Il nuovo ruolo dei test antigenici rapidi nella pandemia: da esami “poco sensibili” a strumento per definire un caso Covid

Una nuova circolare del Ministero della Salute ha aggiornato i criteri per individuare e confermare un “vero” caso di infezione da Coronavirus: ora non serve più solo l’esito positivo di un tampone, basta anche quello di un test rapido. Per questo oggi rientrano nei conteggi quotidiani insieme ai molecolari e rappresentano un rinforzo importante per rinvigorire il sistema di contact tracing.
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Kevin Ben Alì Zinati 2 Febbraio 2021
* ultima modifica il 02/02/2021
In collaborazione con il Prof. Massimo Clementi Direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia all'IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e professore ordinario di Microbiologia e Virologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano

La vita dei test antigenici rapidi all’interno della pandemia oggi è cambiata e un primo indizio potresti averlo scoperto leggendo il bollettino del Ministero della Salute che ti raccontiamo ogni giorno. Notato niente? Esatto: nel conteggio dei tamponi che individuano i casi giornalieri, i risultati dei molecolari sono unificati a quelli dei test rapidi. Negli ultimi mesi non abbiamo messo in campo solo i vaccini o nuove potenziali cure contro il Covid-19 come gli anticorpi monoclonali: grossi passi in avanti sono stati compiuti anche nei sistemi di diagnosi e riconoscimento di infezione.

Ora alcuni test antigenici, quelli di ultima generazione, sembrano mostrare risultati sovrapponibili a quelli ottenuti con un tampone molecolare. Tanto che ora rientrano nelle modalità con cui possiamo rintracciare e definire se una persona è effettivamente “un caso Covid”. Nuova tecnologia, nuovo ruolo e nuove responsabilità per i test rapidi, dunque: un cambiamento che trova il parere positivo anche del professor Massimo Clementi, Direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia all'IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e professore ordinario di Microbiologia e Virologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.

Una metodologia diversa

Il tampone molecolare e il test antigenico portano al medesimo risultato, individuano cioè se un individuo ha contratto Sars-CoV-2 oppure no. È il come che li differenzia. Perché il tampone molecolare rintraccia frammenti di materiale genetico di cui è composto il virus attraverso il prelievo di materiale biologico dalle cavità nasali della persona.

I test antigenici rapidi, invece, "funzionano grazie alla presenza di anticorpi rivolti contro gli antigeni di superficie del virus – ci ha spiegato il professor Clementi – Quando il virus presente nel campione di saliva entra in contatto con questi anticorpi adesi al test, viene catturato e messo in evidenza”.

La differenza sta anche nelle tempistiche. Mentre i tamponi molecolari necessitano di un processamento in laboratorio che richiede giorni, i test antigenici danno risposte praticamente immediate, “si possono concludere in circa 15-20 minuti e possono essere interpretati in fretta”. Ecco perché, dunque, si vengono definiti rapidi.

Generazioni a confronto 

La nuova vita dei test rapidi passa inevitabilmente dalla nuova tecnologia che li caratterizza. Forse ti ricorderai dei mesi di ottobre e novembre 2020, quando la seconda ondata si è abbattuta forte su tutta l’Italia mandando in cortocircuito il sistema di tracing.

In quel momento, strumenti in grado di dare “tamponare” tantissime persone e dare esiti in tempi nettamente più brevi dei tamponi molecolari sono diventati prioritari. Forse, però, in quegli stessi mesi ti sarà capitato anche di sentir parlare della criticità legate alla loro affidabilità. Perché se i test antigenici garantivano esiti in tempi brevi, il costo stava proprio lì, nel rischio di una diagnosi non precisa e di falsi negativi.

Secondo il professor Clementi, subito “si è ravvisata la necessità di migliorare la sensibilità di questi metodi rispetto al test molecolare”, che, come sai, ancora oggi resta il «gold standard», ovvero il test di riferimento per la diagnosi diretta. “Si è visto, infatti, che i primi test avevano una sensibilità molto bassa rispetto a quella che poteva essere ottimale e c’era una consistente fascia di soggetti infettati che non veniva rilevata.

Si è cominciato così a lavorare su nuove forme di test rapido, diverse per la tecnologia che li caratterizzava e quindi per la sensibilità: dai saggi immunocromatografici lateral flow dei test di prima generazione siamo passati agli ultimi, basati sull’immunofluorescenza con lettura in microfluidica. “Si è lavorato su questa sensibilità e i risultati sono stati molto buoni. Si è arrivati fino ai test di ultima generazione che sono in grado di rilevare una grande maggioranza di soggetti con l’infezione, circa tra il 90% e il 92%. L'ha confermato il Ministero: i test antigenici rapidi di ultima generazione permettono di ottenere risultati sovrapponibili a quelli ottenuti con un tampone molecolare.

I primi test rapidi avevano una sensibilità molto bassa e tanti infettati sfuggivano alla rilevazione

Prof. Massimo Clementi, virologo

“I test antigenici rapidi di ultima generazione hanno un’affidabilità molto alta e in genere lasciano fuori soltanto quei soggetti che hanno una carica virale molto bassa: si tratta di persone alla fine dell’infezione oppure che hanno già avuto una risposta immunitaria e per questo hanno una carica virale così bassa che il test non la rileva”. Secondo il professor Clementi, tuttavia, nella maggioranza dei casi se l’infezione viene colta nel periodo produttivo, "i test funzionano altrettanto bene come i molecolari"

Da qui, la loro vita è cambiata.

La definizione di caso Covid 

A riconoscere l’importanza e quindi le rinnovate "responsabilità" dei test antigenici rapidi ci ha pensato il Ministero della Salute, aggiornando i criteri che definiscono “ufficialmente” le persone contagiate dal Coronavirus. Se prima era necessario l’esito positivo di un tampone molecolare, ora può bastare anche il risultato di un test rapido. A patto, però, che sia di ultima generazione.

La circolare del Ministero hai definito i contorni del loro utilizzo. Il test antigenico deve essere impiegato tendenzialmente quando la disponibilità di tamponi molecolari è limitata o nei casi in cui la positività è più di un sospetto, quindi se una persona è entrata in contato con un positivo e se presenta sintomi. Il loro utilizzo è pensato anche per testare gli asintomatici, in particolare nelle attività di contact tracing in quelle circostanze che richiedono tempi rapidi per test e risultati.

Puoi capire quindi perché il Ministero abbia deciso di inserire i risultati dei test antigenici nel conteggio quotidiano diffuso insieme al bollettino. Per il professor Clementi è stata un’ottima idea. Non contemplarli avrebbe significato esporsi al rischio di continuare a rilevare molti casi «dubbi» e dover aspettare giorni per poterli confermare con un tampone molecolare”.

Ancora oggi c’è ancora una fetta di popolazione che sfugge alla diagnosi, tanti asintomatici non vengono rilevati e non sempre riusciamo a mettere in campo un sistema di tracciamento efficace. Avere anche questi test, ha chiosato il professor Clementi, "è un grosso vantaggio. Permettono di avere una fotografia più accurata e dettagliata della situazione epidemiologica”. Nuova tecnologia, nuovo ruolo, nuove responsabilità.

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