L’Australia è il primo Paese ad approvare l’uso dell’ecstasy in ambito psichiatrico: cosa significa

Non si tratta di una notizia inaspettata: il cosiddetto “Rinascimento psichedelico” è in corso ormai da diversi anni con istituti di ricerca attivi in diverse parti del mondo tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Canada e anche Italia. In futuro potremmo sentire parlare sempre di più di queste terapie. Ma in cosa consistono? E per quali pazienti sono indicate al momento?
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Giulia Dallagiovanna 6 Febbraio 2023
* ultima modifica il 06/02/2023

A partire dal prossimo luglio, chi abita in Australia potrebbe ritrovarsi con un'insolita prescrizione del proprio psichiatra: MDMA e psilocibina, sostanza contenuta nei funghi allucinogeni, per il trattamento del disturbo post-traumatico da stress o della depressione. La Therapeutic Goods Administration (Tga), autorità che regola l'autorizzazione e l'immissione dei farmaci sul mercato australiano, ha annunciato che queste due sostanze cambieranno classificazione, passando da "sostanze proibite" a "sostanze da utilizzare sotto stretto controllo". Sebbene sia il primo Paese a inserire l'ecstasy nell'ambito dei trattamenti psichiatrici disponibili, la notizia non arriva come un fulmine a ciel sereno. Il dibattito sulla somministrazione di sostanze psichedeliche in ottica terapeutica è in corso da almeno un decennio e gli studi hanno visto un incremento soprattutto a partire dal 2020. Stiamo insomma vivendo quello che è già stato ribattezzato il Rinascimento psichedelico, un rinnovato interesse verso questi composti nel tentativo di fornire una cura più efficace a diversi disturbi psicologici.

Ma andiamo con ordine. Il problema di partenza è l'inefficacia dei farmaci tradizionali, tra cui antidepressivi e ansiolitici, nei confronti di alcuni pazienti. Nello specifico, circa un terzo dei pazienti trattati con questi composti non ha ottenuto alcun beneficio significativo. Stiamo parlando di persone affette principalmente da depressione e ansia, ma anche da disturbo post-traumatico da stress, disturbo bipolare e così via. Di fronte a questo gap, diversi centri di ricerca in giro per il mondo si sono ricordati di una classe di farmaci che tra gli anni '50 e ‘6o aveva riscosso particolare interesse clinico: le sostanze psichedeliche. Proprio così, ben prima del loro uso ricreativo con tutti i rischi e i pericoli a esso connesso, LSD, ecstasy, ketamina e altri composti venivano testati per un loro eventuale impiegno in ambito psichiatrico.

Ricerche, studi e trial sono ad oggi in corso ad esempio negli Stati Uniti, in Canada, nel Regno Unito, in Svizzera e anche in Italia. Di pochi giorni fa è la notizia di uno studio dell'Università di Chieti-Pescara sull'efficacia di uno spray nasale a base di esketamina per il controllo dei sintomi del disturbo bipolare. Già nel 2019, l'FDA, l'organo che regola l'approvazione dei farmaci negli USA, aveva dato l'ok per l'utilizzo di questo spray nel trattamento della depressione in pazienti resistenti alle terapie tradizionali. Inoltre, a partire dal 2023, in Oregon e Colorado è possibile prescrivere la psilocibina in ambito psichiatrico.

Insomma, la notizia che arriva dall'Australia deve essere letta in questo contesto ed è importante sottolineare che è il risultato di dati prodotti da studi clinici randomizzati e controllati in doppio cieco.

Quindi, ricapitoliamo: l'MDMA, ovvero l'ecstasy, e la psilocibina potranno essere prescritte unicamente a quei pazienti affetti da PTSD o depressione che non hanno ricevuto benefici dai trattamenti tradizionali già in uso. E la ragione è che, come la stessa Tga specifica, "queste sono le uniche condizioni per le quali sono a disposizione evidenze sufficienti rispetto ai potenziali benefici in pazienti specifici".

Queste sostanze infatti hanno dimostrato di agire con maggiore rapidità ed efficacia rispetto alle terapie convenzionali, stimolando la formazione di nuove strutture neurali in specifiche aree del cervello legate proprio all'umore e alle emozioni.

C'è un però. L'assunzione di queste sostanze è prevista solo in ambienti controllati. Prima di tutto perché pongono il paziente in uno stato di vulnerabilità e in secondo luogo perché possono avere effetti collaterali, anche seri, che devono essere monitorati. Tra questi, la Tga indica: cali di pressione, debolezza, attacchi di panico, convulsioni, nausea, febbre, chiusura involontaria della mascella e sudorazioni. In casi più rari, inoltre, possono subentrare stati simili alla psicosi oppure si possono riportare traumi in seguito all'esperienza.

Per ridurre il rischio di reazioni avverse gravi, la soluzione individuata al momento è quella di procedere per microdosaggi. Il futuro, probabilmente, sarà quello di farmaci che abbiano gli stessi benefici degli psichedelici ma senza gli effetti collaterali più gravi.

Fonte| Therapeutic Goods Administration

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.