I virus zombie ibernati nei ghiacci della Siberia nascondono davvero la prossima nuova pandemia?

La scienza sta concentrando parte della propria attenzione sui cosiddetti virus zombie: agenti patogeni conservati nel permafrost della Siberia che, complice anche il cambiamento climatico, potrebbero “risvegliarsi” e riversarsi nell’ambiente esterno con la potenziale capacità – fino ad oggi solo teorica – di infettare l’uomo e innescare una nuova epidemia.
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Kevin Ben Alì Zinati 23 Gennaio 2024
* ultima modifica il 23/01/2024

E se la pandemia del futuro si nascondesse nel passato?

Quello che potrebbe sembrare l’incipit di una storia degna di Hollywood in realtà è un’ipotesi realistica e possibile studiata da diversi team di scienziati concentrati ad analizzare virus, batteri e patogeni rimasti ibernati per secoli nel permafrost della Siberia.

I ghiacci in effetti rappresentano un incubatore perfetto per la crioconservazione. L’oscurità, il freddo e la quasi totale assenza di ossigeno creano condizioni estremamente favorevoli per lo stoccaggio di materiale biologico.

I ricercatori nei propri laboratori congelano e scongelano patogeni simili tutti i giorni, quindi puoi facilmente intuire quanto non sia del tutto impossibile che virus e batteri ritornino alla vita dopo migliaia di anni nel ghiaccio.

Quella di imbattersi in “virus Zombie” non è una possibilità nemmeno poi così remota se pensi che la crisi climatica e il riscaldamento globale stanno sciogliendo i ghiacci artici a ritmi più veloci che in altri luoghi del mondo rendendo sempre più verosimile il risveglio di questi antichi e quindi sconosciuti patogeni. Già nel 2020 un team di ricercatori aveva rilevati almeno 28 virus sconosciuti nei ghiacci siberiani.

La scomparsa del ghiaccio marino artico, inoltre, potrebbe contribuire non poco al rischio, favorendo il trasporto marittimo e lo sviluppo industriale in Siberia e aumentando di fatto le possibilità di contatto con questi microrganismi.

Il tema è al centro dell’attenzione di una grossa fetta di scienza. Un consorzio europeo soprannominato Versatile Emerging Infective Disease Observatory (VEO) si dedica proprio allo studio del legame tra riscaldamento alle latitudini settentrionali potrebbe influenzare le malattie infettive.

Ricercatori dell’Università di Aix-Marseille, invece, negli ultimi anni sono riusciti ad analizzare la genomica di campioni di ghiaccio prelevati in Siberia rintracciando la presenza di sequenze di patogeni con il potenziale per infettare gli esseri umani e dare inizio a una nuova epidemia.

Nel 2014 e nel 2015, per esempio, all’interno di campioni di suolo siberiano congelato per 30mila anni hanno ritrovato due grandi virus a DNA che potevano infettare le amebe ma non rappresentavano una minaccia per gli esseri umani.

Successivamente, lo stesso team ha rivelato altri 13 megavirus del permafrost che invece erano stati in grado di infettare le amebe, uno dei quali risale a 48.500 anni fa. Non l’uomo, ma organismi comunque non così distanti.

Forse, il “risveglio” di questi virus potrebbe anche già essere avvenuto. Già qualche mese ti abbiamo raccontato di vermi che si erano "risvegliati" dal permafrost dopo 46mila anni. Nell’estate del 2016 invece, quando le temperature hanno raggiunto livelli record, il Bacillus anthracis responsabile dell’antrace ha ucciso 2649 renne in Siberia e fatto ammalare 36 persone, causando la morte di un ragazzo di 12 anni.

Secondo il genetista Jean-Michel Claverie dell'Università di Aix-Marseille, le cui parole sono state riportate dal Guardian, la scoperta di virus capaci di infettare solo le amebe non significa tuttavia che altri virus congelati nel permafrost non possano essere in grado di scatenare malattie negli esseri umani. “Abbiamo identificato tracce genomiche di poxvirus ed herpesvirus, che sono ben noti agenti patogeni umani, per esempio”.

Recentemente intervistato da Repubblica, il professor Marco De Andrea, virologo del Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica dell'Università di Torino, ha tuttavia provato a contestualizzare e quindi smorzare allarmi e paure. In caso di risveglio di questi virus una nuova epidemia avrebbe una percentuale di rischio basso.

Questo perché per farla partire servirebbe una serie di fortunate (o sfortunate, dipende da quale prospettiva la si guarda) coincidenze.

Sì, perché una volta scongelati questo patogeni possono sopravvivere per qualche ora, periodo di tempo durante il quale devono riuscire a trovare un ospite migliore dell’acqua per sopravvivere e proliferare.

Se il virus o il battere non fosse capace di infettare subito l’uomo, dovrebbe dunque continuare a mutare fino a quando non riuscisse a trovare la forma giusta per intraprendere il salto di specie e arrivare fino a un essere umano.

Non credo che succederà qualcosa, ma penso che sia bello essere preparati – ha dichiarato a Science Frank Aarestrup, che dirige il progetto VEO – Ma mai dire mai”.

Fonte | Science

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