La malattia da virus Ebola è un’infezione molto grave, nota anche come febbre emorragica, e può essere fatale per l’uomo. Attualmente in Europa la popolazione è al sicuro. La vera epidemia, che ha ormai raggiunto dimensioni internazionali, è quella della Repubblica Democratica del Congo, che quest’estate ha lanciato l’emergenza sanitaria: sono morte quasi 2mila persone, ci sono stati 3mila contagi e, purtroppo, questi dati nascondono un sommerso che non si può quantificare.
Il virus Ebola provoca una febbre emorragica, causata da 6 differenti tipi di virus (Bundibugyo ebolavirus, Zaire ebolavirus, Reston ebolavirus, Sudan ebolavirus, Taї Forest ebolavirus e Bombali ebolavirus), capaci di scatenare una serie complessa e rapidissima di sintomi. La trasmissione avviene per contatto umano diretto con organi, sangue e altri fluidi biologici (per esempio saliva, urina, vomito) di soggetti infetti (vivi o morti) e indiretto con ambienti contaminati da tali fluidi. Può essere letale con una percentuale davvero molto elevata, ovvero tra il 25% al 90% dei casi.
Si è parlato per la prima volta di Ebola nel 1976 dopo l'epidemia di febbre emorragica scoppiata in Sudan e Zaire. Probabilmente le prime epidemie sono iniziate in Africa centrale e occidentale, perché queste infezioni sono comuni negli animali selvatici di quelle zone, come scimpanzé, gorilla, pipistrelli della frutta (Pteropodidae), scimmie, antilopi e porcospini trovati malati o morti nella foresta pluviale.
Nel 2014 una grande epidemia è scoppiata nelle aree rurali della Guinea e si è diffusa rapidamente nelle aree urbane densamente popolate di questo Stato ma anche in quelle della Liberia e della Sierra Leone. Le epidemie di Ebola hanno coinvolto migliaia di persone e circa il 59% dei soggetti infetti è deceduto. Qual è il problema? Come puoi immaginare, nel mondo moderno le persone viaggiano e si spostano molto facilmente. Un numero limitato di viaggiatori infetti (soprattutto operatori sanitari che stavano rientrando a casa) ha portato Ebola in Europa (come il famoso caso dell'infermiera di Madrid) e in Nord America. Nel 2016, dopo più di 2 anni, Sierra Leone, Guinea e Liberia sono state dichiarate libere da Ebola, ma la più violenta epidemia nel frattempo si è accesa nella Repubblica Democratica del Congo, dove ci sono già stati più di 2mila morti.
L'Italia non è un paese a rischio. La possibilità che un malato di Ebola arrivi nel nostro Paese diffondendo la malattia è del 5%. Un piccolo pericolo c'è, inutile negarlo, ma è davvero minino. Francia, Inghilterra, Belgio, che hanno collegamenti aerei diretti con i paesi africani dove è in corso l’epidemia, sono esposte a un rischio più elevato (circa il 20%).
I sintomi del virus ebola si manifestano da 2 a 21 giorni dopo il contagio. Il suo esordio è caratterizzato da febbre, astenia, mialgie, artralgie e cefalea. Con il progredire della malattia potrebbero manifestarsi anoressia, diarrea (talvolta con presenza di muco e sangue), nausea e vomito. Questa prima fase dura 10 giorni. La malattia è nota per essere una febbre emorragica, quindi il virus inizierà a danneggiare organi e apparati, causando sanguinamenti, e potrebbero subentrare alterazioni nella funzione epatica e renale, respiratoria, gastrointestinale, del sistema nervoso centrale (cefalea, confusione), vascolare (iniezione congiuntivale/faringea), cutaneo (esantema maculo papuloso).
Le cause di Ebola sono i virus della famiglia di virus Filoviridae che comprende tre generi: Cuevavirus, Marburgvirus ed Ebolavirus. All'interno del genere Ebolavirus, sono state identificate sei specie: Zaire, Bundibugyo, Sudan, Taï Forest, Reston e Bombali. Il virus che causa l'epidemia attuale nella Repubblica Democratica del Congo e l'epidemia dell'Africa occidentale 2014-2016 appartiene alle specie di ebolavirus dello Zaire.
La trasmissione del virus Ebola in principio è dovuta ai pipistrelli della frutta, che sono gli ospiti naturali di questo virus. In realtà, l’uomo ne è entrato in contatto anche per la vicinanza con altri animali come gorilla, scimmie, antilopi o istrici trovati malati o morti o nella foresta pluviale. Come avviene il contagio?
Sono esposti a rischio gli operatori sanitari che spesso per prestare soccorso vengono infettati dai malati, quando ovviamente le precauzioni per il controllo non sono praticate scrupolosamente, magari perché i sintomi sono in fase di esordio. In molti si sono ammalati alle cerimonie funebri, che comportano il contatto diretto con il corpo del defunto.
I pazienti rispondono bene alla cura, il problema è la diagnosi, perché spesso è difficile distinguere clinicamente un’infezione da Ebola con quella provocata da altre malattie infettive come la malaria, la febbre tifoide e la meningite. Come puoi immaginare sono dunque molto importanti gli esami diagnostici. Quali?
Test raccomandati dall'OMS includono:
Una volta verificato che si tratta di Ebola, il medico dovrebbe precedere con una terapia di supporto, utile per la reidratazione dei fluidi (potrebbe scegliere delle soluzioni orali o per endovena). Non esiste una terapia specifica, ma sono in fase di valutazione dei percorsi terapeutici con emoderivati, terapie immunitarie e terapie farmacologiche.
Esiste un vaccino? sì. C’è un vaccino sperimentale che si è dimostrato altamente efficace. È noto con la sigla rVSV-ZEBOV. Attualmente è in uso per bloccare l’epidemia in corso nella Repubblica Democratica del Congo. E poi ci sono due nuovi farmaci testati dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) e dal Niaid. Sono un insieme di anticorpi monoclonali, il REGN-EB3 e il mAb-114, che iniettati nel sangue dei pazienti si sono dimostrati attivi nel curare la malattia. Sono ancora in fase di studio: ora è in corso il trial sul campo.
Il decorso di Ebola è molto rapido: ci vogliono da 2 a 21 giorni per la manifestazione dei primi sintomi. La fase prodromica dura 10 giorni. Successivamente la malattia diventa emorragica e sono viene fermato il virus il rischio di morte è tra il 25 e il 90 percento dei casi. Purtroppo si resta contagiosi finché il virus è nel sangue.
Si previene principalmente con misure igieniche. Attenzione, non è facile ed è un processo molto lungo. L’Oms sostiene che sia fondamentale aumentare la consapevolezza dei fattori di rischio per l'infezione da Ebola e le misure protettive (compresa la vaccinazione). Inoltre, gli interventi utili sono:
Nonostante il quadro possa fare paura, è importante stare sereni. L'Italia non corre rischi. Ne abbiamo parlato con il dottor Giuliano Rizzardini, direttore del dipartimento Malattie infettive dell'ospedale Sacco di Milano.
"La malattia da virus Ebola è una malattia grave e spesso fatale per l’uomo. È stata descritta per la prima volta nel 1976 nell’attuale Repubblica Democratica del Congo (RdC). Da allora, cluster epidemici sono stati descritti periodicamente in diversi Paesi africani. Fino al 2000 in genere, si è trattato di piccole epidemie accompagnate però da un tasso di mortalità elevato. Nel 2000 nel Nord Uganda abbiamo avuto un' epidemia con quasi 500 casi e una mortalità del 53%: Nel 2014-2016 abbiamo assistito alla più grande epidemia mai vista con quasi 30000 casi osservati nell'amica occidentale in particolare Guinea, Sierra Leone e Liberia. Dal 2018 stiamo invece assistendo ad un' ampia epidemia nella Repubblica Democratica del Congo che, ad oggi, non si è ancora esaurita. L'Italia non è un paese a rischio. Durante le epidemie nel continente africana, scatta un sistema di allerta per la gestione dei possibili casi importi, sistema di allerta che fa capo al Ministero della Salute e che, ad oggi, fa capo a due strutture di riferimento che sono l'Ospedale Sacco di Milano e lo Spallanzani di Roma".
Confermata però l'assenza di una terapia. "Non esiste ancora un trattamento provato efficace per la malattia da virus ebola. È attualmente in fase di valutazione una gamma di potenziali trattamenti tra cui emoderivati, terapie immunitarie e terapie farmacologiche. Quello che si è dimostrato efficace, in particolare nei casi trattati in Occidente, è stata però un' adeguata e costante terapia di supporto: reidratazione con fluidi orali o endovenosi, trattamento dei sintomi e dei deficit specifici (febbre, eventuali sovrainfezioni, ecc)".
Fonti | Fondazione Veronesi; OMS