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Epifisiolisi: come riconoscere la patologia all’anca e come recuperare dopo l’intervento

Con il termine epifisiolisi si intende lo slittamento della testa del femore dalla sua sede originale, con un vero e proprio distacco dall’anca, più comune in bambini e ragazzi: è molto importante diagnosticare subito il disturbo in quanto un riconoscimento precoce può evitare riabilitazioni complesse e lunghi tempi di recupero.
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5 Maggio 2022 * ultima modifica il 05/05/2022

L’epifisiolisi è una delle patologie dell’anca più comuni durante la crescita, se non la più comune, con un’incidenza di circa 10 casi ogni 100.000.

Cos’è

Con il termine epifisiolisi della testa femorale (SCFE, dall’inglese Slipped Capital Femoral Epiphysis) ci si riferisce ad una patologia dell’anca che colpisce principalmente i bambini e i ragazzi, soprattutto nella fase adolescenziale e preadolescenziale: si tratta della patologia dell’anca più comune durante la crescita.

L’epifisi femorale, quindi la testa del femore, si sposta dalla sua sede e scivola letteralmente verso il basso, perdendo continuità con il collo del femore. Questa dislocazione comporta dolore nella sede interessata, cioè l’anca, spesso associato ad una incapacità di reggere il peso sulla gamba e ad un conseguente zoppicamento. In base alla gravità della zoppia e alla capacità di poggiare il peso si può suddividere l’epifisiolisi in:

  • stabile, se la persona riesce a poggiare il proprio peso e a camminare;
  • instabile, se non è possibile muoversi o banalmente restare in piedi con il peso sul lato interessato.

L’epifisiolisi solitamente si verifica da un solo lato del corpo ma, soprattutto nei pazienti più giovani (al di sotto dei 10 anni), è stata riscontrata una buona percentuale di casi in cui la condizione si presenta come un disturbo bilaterale, che intacca entrambi i lati; inoltre può essere acuta, quindi presentare sintomi da meno di 3 settimane e in forma grave, o cronica, che può protrarsi da molto più tempo con una sintomatologia più lieve e meno invalidante.

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Cause

La causa di epifisiolisi non è nota, e nella maggior parte dei casi non si accompagna ad altri processi o condizioni presenti; spesso compare in completa autonomia, senza che vi siano precedenti traumi o lesioni che potrebbero averla causata.

L’indebolimento della fisi (la cartilagine di accrescimento) rappresenta il maggior motivo di sviluppo di epifisiolisi, e questo indebolimento appare maggiormente quando si è in presenza di:

  • disturbi endocrini come ipotiroidismo (la causa più associabile), ipertiroidismo, deficit dell’ormone della crescita;
  • disturbi renali;
  • traumi;
  • infiammazioni.

Un altro tra i fattori di rischio più importanti per la predisposizione a sviluppare epifisiolisi è rappresentato dall’obesità; inoltre sembra che per i maschi sia molto più comune rispetto alle femmine con un rapporto 2:1.

Sintomi

Come abbiamo già citato l’epifisiolisi si manifesta principalmente con un dolore all’anca, associato a zoppia o ad un’andatura strascicata, e incapacità di reggere il peso sulla gamba intaccata. Ciò che può portare a sospettare di essere affetti da epifisiolisi, oltre al dolore, è un iniziale rigidità dell’anca, che migliora quando non si muove la gamba.

Il dolore è avvertito nella maggior parte dei casi nella sede dell’anca, ma può anche propagarsi in altre zone:

  • alla coscia;
  • al ginocchio;
  • all’inguine.

Il dolore si presenta principalmente durante il movimento, mentre in sede di riposo tende a diminuire. Potrebbe presentarsi in alcuni casi anche atrofia della coscia, in modo più o meno importante, e nei casi peggiori si può non essere in grado di muovere l’anca portando anche, a lungo andare e soprattutto se non trattata, a osteonecrosi.

Diagnosi

A seguito dei sintomi sopra elencati si dovrebbe sempre sospettare la presenza di epifisiolisi.

Il primo esame da effettuare in questi casi è una radiografia bilaterale dell’anca: solitamente si effettua in entrambi i lati, nonostante si possa trattare di un dolore limitato ad una gamba, per poter consentire il confronto diretto tra il lato intaccato e quello sano. Le radiografie sono utili per valutare la gravità dello scivolamento, se mostra una lussazione e quanto la testa del femore appare distaccata dal resto dell’articolazione.

È possibile optare per un ulteriore accertamento, quindi per un risonanza magnetica che permette, preventivamente, di evidenziare la forma della fisi (se ha una forma irregolare) e giudicare se vi è presenza di un accumulo di liquidi nella sua sede.

Sono indicati anche i test di laboratorio per rilevare possibili condizioni che potrebbero causare epifisiolisi, come ad esempio disturbi endocrini o renali, quindi effettuare testi di livelli di ormoni e altri esami che il pediatra e l’endocrinologo riterranno necessari.

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Trattamento

In caso di epifisiolisi è molto importante effettuare una diagnosi precoce in quanto prima si inizia il trattamento, più i risultati saranno utili e soddisfacenti. Il trattamento è rappresentato principalmente dall’intervento chirurgico, che serve ad impedire che la testa del femore continui a scivolare verso il basso. Per questo motivo la tempistica è molto importante, prima si agisce, migliore sarà il risultato.

Vi sono due gradi e tipologie di intervento:

  • se l’epifisiolisi è di tipo stabile e la gravità di scivolamento è lieve, l’intervento sarà semplice, richiede una piccola incisione attraverso cui viene inserita una vite che impedisce alla testa del femore di muoversi ulteriormente;
  • se l’epifisiolisi è instabile o comunque la testa del femore è uscita in modo grave dalla sua sede l’intervento sarà più complesso, in quanto occorrerà prima riportare manualmente la testa del femore nella sua posizione originale, e poi fissare con delle viti.

La tecnica più complessa richiede ovviamente maggiori tempi di recupero e riabilitazione post operatori.

La riabilitazione successiva richiederà l’utilizzo di stampelle e supporti, soprattutto per evitare il sovraccarico e la creazione di altre lesioni, e la fisioterapia, che servirà a rafforzare i muscoli dell’anca e della gamba compromessa, migliorandone i movimenti.

Ovviamente le tempistiche di riabilitazione e il tipo di trattamento varieranno in base alla gravità della situazione, alla tipologia di intervento effettuato (se più invasivo o meno invasivo) e alla precocità della diagnosi. È probabile che per un paio d’anni dall’intervento occorrerà recarsi abitualmente a visite di controllo, che comprenderanno radiografie nei primi mesi per valutare la corretta riuscita dell’operazione. Potrebbe essere necessario combinare i consulti di diversi specialisti, come l'endocrinologo o il dietologo, per valutare ogni singola situazione e i comportamenti da intraprendere o evitare.

Laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli studi di Pavia, ha svolto periodi di formazione in ospedali universitari della Comunidad altro…
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