn è di oltre 200 milioni annui.

Vitamina e Covid 19

Un altro ruolo importante è stato giocato dalla pandemia: negli anni di diffusione del Covid 19 c’è stato un abuso di supplementazione. «Nonostante i dati epidemiologici che sembravano legare il contagio e la gravità del Covid alla carenza di vitamina D e nonostante i risultati provenienti da studi osservazionali e loro meta-analisi, l’efficacia della vitamina D nella lotta al Covid è stata smentita dagli studi progettati e condotti in modo corretto. Un trial su 240 pazienti ricoverati non ha mostrato un effetto protettivo della vitamina D nei confronti di durata del ricovero, gravità e mortalità da Covid (Murai et al 2020)». Inoltre, due importanti studi (studio CORONAVIT su 6.200 adulti e studio CLOC su 34.601 adulti), pubblicati nel settembre 2022, hanno documentato l’inefficacia di diverse dosi di vitamina D e dell’olio di fegato di merluzzo (titolato a 400 UI di vitamina D) nella protezione dal Covid e dalle infezioni respiratorie in genere.

Nella Nota96, inoltre, sono state inserito alcune precisazioni migliorative su proposta di clinici o società scientifiche: «introduzione della nuova categoria di rischio “persone con gravi deficit motori o allettate che vivono al proprio domicilio”; riduzione da 20 a 12 ng/mL (o da 50 a 30 nmol/L) del livello massimo di vitamina 25(OH)D sierica, in presenza o meno di sintomatologia specifica e in assenza di altre condizioni di rischio associate, necessario ai fini della rimborsabilità; specificazione di livelli differenziati di vitamina 25(OH)D sierica in presenza di determinate condizioni di rischio (ad es. malattia da malassorbimento, iperparatiroidismo) già presenti nella prima versione della Nota; aggiornamento del paragrafo relativo alle evidenze più recenti sopracitate e inserimento di un breve paragrafo dedicato a vitamina D e COVID-19; introduzione di un paragrafo sui potenziali rischi associati all’uso improprio dei preparati a base di vitamina D».

Fonte | Aggiornamento Nota 96

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