Aral, da quarto lago più esteso della Terra a deserto più giovane del mondo

In questo nuovo episodio di Contro Natura ti raccontiamo come i 68km quadrati d’acqua del Lago di Aral, al confine tra l’Uzbekistan ed il Kazakistan, si sono trasformati in 38mila di deserto, in soli 60 anni.
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Rubrica a cura di Beatrice Barra
27 Marzo 2024

Come ha fatto il quarto lago più grande del mondo a scomparire in soli 60 anni?

Il secolo scorso, il deserto di Aralkum non esisteva. Al suo posto c’era il lago salato di Aral, il quarto lago più esteso della Terra. Da qui partivano grandissimi carichi di pesce per l'ex Unione Sovietica: per ogni pescatore catturare 100 kg di pesce era la quotidianità.

Poi gradualmente, le cose sono cambiate.

Fonte: NASA

Piano piano il lago ha iniziato a scomparire. La poca acqua rimanente si è trasformata in una distesa di acqua stagnante, perdendo il 90% del suo volume. I pescatori, al posto delle reti piene di pesce, ora vivono in un mare di sabbia e relitti.

L'inizio della guerra fredda, la fine del lago di Aral

Il lago Aral, o sarebbe meglio dire quello che ne rimane, è un lago salato al confine tra a tra l'Uzbekistan ed il Kazakistan. Fino agli anni '60, copriva circa 68.000 chilometri quadrati, era grande due volte il Belgio. Anche per questo è così difficile guardare le più recenti immagini satellitari che mostrano una realtà scioccante.

Situato in mezzo al deserto, il Lago d'Aral ha sempre sofferto di un altro tasso di evaporazione. Tuttavia, questo fenomeno era equilibrato dall'incessante afflusso di nuova acqua dai fiumi Amu Darya e Syr Darya. Un delicato equilibrio naturale tra acqua che evapora e nuova acqua durato più di 5 milioni di anni, finché non è stato bruscamente interrotto. Da cosa? Dalla guerra fredda.

In quegli anni l’Unione Sovietica controllava alcuni paesi dell'Asia centrale tra cui proprio il lago Aral. Per diventare autosufficiente e quindi ridurre la dipendenza dalle importazioni da altri Stati, il regime sovietico elaborò un progetto ambizioso: trasformare queste terre nel più grande produttore mondiale di cotone. Senza però tenere conto di un piccolo dettaglio: il clima arido di questa parte del mondo non è adatto a colture come quella del cotone, che richiedono moltissima acqua. Per rimediare i sovietici intrapresero un enorme progetto di ingegneria. Deviare il corso dei due fiumi l’Amu Darya e il Syr Darya, gli unici che, come abbiamo visto, portavano acqua al lago Aral, in canali di irrigazione per convogliare l’acqua nel deserto circostante e creare le piantagioni.

Effettivamente il piano andò a buon fine, tutt’oggi l'Uzbekistan è l'ottavo produttore di cotone al mondo. Ma se da una parte il cotone germogliava dall'altra il lago – senza un apporto d’acqua – scompariva.

Fonte: Shuhrataxmedov/ Wikimedia Commons

Già alla fine degli anni ‘80 il livello dell'acqua dell'Aral era sceso drasticamente, dividendolo il lago in due corpi d'acqua: un piccolo lago settentrionale, e un lago meridionale più grande. Con il progressivo prosciugamento, anche la profondità dell'acqua ha iniziato a ridursi, permettendo alla luce solare di scaldare le acque più profonde e accelerare l'evaporazione. Questo ha creato un circolo vizioso: più acqua evapora, meno ne rimane per moderare il clima, portando a un innalzamento delle temperature che oggi vanno da un minimo di -35°C fino a un massimo di 50°C in estate e di conseguenza un'ulteriore perdita di acqua.

Allo stesso tempo i sali e i minerali disciolti, invece, non evaporano. Questi si concentrano nelle poche acque rimanenti, aumentando la salinità, che varia da 130 a 350 g/l (grammo per litro), tanto da distruggere tutto l'ecosistema.

Sono 20 le specie di pesci che un tempo popolavano il lago e che improvvisamente iniziarono a morire. Così oltre 40.000 persone che, prima del 1960, erano impegnate nell’industria della pesca, non avevano più un lavoro. E i problemi per i pescatori erano solo all’inizio.

Fonte: Staecker/ Wikimedia Commons

Tra deserto e tempeste di sabbia, i danni per i cittadini

Come abbiamo visto il lago per decenni ha continuato a ritirarsi e le città e i porti che si erano sviluppati sulle sue rive improvvisamente si trovarono a centinaia di km di distanza dall’acqua.

Zoomando su Google Maps nella città di Moynaq, si possono trovare i resti di quello che un tempo era un porto marittimo di cui oggi rimangono solo navi arenate nella sabbia e arrugginite. Questo non è successo solo a Moynaq: in numerose altre città, di fronte a un paesaggio trasformato in un deserto di sabbia e sale, gli abitanti hanno deciso di lasciare le proprie case, spinti dalla necessità di trovare nuove opportunità e, soprattutto, un ambiente più sano in cui vivere.

Fonte: Missaliona/Wikimedia Commons

Infatti questa zona dell’Asia è soggetta a un forte vento proveniente direttamente dalla Siberia. Quando si è prosciugato il lago Aral ha lasciato dietro di sé il deserto più giovane del mondo. Senza il lago a limitare le forti raffiche di vento, queste hanno iniziato a sollevare la polvere e il sale, dando vita a enormi tempeste di sabbia larghe fino a 300 km.

Queste tempeste trasportano granelli di sale e sabbia e polvere tossica che oltre a soffocare le piantagioni di cotone causano gravissimi danni alla salute delle persone che le respirano. Infatti, qui il suolo è gravemente contaminato sia da pesticidi clorurati provenienti dall’agricoltura del cotone, oltre che probabilmente dai rifiuti di un laboratorio segreto sovietico dove si facevano test sulle armi biologiche,  situato sull’ex-isola di Vozrozhdeniya.

Fonte: NASA/ Wikimedia Commons

Il risultato è stata l’elevata mortalità infantile, la comparsa di alti tassi di anemia, cancro, malattie respiratorie e difetti congeniti, che purtroppo ancora oggi non vengono del tutto associati a questo grave disastro ambientale.

Eppure il pericolo delle polveri non si ferma in queste zone. Sono state trovate particelle di polvere tossica persino a migliaia di chilometri di distanza dal deserto dell'Aralkum, fino all'Himalaya, al continente antartico, ai ghiacciai della Groenlandia, alle foreste norvegesi.

Sarà possibile ripristinare il lago di Aral, o è un processo irreversibile?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo chiedere aiuto alla storia e alla geopolitica. Con il crollo dell'Unione Sovietica nel 1991, il disastro ecologico del lago di Aral è stato ereditato dal Kazakistan e dell’Uzbekistan, che hanno adottato due approcci totalmente opposti. Il Kazakistan ha investito sull’esportazione di petrolio e nello sviluppo energetico, diminuendo la propria dipendenza dall'agricoltura. Inoltre, ha intrapreso un ambizioso progetto per rivitalizzare la sua parte del lago, riducendo l'estrazione di acqua dal fiume Syr Darya e costruendo una diga per isolare il Piccolo Aral dal resto del bacino idrico così da innalzare il livello delle acque della sua porzione di lago.

L’Uzbekistan, all’opposto, ha investito sulle proprie coltivazioni di cotone continuando quindi a sfruttare una grandissima quantità d’acqua. Ciononostante non ha abbandonato del tutto l’idea di tutelarequello che oggi è diventato il deserto di Aralkum.

Nel 2020, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo ha inaugurato l'iniziativa ‘Green Aral Sea', con l'obiettivo di piantare una foresta di 100 ettari, composta da 100.000 giovani piante di saxaul, un piccolo albero tipico dei deserti dell'Asia centrale, da posizionare sul fondale ormai asciutto del lago. Questo progetto ha portato a risultati positivi: le piante di saxaul stanno piano piano contribuito alla stabilizzazione del suolo, fermando il movimento di sali e sabbie tossiche e aiutando a ridurre l'incidenza di tubercolosi e altre malattie. Inoltre, l'iniziativa ha promosso la rigenerazione ecologica e creato opportunità di reddito sostenibile, impiegando aziende locali per piantare gli alberelli di saxaul.

Fonte: BáthoryPéter/ Wikimedia Commons

Nonostante questi piccoli progressi incoraggianti, specialmente nella parte settentrionale del lago, il ripristino completo del Lago d'Aral sembra un’impresa improbabile. Lo dimostrano anche i dati: secondo il comitato esecutivo del Fondo internazionale per il salvataggio del lago d'Aral (IFAS), che coordina la cooperazione tra paesi per utilizzare in modo più efficace le risorse idriche esistenti e migliorare la situazione ambientale e socioeconomica della regione del Lago d'Aral, il ripristino del livello dell'acqua del lago a 53 m richiederebbe un rifornimento annuo di circa 65 miliardi di tonnellate di acqua, l’acqua che si userebbe per riempire 26 milioni di piscine olimpioniche. Senza dimenticare che le richieste di agricoltura continueranno necessariamente (o addirittura aumenteranno) anche a causa delle temperature sempre più alte.

Se da una parte il destino del Lago d'Aral è incerto, dall’altra una cosa è chiara: il panorama desolato che ci troviamo davanti oggi è – ancora una volta – il risultato di un'epoca in cui lo sviluppo economico ha avuto la meglio sull'ambiente. Oggi, fortunatamente, la salvaguardia dell'ambiente è diventata una priorità a livello globale, capace di influenzare decisioni politiche, la ricerca scientifica, fino alla nostra quotidianità. È per questo che è essenziale raccontare storie come quella del Lago d'Aral, affinché possiamo imparare dai nostri errori e costruire un domani più sostenibile.

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Polentona acquisita e curiosa instancabile. Sono a Milano dal 2016 e scrivo per passione da quando ho cinque anni. Amo il altro…