Nuova ipotesi sulle cause dell’Alzheimer: ridiscusso il ruolo chiave della proteina beta amiloide

Non sarebbero le placche di beta amiloide che si formano nel cervello a scatenare l’Alzheimer bensì il calo dei livelli della forma solubile e originale di questa proteina, ovvero la beta amiloide 42, che in alcune circostanze tende a trasformarsi nei depositi insolubili che fino ad ora erano ritenuti responsabili di questo tipo di demenza.
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Alessandro Bai 21 Ottobre 2022
* ultima modifica il 22/10/2022

C'è una nuova scoperta che potrebbe fare luce sulle cause della malattia di Alzheimer. In passato, forse avrai sentito parlare anche tu delle placche di proteina beta amiloide, degli accumuli proteici individuati nel cervello di molto pazienti e ritenuti quindi responsabili di questa forma di demenza. Tuttavia, un nuovo studio condotto dall'Università di Cincinnati, e recentemente pubblicato sul Journal of Alzheimer's Desease, rimette in discussione questo rapporto causa effetto.

Stando ai risultati raggiunti dai ricercatori, l'Alzheimer potrebbe insorgere quando diminuiscono i livelli di beta amiloide 42, ovvero la forma originale e solubile della proteina che è coinvolta in diverse funzioni cognitive, tra cui la memoria, e che in determinate circostanze tende appunto a trasformarsi in depositi insolubili, quelli che chiamiamo placche.

All'origine della malattia, però, ci sarebbe il calo dei livelli della proteina originale, e non invece la formazione degli accumuli come si pensava fino ad ora. In realtà, c'erano già diversi indizi che suggerivano come questa ipotesi potesse essere sbagliata: spesso e volentieri, infatti, gli anziani che hanno una grande quantità di placche di proteina beta amiloide nel cervello non manifestano sintomi di Alzheimer, mentre i farmaci sviluppati per agire su queste stesse placche amiloidi non riescono ad alleviare i sintomi di chi è affetto dalla malattia.

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Le placche di proteina beta amiloide potrebbero essere la conseguenza del calo dei livelli di beta amiloide 42, ritenuto il nuovo responsabile dell’Alzheimer.

L'esperimento condotto dal team di ricerca ha coinvolto un gruppo di pazienti con una rara mutazione genetica che li rende più predisposti alla formazione di placche di proteina beta amiloide e quindi, secondo l'ipotesi più diffusa, più inclini a sviluppare l'Alzheimer. In un periodo di monitoraggio di tre anni, è emerso che, nonostante tutti i pazienti avessero la predisposizione agli accumuli amiloidi, i bassi livelli della beta amiloide 42 rappresentavano un fattore di rischio ben più importante per l'insorgenza della demenza.

In particolare, come spiegato dal coordinatore Alberto Espay, "abbiamo scoperto che gli individui che stavano già accumulando placche nel cervello ma erano in grado di generare livelli più alti di beta amiloide solubile hanno un rischio più basso di sviluppare una forma di demenza in un arco di tempo di tre anni".

La scoperta che mette in luce il ruolo chiave della beta amiloide 42, che fornirebbe una sorta di protezione contro lo sviluppo dell'Alzheimer, apre naturalmente la strada a nuove promettenti opzioni terapeutiche, capaci ad esempio di ristabilire i corretti livelli di beta amiloide 42 nei soggetti che presentano una carenza, assicurandosi anche che la proteina rimanga in forma solubile ed evitando la sua trasformazione in placche.

Nel frattempo, sono stati fatti grossi passi avanti anche nell'individuazione della malattia: recentemente, la FDA statunitense ha autorizzato la commercializzazione di un test per la diagnosi precoce di Alzheimer, mentre un team dell'Imperial College di Londra ha testato un algoritmo che permetterebbe di diagnosticare la forma di demenza attraverso una risonanza magnetica.

Fonte | "High Soluble Amyloid-β42 Predicts Normal Cognition in Amyloid-Positive Individuals with Alzheimer's Disease-Causing Mutations" pubblicato su Journal of Alzheimer's Desease il 4 ottobre 2022

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