Senza ossigeno a più di 100 metri di profondità: superare i propri limiti con l’apnea subacquea

Superare i propri limiti in un ambiente non familiare come l’acqua. E farlo senza ossigeno, imparando a trattenere il respiro, a controllare i propri movimenti e a risparmiare energia per arrivare sempre più goiù, parecchi metri sotto il livello del mare. Tutto quello che devi sapere sull’apnea subacquea.
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Rubrica a cura di Gaia Cortese
23 Dicembre 2020

Attraversare una vasca lunga 25 metri in piscina trattenendo il respiro per molti è già un’impresa. Chissà quindi cosa puoi aver pensato guardando (se ti è capitato) Le Grand Bleu, il film di apertura del Festival di Cannes nel 1988, diretto da Luc Besson. Un film che vede come protagonisti due storici campioni di apnea subacquea, Jacques Mayol e Enzo Maiorca, più volte in competizione tra loro in diverse gare, sempre nella continua ricerca di nuovi record da stabilire.

Per la sua attività sportiva, Enzo Maiorca ha ricevuto moltissimi premi, tra cui la Medaglia d’Oro al valore atletico del Presidente della Repubblica (1964) e la Stella d’Oro al merito sportivo del CONI (1976); è stato il detentore di svariati record in apnea in assetto variabile e costante, ma da quando ha imparato a nuotare all’età di quattro anni, ha confessato di aver avuto sempre e comunque una grande paura del mare.

Già solo vedere alcune scene del film di Besson rende molto chiara l’idea, perché non si tratta di immergersi in acqua qualche metro trattenendo il respiro per pochi minuti; con l’apnea subacquea, fatta a certi livelli, ci si immerge a parecchi metri di profondità, dove gli abissi sembrano fagocitarti, il silenzio è assordante e il buio pesto.

Cos'è l'apnea subacquea

L’apnea subacquea è una disciplina sportiva che si può praticare a livello amatoriale come a livello professionistico, che si caratterizza per la totale assenza di ventilazione polmonare durante la performance.

Ci sono diverse specialità nell’apnea subacquea: quella statica, per esempio, è la forma più pura di apnea perché consiste nel raggiungimento del tempo massimo di assenza respiratoria; diversamente, quella dinamica, si sviluppa in movimento.

Con l’apnea profonda invece si raggiunge la profondità massima, che si misura attraverso un cavo guida perpendicolare al fondo, e a sua volta si differenzia in tre discipline: costante, variabile regolamentato e variabile no limits.

Nell’apnea in assetto costante si scende facendo affidamento solo sulle proprie forze, raggiungendo la quota senza zavorra e solo con le pinne; nell’apnea in assetto variabile si scende utilizzando una slitta con zavorra di massimo 30 kg e si risale pinneggiando o aiutandosi con il cavo guida.

Infine, nell’apnea variabile no limits la discesa sfrutta la propulsione di una slitta zavorrata senza limiti di massa, mentre in risalita si è facilitati dall'abbrivio di un pallone gonfiato a gas mediante una bombola applicata sulla slitta.

I rischi che si corrono in questa disciplina un po' estrema sono legati all’iperventilazione. In pratica, con l’iperventilazione, si forza un’ossigenazione al massimo della saturazione dei tessuti; purtroppo è anche vero che con questa tecnica i vari sensori che si trovano all’interno dell’organismo leggono questo aumento di ossigeno e iniziano al cervello un messaggio per cui l’assorbimento dell’ossigeno viene rallentato. Ne risulta che al termine dell’iperventilazione si evidenzia una carenza di ossigeno che sicuramente non ha effetti positivi sull’organismo, che non è concepito per lavorare in questo modo.

La sindrome di Taravana

Il termine taravana deriva dall’idioma polinesiano e significa "pazzia". Si tratta di una manifestazione neurologica di incidente da decompressione che colpisce alcuni apneisti che fanno immersioni ravvicinate. I sintomi di norma sono vertigini, paralisi e paresi dovute con ogni probabilità a un accumulo di azoto nei tessuti con la possibilità che si formino delle bolle gassose nel sangue venoso e, in caso di shunt tra circolazione destra e sinistra, che si verifichi un loro passaggio nella circolazione sistemica. In questi casi il trattamento in camera iperbarica è assolutamente necessario; qui viene somministrato ossigeno puro a una pressione maggiore rispetto a quella presente nell’ambiente in cui normalmente viviamo, fino alla normalizzazione delle condizioni del paziente.

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