
Successo o fallimento? Per giudicare l'esito della Cop26 di Glasgow bisogna andare oltre il linguaggio da stadio. Per quanto il testo finale sia stato annacquato all'ultimo minuto dall'India, con il supporto della Cina, (con quel passaggio da "phase out" a "phase down" sul carbone), è riduttivo dire che la Cop26 sia stato l'ennesimo "bla bla bla", come ha twittato a caldo Greta Thunberg. Questo perché mettere d'accordo 197 Paesi del mondo non è affatto semplice, e quello negoziale è un processo molto complicato.
Diverse questioni importanti rimangono sospese, soprattutto nel terreno della finanza climatica: i Paesi più ricchi non sono riusciti ancora a garantire il fondo da 100 miliardi per sostenere la transizione ecologica nei Paesi in via di sviluppo, promesso nel 2009, né sono state chiarite le modalità di erogazione delle risorse per finanziare il sistema di "loss and damage", ovvero quel meccanismo di risarcimento nei confronti dei Paesi più vulnerabili, che già stanno pagando un prezzo molto alto per le conseguenze della crisi climatica.
Tuttavia, ci sono anche degli elementi positivi da segnalare. Come il riconoscimento da parte della comunità internazionale di contenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 gradi rispetto all'epoca preindustriale. Viene inoltre fissato come obiettivo di decarbonizzazione al 2030 la riduzione delle emissioni del 45% rispetto ai livelli del 2010. I Paesi del mondo sono chiamati ad aggiornare i loro Ndc (Nationally Determined Contributions), ovvero i piani nazionali di riduzione delle emissioni, per il 2022. Appuntamento dunque al prossimo novembre a Sharm El Sheikh, in Egitto, dove si terrà la Cop27.
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