Bike sharing: come è nato e come è diventato un segno distintivo delle green city

L’idea del bike sharing non poteva che nascere ad Amsterdam, in una delle città in cui la bicicletta è il principale mezzo di trasporto, ma è a Copenaghen che il progetto viene poi veramente attuato. E in poco più di vent’anni la bici condivisa ha conquistato sempre più luoghi in Europa e oltreoceano, diventando il simbolo della mobilità sostenibile su due ruote.
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Rubrica a cura di Gaia Cortese
8 Maggio 2019

Segno distintivo di una mobilità sostenibile, vanto di sempre più green city in tutto il mondo, il bike sharing fa ormai parte del nostro quotidiano. Ma di chi è stata l’idea di condividere le due ruote in ambito urbano? Sembra che tutto abbia avuto inizio da un gruppo di persone un po’ fuori dalle righe ad Amsterdam nel luglio del 1965.

Un'iniziativa anarchica

Secondo quanto racconta l’Economist, una notte di luglio, un gruppo anarchico olandese chiamato Provo aveva distribuito dei volantini che annunciavano la fine del "regno dell’asfalto della borghesia motorizzata". Il giorno successivo due attivisti del gruppo anarchico, Roel van Duijn e Luud Schimmelpennink, verniciarono di bianco tre biciclette nere nella Spui, una piazza centrale di Amsterdam e qui le lasciarono. Nei giorni successivi altre bici furono dipinte di bianco e lasciate libere in giro per la città.

Sui volantini distribuiti dagli attivisti di Provo si leggeva: "La bici bianca è il nuovo sistema gratuito del trasporto comunale". Ma l’esperimento fallì presto. Sempre secondo l’Economist sembra che la polizia olandese sequestrò le bici bianche sulla base di una legge del 1928 secondo cui ogni bicicletta doveva essere munita di un lucchetto. Oltretutto, la maggior parte delle bici venne rubata o danneggiata e Provo abbandonò l’iniziativa.

Nascita del bike sharing a Copenaghen

Bisogna aspettare gli anni Novanta per veder cambiare le cose. Il notevole aumento delle auto in circolazione e una nuova sensibilità ambientale fanno sì che torni nuovamente in mente lo strampalato esperimento degli anarchici olandesi. Eppure, la prima città ad adottare il bike sharing è Copenaghen. In quegli anni viene lanciato il bike sharing Bycyklen: le biciclette possono essere utilizzate introducendo una moneta da 20 corone come cauzione e possono essere lasciate ovunque si voglia. E naturalmente per scoraggiare qualsiasi mal intenzionato, le bici del bike sharing vengono costruite con componenti che non possono essere utilizzabili su altri modelli. I furti ci sono lo stesso, ma nel complesso il servizio sembra funzionare, e pertanto non viene abbandonato.

Il noleggio con la tessera magnetica

Qualche anno dopo, nel Regno Unito viene inventato un sistema di bike sharing che si sblocca passando una tessera magnetica in specifici parcheggi: è un modo per poter finalmente rintracciare chi danneggia o ruba una bicicletta. L’anno dopo è la volta di una città francese, Rennes, che lancia un servizio di bike sharing simile con 200 biciclette e 25 stazioni distribuite per la città. Nel 2005 Lione lanciò un servizio simile ma su una scala ancora più grande. In questo caso non si può più parlare di esperimenti, ma di servizi di trasporto pubblico ormai collaudati. Prima Rennes, poi Lione, fino ad arrivare a Parigi, dove nel 2007, viene lanciato l'attuale Vélib.

Free floating: cos'è e come funziona

Che dire poi del free floating, un sistema ideato appositamente per lasciare le biciclette dove si desidera anziché nelle apposite stazioni. Lo abbiamo conosciuto in Italia con Mobike, prima a Firenze e poi a Milano. Questo servizio di bike sharing permette di prendere la bicicletta, di usarla e di lasciarla in qualsiasi luogo della città. Le biciclette non devono essere riposte, come succede con i tradizionali bike sharing, nelle apposite stazioni a rastrelliera, ma permettono di raggiungere la propria destinazione senza dover mettere giù i piedi dai pedali neanche per un metro.

(Modificato da Alessandro Bai il 20-1-21)

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