Risonanza magnetica multiparametrica per la diagnosi del tumore della prostata

Il tumore della prostata è il più diffuso tra la popolazione maschile, e come sempre in questi casi la diagnosi precoce rappresenta l’arma più efficace a disposizione. Ecco perché oggi ti parlo della Risonanza Magnetica multiparametrica, una nuova tecnica di screening innocua e non invasiva. Ci spiega tutto il radiologo Francesco De Cobelli dell’IRCCS San Raffaele di Milano.
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Paola Perria 19 Ottobre 2018
* ultima modifica il 18/03/2019
Intervista al Dott. Francesco De Cobelli Professore Ordinario di Radiologia presso l’Università Vita - Salute San Raffaele e Responsabile dell’Unità di Risonanza Magnetica dell’Ospedale San Raffaele a Milano

Si stima che un uomo su sei svilupperà un tumore della prostata nel corso della sua vita. Si tratta di cifre che possono spaventare, ma attenzione, ammalarsi di cancro non equivale a morirne! Con la diagnosi precoce e le nuove cure sempre più mirate ed efficaci, è oggi possibile arrivare al traguardo della guarigione a 5 anni dalla prima diagnosi della malattia. La prevenzione, quindi, intesa anche come regolarità nei controlli, è cruciale perché rappresenta la nostra più potente arma contro qualunque forma di neoplasia. L'adenoma prostatico, se individuato in tempo, non sempre necessita di cure specifiche, soprattutto se localizzato e poco aggressivo.

Talvolta può bastare quello che i medici definiscono "sorveglianza attiva", una sorta di monitoraggio costante che senza interventi invasivi permette di tenere a bada la neoplasia, essendo ovviamente pronti ad agire nel momento in cui dovesse diventare pericolosa. A proposito di prevenzione, e di diagnostica, una delle metodiche che si sta imponendo come particolarmente efficace e precisa nella individuazione e localizzazione di tumori prostatici è la risonanza magnetica multiparametrica. Ce ne parla il dottor Francesco De Cobelli, Professore Ordinario di Radiologia presso l’Università Vita – Salute San Raffaele e Responsabile dell’Unità di Risonanza Magnetica dell’Ospedale San Raffaele a Milano.

Iniziamo dai fondamentali: come funziona una RM tradizionale?

La RM è una tecnica di imaging diagnostico che esiste da 30 anni e che non utilizza radiazioni nocive per il corpo umano ma campi magnetici e radiofrequenze del tutto innocui, pertanto utilizzabili sia nei bambini che nelle donne in gravidanza. Addirittura oggi esiste una tipologia di RM detta fetale, che serve per individuare patologie e malformazioni nel feto. Nella RM il corpo umano viene inserito in una grossa calamita, un magnete, ed esposto alle radiofrequenze dinamiche che “eccitano” le molecole d’acqua di cui siamo fatti. Poi il macchinario viene spento e si possono osservare le immagini “di ritorno” degli organi interessati.

Queste immagini permettono quindi di capire cosa succede nel corpo?

Sì, ovviamente in caso di patologie di vario tipo ne evidenzia le alterazioni perché la RM, più di ogni altra tecnica di imaging diagnostico, è in grado di caratterizzare i tessuti individuandone le alterazioni strutturali. Si possono vedere tutte le variazioni di segnale rispetto ai tessuti sani, normali.

Quali sono i principali campi di applicazione della RM in generale?

Il campo oncologico, e sempre più quello neurologico, senza dimenticare il settore della cardiologia e dell’ortopedia. Ma negli ultimi anni il maggior sviluppo si è avuto in oncologia e qui arriviamo alla RM multiparametrica, tecnica che permette di ottenere più risposte attraverso un differente modo di interrogare i tessuti.

Multiparametrica perché utilizza parametri diversi?

Sì, possiamo interrogare i tessuti sulle loro diverse composizioni. Esempio: la composizione cellulare, ovvero quanto più un tessuto è cellularizzato, che si valuta con la tecnica di diffusione. La composizione strutturale che si ottiene con la tecnica di rilassamento delle molecole d’acqua in modo da capire se un tessuto è più o meno edematoso, quindi ricco di liquidi. Altro parametro è la vascolarizzazione. Un tessuto tumorale ha una composizione diversa, sia dal punto di vista della cellularità che della vascolarizzazione, rispetto ad un tessuto sano. Mettendo insieme tutte queste informazioni multiparametriche è possibile arrivare ad una diagnosi più precisa, soprattutto quando parliamo di tumori.

A tal riguardo, perché proprio il tumore della prostata?

Intanto perché, sotto il profilo epidemiologico, il tumore della prostata è da considerarsi oggi quasi endemico, per la sua incidenza sulla popolazione maschile. Poi perché è un tumore con diverse “facce”, ovvero può essere più o meno aggressivo. Inoltre era finora l’ultimo tipo di tumore ad essere diagnosticato con la cosiddetta biopsia “random”.

Ci spieghi meglio…

In presenza di un PSA alterato e di un  “sospetto” di tumore, si effettuava la biopsia, una procedura molto invasiva che prevede l’inserimento di una sonda transrettale. “Random” significa che venivano effettuati anche 12-16 prelievi di campioni di tessuto sulla base di una “mappatura” geografica dell’organo. Questo metodo ha due potenziali limiti: intanto l’invasività non del tutto scevra da rischi e secondo la possibilità di NON campionare le cellule tumorali.  Infatti le biopsie random hanno una percentuale di efficacia nell’individuare le cellule tumorali del 30%, il che significa che due tumori su tre non vengono diagnosticati.

Ed ecco che arriviamo alla RM multiparametrica. Quando inizia ad essere applicata specificamente per la diagnosi del tumore prostatico?

In modo esteso direi non più di 5 anni fa, è stata una rivoluzione vera e propria. Senza entrare troppo nel dettaglio si tratta di una tecnica che usa tre diverse tipologie di sequenze con e senza contrasto le quali forniscono informazioni che ci dicono se c’è una elevata probabilità di riscontrare noduli neoplastici nella prostata. Oggi esistono dei criteri, delle linee guida internazionali su come deve essere fatta la diagnosi di tumore prostatico e che lo classificano sulla base di una gradazione – detta PIRADS score – che va da 1 a 5. Numero 1 e numero 2 significano bassissima probabilità che via sia un tumore significativo, 4 e 5, invece, ci dicono che c’è un’elevata probabilità, mentre il 3 è una classificazione dubbia. La biopsia prostatica si va ad effettuare quindi solo quando la gradazione è elevata, non negli altri casi in cui lo score è basso.

Quindi vi è una maggiore precisione nella diagnosi?

Certo, se la RM è negativa è quasi certo che il paziente effettivamente non abbia un tumore prostatico, la tecnica ha un valore predittivo negativo del 90%. Se, invece, la RM è positiva, allora si può fare la biopsia “mirata”. La RM è inoltre strumento indicato per il monitoraggio delle condizioni dubbie e nella cosiddetta “sorveglianza attiva”.

Cioè?

Una volta che si è effettuata la biopsia e si è giunti alla diagnosi di tumore, si procede alla sua classificazione in base all’aggressività che a sua volta si basa sull’esame istologico secondo la classificazione di Gleason. Il paziente con un Gleason score inferiore o uguale a 6 è considerato a basso rischio, uguale o superiore a 7 ad alto rischio. Solo il paziente ad alto rischio va “trattato”, quindi sottoposto ad un intervento invasivo come la prostatectomia o la radioterapia. Sono trattamenti che possono comportare effetti collaterali importanti come l’impotenza e l’incontinenza. Al contrario, il paziente con Gleason score inferiore a 7 può non essere sottoposto ad alcun intervento, e rientrare nei protocolli di "sorveglianza attiva", alcuni dei quali prevedono anche l'utilizzo  della RM multiparametrica.

In questo caso quindi si effettuano solo dei controlli?

Non proprio. Si chiama programma di “sorveglianza attiva” perché secondo intervalli di tempo ben definiti a seconda del protocollo si effettuano PSA, RM e biopsie per vedere se il tumore si è modificato nel tempo.

Esiste una preparazione specifica per sottoporsi alla RM multiparametrica?

Ecco, qui entra in gioco un altro “tema” che è quello dell’utilizzo della bobina endorettale. Alcuni Centri la usano, altri no. Si tratta di una sonda che viene inserita nel retto del paziente e che amplifica il segnale che arriva dalla prostata ma che è un pochino fastidiosa. Nel nostro centro viene utilizzata perché ritengo che la bobina endorettale migliori significativamente il segnale e quindi la qualità delle immagini ottenute. Per tale ragione la preparazione consiste in un clistere e nel digiuno di 6 ore.

L’esame è doloroso? E quanto dura?

Non è doloroso e la durata è intorno ai 20-25 minuti. Successivamente si possono riprendere normalmente le proprie attività e anche gli esiti sono quasi immediati. I tempi di elaborazione delle immagini sono rapidi, nell’ordine della mezzora, non di più, dopo le quali è già possibile dare delle indicazioni di massima al paziente anche per eventuali successive procedure.

Ultima domanda: la RM multiparametrica può essere utilizzata per la diagnosi e/o il monitoraggio di altri tumori?

Di fatto viene già utilizzata questa tecnica per il tumore della mammella. Anzi, diciamo che la definizione di “multiparametrica” è stata coniata specificatamente per il tumore della prostata, ma di fatto la metodica viene utilizzata in campo oncologico in generale, anche per il tumore del fegato e altri. Inoltre essendo un esame innocuo è il più idoneo per le donne in gravidanza o in allattamento, ovviamente, in questo caso, senza mezzo di contrasto, quando vi sia il sospetto di un tumore della mammella, essendo la mammografia controindicata.

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