La tenacia di Roberta Amadeo, campionessa di handbike: “La sclerosi multipla non mi ha fermata”

Comasca, classe 1970, Roberta è salita per la prima volta su un handbike una decina di anni fa ed è arrivata a conquistare il titolo mondiale nel 2019, per poi fare il bis quest’anno. Nonostante la malattia, si è rimessa in gioco e non ha mai smesso di coltivare la sua passione per lo sport: “L’handbike mi ha regalato una seconda giovinezza”.
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Federico Turrisi 4 Settembre 2021

Per molti versi è simile a una bicicletta. Solo che possiede tre ruote, anziché due, e al posto della forza delle gambe si utilizza quella delle braccia. Stiamo parlando dell'handbike, un mezzo reso familiare al grande pubblico soprattutto dalle vittorie (tra cui quattro medaglie d'oro e due d'argento alle Paralimpiadi) conquistate da Alex Zanardi, l'ex pilota automobilistico rimasto vittima l'anno scorso di un grave incidente sulle strade della val d'Orcia.

L'handbike è da tempo la compagna di avventura anche di Roberta Amadeo, 51 anni, di Como. La sua è una storia fatta di passione e di determinazione. Nel 1992 a Roberta è stata diagnosticata la sclerosi multipla. La malattia però non le ha impedito di mettersi in sella a un handbike e di competere a livelli agonistici.

Allenamenti su allenamenti, gara dopo gara, Roberta è stata in grado di costruirsi un percorso sportivo, che l'ha portata a diventare campionessa mondiale di questa disciplina nel 2019 e poi ancora nel 2021. La sua missione, non solo come atleta ma anche come presidente nazionale, per due mandati, dell'Aism (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), è sempre stata quella di dare dignità alle persone con sclerosi multipla anche nel mondo del ciclismo. Domani interverrà agli Emoving Days, l'evento dedicato alla mobilità sostenibile che si tiene a Milano proprio questo weekend, per parlare della sua esperienza e ribadire come la bicicletta sia il mezzo più inclusivo di tutti.

Come è nato il rapporto con l'handbike?

È stato amore a prima vista, anche se ho tentennato un paio di mesi, non di più, prima di salirci su. Nel 2010 sono andata a vedere una gara: la prima tappa in assoluto del Giro d'Italia di handbike si è corsa proprio in un paese del Comasco, a Bregnano. Sono rimasta folgorata da questo mezzo, anche perché lo sport è sempre stato nelle mie corde. Allora con la sclerosi multipla il pensiero comune era "abbandona qualsiasi attività sportiva, perché ti affatica ulteriormente". Adesso le cose sono cambiate. Grazie al lavoro della ricerca riabilitativa si è capito che l'allenamento aiuta nella gestione della fatica, che è uno dei sintomi invalidanti della sclerosi multipla.

Che cosa ti ha affascinato dell'handbike?

Quando l'ho provata per la prima volta, ho fatto un giro su una pista di atletica. E in pochi metri ho subito riassaporato la dinamicità, il movimento, il vento tra i capelli, il senso di libertà ma anche quello di pari opportunità. In quel momento già mi immaginavo di andare in giro con i miei amici: loro in sella a una bici da corsa, io su un'handbike. Ho cominciato quindi con allenamenti blandi, perché la sclerosi multipla c'è e bisogna tenerne conto. Quanto meno, bisogna prenderne un po' le misure. Il tempo di crescere, di aumentare giorno dopo giorno il livello e l'endurance, e ho cominciato a fare le gare.

Fino ad arrivare sul primo gradino di un mondiale…

Per due volte: nel 2019 e nel 2021. Ma ci tengo a sottolineare una cosa. Posso ottenere tutti i successi sportivi del mondo, essere soddisfatta e fermarmi lì. Ma non è quello che voglio. Il mio obiettivo (ed è questa è la ragione per cui ho cercato e cerco tuttora di dare il mio contributo all'interno dell'Aism) è quello di compiere qualcosa che duri nel tempo, in un'ottica di condivisione e di sensibilizzazione.

Ci può spiegare meglio?

Vorrei far capire che, se ce l'ho fatta io, ce la possono fare anche le altre persone affette da sclerosi multipla. Dopo tutte le valutazioni fisiche del caso ovviamente, nel senso che bisogna andare a fare una visita e farsi classificare in qualche modo, prima di poter partecipare alle competizioni agonistiche; i medici devono cioè dare una sorta di punteggio al livello di disabilità. Ma non è neanche necessario arrivare a livelli agonistici. L'importante è mettersi in gioco. A pensarci bene, l'handbike mi ha regalato una seconda giovinezza. Del resto, a 40 anni ho iniziato e a 49 sono diventata campionessa del mondo.

Si può considerare la bici come un mezzo non solo rispettoso dell'ambiente, ma anche inclusivo, che permette di abbattere le barriere?

Assolutamente sì. In fondo, l'handbike, anche se è un po' diversa, è la mia bicicletta. E poi l'attività sportiva, più in generale, è salutare. Non importa se fai handbike, tennis tavolo o qualunque altro sport. La stella polare dovrebbe essere sempre il benessere. Io dico sempre che la motivazione è il "doping" della vita. Attraverso gli obiettivi si costruisce il percorso, che è ciò che conta davvero. Per me chiaramente la sclerosi multipla è una grande scocciatura, per usare un eufemismo. Ma non sarà mai un alibi.

Progetti per il futuro?

Per i giochi paralimpici di Tokyo, che si stanno per concludere, non sono stata convocata. Ma adesso voglio provare a prepararmi per Parigi 2024, se la testa e il fisico tengono.

Credits photo: Aism