Il ritorno degli psichedelici: tra quanto tempo gli psichiatri potranno prescriverli?

Le sostanze allucinogene hanno fatto la loro comparsa sul mercato occidentale prima di tutto come farmaci e in queste vesti ci stanno tornando, rappresentando un primo vero cambiamento nello scenario delle terapie per depressione e ansia. Sono la risposta che i pazienti resistenti agli antidepressivi tradizionali stavano aspettando? Perché ne abbiamo così bisogno?
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Giulia Dallagiovanna 27 Marzo 2023
* ultima modifica il 27/03/2023

Un pomeriggio del 1943, poco prima di rientrare a casa dal lavoro, Albert Hoffman, chimico svizzero, decide di assumere una piccola dose di una sostanza che stava studiando in laboratorio. Passano una quarantina di minuti e, mentre sta ancora pedalando sulla sua bicicletta, inizia a sperimentare stati confusionali e visioni distorte della realtà. Suoni che si trasformano in immagini, gola secca, uno strano sapore metallico in bocca. Quel giorno è il 19 aprile, oggi celebrato come "bycicle day" per ricordare il primo trip da LSD.

La dietilammide dell'acido lisergico era stata sintetizzata proprio da Hoffman cinque anni prima, nel tentativo di individuare un farmaco che stimolasse le funzioni cardio-respiratorie. Non aveva alcuna idea di quale effetto potesse avere sul cervello.

LSD, psilocibina (principio attivo dei funghetti allucinogeni), MDMA, ketamina, ayahuasca. Gli psichedelici hanno fatto la loro comparsa sul mercato occidentale prima di tutto come farmaci e in queste stesse vesti ci stanno tornando. Negli anni '50 vengono individuate le basi neurochimiche di alcune patologie, come la depressione o le dipendenze, ritenute fino a quel momento di origine esclusivamente psicologica. Nasceranno così i primi antidepressivi, ma verrà approfondito anche il potenziale terapeutico degli allucinogeni.

Il 30% dei pazienti non risponde ai farmaci antidepressivi tradizionali

Strade che si sono interrotte una ventina di anni dopo, quando la maggior parte delle sostanze psicotrope è stata dichiarata illegale. Oggi si prova a ripercorrerle, per far fronte al parziale fallimento delle terapie convenzionali, risultate praticamente inutili per il 30% dei pazienti. Non c'è congresso di Psichiatria in cui non se ne parli, ma la discussione ha già superato i confini accademici per arrivare a quelli istituzionali. Oregon e Colorado hanno approvato l'uso della psilocibina e, a breve, potrebbero seguire New Jersey e California. Canada, Svizzera e Israele consentono la somministrazione di alcuni allucinogeni purché all'interno di rigidi protocolli clinici. A febbraio, l'Australia è diventata il primo Paese al mondo a dare il via libera per l'impiego di MDMA e psilocibina per il trattamento di disturbo post traumatico da stress e depressione maggiore. Anche l'Italia sta partecipando a quello che è già stato definito un "Rinascimento psichedelico", con diversi gruppi di ricerca attivi, ad esempio, sullo studio di LSD ed esketamina.

Ma come siamo passati da Lucy in the Sky with Diamonds alla ricetta firmata da uno specialista? E quanto siamo vicini all'inserimento di sostanze psichedeliche all'interno di procotolli per il trattamento di patologie come la depressione e l'ansia, che l'Organizzazione mondiale della sanità ha definito "il male del secolo"?

L'esketamina abbatte un primo muro

La ricerca sulle terapie per la depressione è in una fase di stallo. Negli ultimi 30 o 40 anni gli unici risultati significativi hanno riguardato la riduzione degli effetti collaterali. Chi si è dimostrato resistente ai farmaci non ha ancora ricevuto una risposta. L'unica vera novità è stata lo Spravato, uno spray nasale approvato dall'FDA nel 2019 in grado di ridurre la gravità e la ricomparsa dei sintomi, agendo in particolare sulla prevenzione degli istinti suicidari. Il 56% dei pazienti affetti da disturbi dell'umore infatti commette almeno un tentativo di suicidio e il 15% del totale, purtroppo, arriva davvero a togliersi la vita. Lo Spravato è un farmaco a base di esketamina, molecola che differisce dalla ketamina soprattutto per la disposizione degli atomi al suo interno.

"Rispetto agli antidepressivi classici, l'esketamina ha un meccanismo d'azione completamente diverso. Agisce sul glutammato, il principale neurotrasmettitore eccitatorio del cervello, attivando una risposta antidepressiva differente da quella dei farmaci monoamminergici che hanno come target serotonina, dopamina e noradrenalina". Giacomo d'Andrea è dottorando all'Università di Chieti-Pescara e lavora nell'equipe del professor Giovanni Martinotti, direttore della cattedra di Psichiatria. Di recente, in uno studio prospettico pubblicato sulla rivista Bipolar Disorder, hanno evidenziato l'efficacia dello spray nasale anche per il trattamento di pazienti con depressione derivata da disturbo bipolare, che si stima rappresentino circa il 50% di tutti quelli con depressione resistente.

"Abbiamo confrontato 35 pazienti con disturbo bipolare in fase depressiva resistente e 35 pazienti con depressione resistente unipolare. L'efficacia del farmaco è risultata comparabile. È emerso inoltre che nel primo gruppo la remissione dall'episodio depressivo si verificava nel 48% dei pazienti, contro il 28% del secondo". L'esketamina è stata in grado di ridurre anche i sintomi ansiosi e, soprattutto, non ha portato allo sviluppo di fasi maniacali, come invece può capitare con alcuni antidepressivi.

Lo Spravato ha abbattuto un primo muro. Un risultato che non sarebbe stato possibile se l'FDA nel 1992, durante un incontro sulle sostanze psichedeliche, non avesse deciso di trattarle al pari degli altri farmaci, ridando così il via ai trials.

La necessità c'era e c'è.

Solo in Italia 2,8 milioni di persone soffrono di disturbi depressivi maggiori, ai quali spesso sono associati sintomi da ansia cronica grave. Secondo l'ISTAT, il 7% della popolazione over14 ha fatto esperienza, nel corso di un anno, di un qualche disturbo ansioso depressivo. Anche quando non si arriva agli epiloghi più gravi, questi disturbi sono la più frequente causa di assenza dal lavoro, per un costo sociale che si aggira attorno ai 4 miliardi di euro ogni anno. L'OMS inoltre ha certificato che in seguito alla pandemia la prevalenza di ansia e depressione è aumentata del 25%.

Il rinascimento psichedelico

Gli psichedelici potrebbero non essere la risposta definitiva, ma rappresentano un primo reale cambiamento nello scenario terapeutico. Quando negli anni '90 entrano in uso tecniche più moderne di brain imaging appaiono evidenti gli effetti che questi composti possono avere sul cervello.

Nelle patologie stress-correlate, come appunto depressione o ansia, si può verificare un'atrofia della corteccia cerebrale prefrontale. Regione impiegata, tra le altre cose, nella pianificazione dei comportamenti cognitivi complessi, nell'espressione della personalità e nella moderazione della condotta sociale. La sua attività principale consiste nel guidare pensieri e azioni verso il raggiungimento di obiettivi specifici. Ma non solo. Quest'area è direttamente collegata al sistema limbico, per il quale si occupa di organizzare e regolare il comportamento emotivo, contribuendo al processo di riconoscimento e gestione delle emozioni. Se la corteccia prefrontale subisce dei danni, possono subentrare apatia, perdita di iniziativa e risposte emozionali ridotte, oltre al calo di concentrazione e di memoria.

"Nei pazienti, o nei modelli di laboratorio, si possono vedere come in quell'area le ramificazioni dei neuroni si ritirino e le loro sinapsi vadano perse. È inequivocabile come questi disordini mentali provochino un certo livello di disfunzione nel cervello", chiarisce David Olson, direttore dell'Institute for Psychedelics and Neurotherapeutics all'Università della California-Davis. Tutte le forme di depressione che conosciamo riscuotono lo stesso effetto sulla struttura neoplastica. Un'informazione che per la verità è nota da tempo nell'ambito della ricerca neurofarmacologica: se trovassimo agenti in grado di restaurare le connessioni tra le sinapsi, avremmo individuato farmaci davvero efficaci.

"Gli antidepressivi tradizionali, come gli SSRI, promuovono la crescita di questi neuroni – prosegue Olson, – ma c'è una differenza: prima di ottenere un risultato tangibile devono essere somministrati quotidianamente per 3 o 4 settimane. Gli psichedelici agiscono più rapidamente, in modo più efficace e i benefici durano più a lungo". Quanto a lungo? Con una sola somministrazione, l'effetto della psilocibina permane anche a distanza di un mese, quello dell'ibogaina in pazienti con dipendenze arriva fino a sei.

Le immagini mostrate dallo stesso Olson, nel corso di un Nature Research Webcast, parlano da sole: ketamina, DMT (allucinogeno contenuto, ad esempio, nell'ayahuasca) e LSD promuovono una quasi immediata crescita dell'attività neuronale, ben più evidente rispetto al placebo.

Effetti che vengono percepiti anche dai pazienti. C'è chi, raccontando al New York Times la propria esperienza con l'ayahuasca, un decotto psichedelico a base di diverse erbe amazzoniche, ha dichiarato che era stato come concentrare 10 anni di terapia in una sola notte.

La "war on drugs"

Ma se gli psichedelici avevano queste potenzialità terapeutiche, perché sono stati dichiarati illegali?

La maggior parte delle sostanze allucinogene oggi conosciute sono state scoperte o sintetizzate attorno agli anni '30, in un'epoca e un contesto culturale molto lontano dai Jefferson Airplaine o dagli spettacoli di Andy Wahrol al Trip di Elmer Valentine. E diametralmente opposto all'universo del "Think different" creato da Steve Jobs. In mezzo ci sono stati appunto gli anni '50, con l'uso degli psichedelici in ambito psichiatrico, ma anche con i primi racconti di viaggio dal Messico o dal Sudamerica alla ricerca di erbe e funghi dalle proprietà psicotrope.

Nel 1954, lo scrittore britannico Aldous Huxley pubblicò il celebre saggio breve Le porte della percezione (The Doors of Perception, dal quale presero poi il nome i Doors) nel quale raccontava delle sue esperienze in seguito all'uso di mescalina. Intanto, l'amico e psichiatra canadese Humphry Osmond coniava il termine "psichedelico", letteralmente "rivelatore della psiche". Uscite dall'ambito medico-scientifico, queste sostanze avevano conquistato la cultura pop arrivando, negli anni successivi, a dar vita a veri e propri filoni come il rock psichedelico. Si intrecciarono agli avvenimenti della Summer of Love del 1967 e diventarono uno dei simboli della controcultura giovanile.

Ma l'idea di liberare la mente e aprirla a esperienze trascendentali si scontrò con la società conservarice dell'epoca. A partire dagli anni '70 le sostanze psichedeliche vennero messe al bando e iniziò la cosiddetta "war on drugs", capitanata dall'allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon. La ricerca si fermò e la psichiatria si concentrò sui più comuni antidepressivi: gli SSRI, ad esempio, gli inibitori selettivi della ricaptazione di serotonina.

Non vi furono solo motivi politici dietro la decisione delle autorità governative. Gli allucinogeni infatti stavano iniziando a rivelare anche i loro difetti. In altre parole, gli effetti collaterali. Tra le reazioni avverse più gravi c'erano i "bad trips", ovvero psicosi temporanee indotte dalla sostanza, a cui poteva andare incontro una persona che ne faceva uso. L'LSD venne inoltre associata a inquietanti episodi di cronaca nera che sconvolsero gli Stati Uniti, come gli omicidi di Charles Manson, e ai suicidi di alcuni ragazzi (sebbene oggi si sappia che questi effetti collaterali siano estremamente rari).

Le sostanze psichedeliche vengono riscoperte negli anni '90, in un clima scientifico, culturale e politico probabilmente più pronto.

Gli studi hanno conosciuto un incremento esponenziale soprattutto a partire dal 2020 e oggi su PubMed sono già poco meno di 31mila le pubblicazioni che ruotano attorno a questo argomento. La molecola più analizzata è la ketamina, con oltre 20mila risultati, che ha subito una sorte un po' diversa rispetto alle altre, essendo stata approvata per uso medico già nel 1970 e non essendo mai divenuta illegale. Anzi, viene tuttora impiegata in ambito anestetico e veterinario. A seguire la psilocibina, più semplice da sintetizzare e da ottenere, diretta a pazienti con depressione maggiore farmaco-resistente e a quelli dipendenti da sostanze d'abuso, come alcol o nicotina. L'MDMA (l'ecstasy) ha invece già superato quasi tutti i trial clinici per il trattamento del disturbo da stress post-traumatico e l'LSD si è dimostrata efficace contro i disturbi d'ansia. Vengono poi studiate anche l'ibogaina, presente nella pianta dell'iboga coltivata ad esempio in Camerun e Congo, e la mescalina, un alcaloide psichedelico contenuto principalmente nel peyote.

L'LSD per i disturbi d'ansia

Il primo centro di ricerca espressamente dedicato alle sostanze psichedeliche è stato il Centre for Psychedelic Research dell’Imperial College di Londra, diretto da Robin Carhart-Harris, uno dei nomi più importanti del settore. A seguire sono nati altri poli di riferimento come il Center for the Science of Psychedelics dell'Università della California-Berkley e il Center for Psychedelic and Consciousness Research della Johns Hopkins School of Medicine di Baltimora. Progetti importanti sono poi in corso in Canada, in Australia – dove il governo nel 2021 ha deciso di investire 15 milioni di dollari nella ricerca sugli psichedelici -, in Danimarca, in Svizzera e in Germania.

Anche l'Italia sta provando a farsi strada in questo scenario. In collaborazione con la McGill University di Montreal, Danilo De Gregorio, dell'Università Vita-Salute San Raffele di Milano, e Stefano Comai, del Dipartimento di Scienze del farmaco dell’Università di Padova, stanno studiando i meccanismi neurobiologici che permettono all'LSD di contrastare i disturbi d'ansia correlati a una condizione di stress cronico. I primi risultati di questi lavori, a cui hanno partecipato i due ricercatori che si sono conosciuti proprio in Canada, sono stati pubblicati lo scorso maggio sulla rivista Neuropsychopharmacology.

"Queste sostanze si stanno rivelando molto utili anche per capire meglio come alcune aree cerebrali siano interconesse l'una con l'altra – spiega De Gregorio, primo autore dello studio. – C'è tanto che ancora non conosciamo del cervello dal punto di vista fisiologico. Probabilmente quando insorgono patologie come depressione o ansia, questo meccanismo subisce una disfunzione. I composti che stiamo studiando potrebbero aiutarci a ristabilire un equilibrio che non c'è più".

Lo studio è stato effettuato su modelli animali ai quali sono state somministrate microdosi di LSD per 7 giorni. I risultati ottenuti sono stati due: i comportamenti ansiosi e i sintomi depressivi sono diminuiti e questa riduzione ha seguito percorsi neurobiologici simili ai target di alcune classi di antidepressivi e ansiolitici comunemente utilizzati. Come gli SSRI, infatti, la dietilammide dell'acido lisergico desensibilizza i recettori della serotonina facendo sì che i neuroni della serotonina rilascino maggiori quantità del neurotrasmettitore.

Queste sostanze sembrerebbero agire anche su quei pazienti che non rispondono alle terapie ad oggi disponibili

Stefano Comai, Dipartimento Scienze del farmaco UNIPD

Non è un caso se la serotonina è soprannominata "l'ormone della felicità". Oltre a regolare il sonno e l'appetito, è in grado di agire sul senso di appagamento e soddisfazione in diversi ambiti. Se non è presente in livelli adeguati, possono subentrare, appunto, stati di ansia e sintomi depressivi. Periodi prolungati di stress riducono l'attività dei neuroni della serotonina, come lo stesso studio dimostra, ed è qui che subentrano i farmaci o, qualora questi non funzionassero, gli psichedelici. "Queste sostanze sembrerebbero agire anche su quei pazienti che non rispondono alle terapie ad oggi disponibili, probabilmente perché hanno un impatto diverso sui circuiti disfunzionali", spiega Stefano Comai.

Come agiscono sul cervello

La serotonina dunque riveste un ruolo centrale, ma è solo uno dei bersagli degli psichedelici. Sappiamo ad esempio che l'LSD agisce non solo sul sistema serotoninergico ma anche su quello dopaminergico, l'esketamina sul glutammato, mentre altre chiamano in causa l'adrenalina, altro neurotrasmettitore che è target anche per gli antidepressivi. Resta ancora molto da scoprire rispetto alla farmacologia di queste molecole, motivo per cui Comai le definisce "sporche": "Funzionano bene perché hanno dei meccanismi complessi. Non conosciamo ancora con precisione l'intero sistema, ma sappiamo che sono coinvolti diversi recettori e probabilmente è l'elemento che gli permette di correggere meglio l'intero sistema disfunzionale. Al momento però è ancora solo un'ipotesi".

E poi ci sono le allucinazioni. "Le allucinazioni sembrano essere dovute a un particolare tipo di recettore, che è il 5HT2A della serotonina– spiega Di Gregorio, – ma in generale più target si colpiscono, minore è la selettività e maggiore è la possibilità di avere degli effetti collaterali". I problemi emergono soprattutto quando gli psichedelici vengono assunti in dosi elevate. Subentrano sensazioni alterate a livello visivo e sonoro, sinestesia, esperienze extracorporee. Un melting dei sensi che, però, è anche un aspetto tipico della schizofrenia. "L'LSD, in particolare, agisce anche sul sistema della dopamina che sembra essere in grado di indurre uno stato simile a un disturbo psicotico. Un effetto collaterale molto forte", aggiunge De Gregorio.

Sulle allucinazioni il dibattito è in corso. Alcuni studi, pubblicati ad esempio dalla Johns Hopkins o dall'equipe di Carhart-Harris, hanno ipotizzato che i buoni risultati della terapia, in particolare di quella a base di psilocibina, derivassero proprio da una buona esperienza trascendentale. Trip, insomma, simili a quello sperimentato da Albert Hoffman 80 anni fa. Stati alterati della coscienza che, però, possono provocare traumi anche permanenti. Per ovviare al problema si sta procedendo per microdosaggi, soprattutto per quanto riguarda psilocibina ed MDMA. Si somministra cioè al paziente solo un 10% della dose originale, per più volte consecutive. Di norma due o tre per ogni trial clinico.

Il passo in più dell'Australia

Bruciando sul tempo gli altri Paesi, l'Australia è diventata la prima al mondo ad approvare l'uso di psilocibina e MDMA a scopo terapeutico. La Therapeutic Goods Administration (Tga), autorità che regola l'autorizzazione e l'immissione dei farmaci sul mercato australiano, ha cambiato classificazione ai due composti, che da "sostanze proibite" sono diventati "sostanze da utilizzare sotto stretto controllo". A partire da luglio, potranno essere prescritte a pazienti con depressione maggiore o disturbo post-traumatico da stress che non rispondono ai trattamenti convenzionali.

Ha superato persino la nonprofit Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies (MAPS), che negli Stati Uniti sta portando avanti trial clinici randomizzati in doppio cieco proprio sull'ecstasy per il trattamento del PTSD. I primi dati, pubblicati nel 2021 su Nature, dimostravano un significativo miglioramento dei sintomi che perdurava fino a 18 settimane dopo la prima assunzione. La seconda fase si è conclusa a novembre 2022 e Rick Doblin, co-fondatore di MAPS, ha dichiarato che sono stati confermati i risultati della precedente pubblicazione. Al momento però lo studio deve ancora essere revisionato e Doblin si aspetta di poter presentare la richiesta di approvazione all'FDA non prima del 2024. Insomma, forse l'Australia ha premuto un po' troppo il piede sull'acceleratore.

Nel 2024 potrebbe arrivare la richiesta di approvazione dell'uso di MDMA per il trattamento del disturbo post-traumatico da stress

Ne è convinta anche Susan Rossell, neuropsicologa cognitiva e Professorial Research Fellow allo Swinburne’s Centre for Mental Health di Melbourne, che sta portando avanti il più ampio trial clinico sulla psilocibina per il trattamento della depressione in Australia: "È prematuro. Le parole usate nel documento lasciano molte ambiguità, compresa l'assenza di un vero protocollo. Contiene solo alcuni suggerimenti di come funzionerebbe nella pratica e sono molto difficili da seguire". Tra i diversi problemi, alcuni sono piuttosto banali: se è vero che psilocibina ed MDMA sono disponibili, è anche vero che non è ancora stato approvato nessun farmaco che le contenga. Di conseguenza, gli psichiatri australiani dovranno ricevere l'autorizzazione prima di poter prescrivere un eventuale medicinale e importarlo tramite l'Australia’s Office of Drug Control. L'iter comprende anche una valutazione della sicurezza da parte della Tga e di un comitato etico di ricerca. "Nel documento si parla di una formazione all'accreditamento, ma non esiste ancora un sistema di questo tipo in Australia. Da dove dovrebbe arrivare il via libera?", si chiede Rossell.

Una questione aperta: la sicurezza a lungo termine

Gli psichedelici hanno dimostrato la propria efficacia, ma anche che alcuni pazienti non riescono a trarne beneficio. Le reazioni di chi li assume sono molto diverse. C'è chi trascorre una giornata tranquilla, chi subisce un trauma, chi è colto da un'euforia immotivata, chi va incontro a sintomi psicotici. Insomma rispetto a queste sostanze c'è ancora tanto che non conosciamo. Ad esempio, non sappiamo se possano emergere effetti collaterali a lungo termine perché la maggior parte degli studi ha seguito i partecipanti per un massimo di 6 mesi, mentre per i farmaci di solito si procede con follow up a uno o addirittura due anni. Chiarire questo punto è uno degli obiettivi del lavoro che sta portando avanti Rossell, nel quale sono coinvolti 160 pazienti.

"Già durante lo studio pilota sono emerse delle reazioni avverse alla psilocibina di cui non si era ancora parlato in letteratura. Non tanto da un punto di vista di danni fisici, quanto in relazione al profondo impatto psicologico in persone che sono già in condizioni di fragilità", ci spiega. Rossell si riferisce, ad esempio, a quello che lei stessa ha definito "il peso della normalità": riuscire finalmente ad avere una visione chiara del reale significa anche realizzare di aver trascorso gli ultimi 20 anni della propria vita rinchiusi in casa, senza amici e senza un lavoro. Può diventare un'esperienza traumatica che deve essere supportata da un programma di sostegno psicologico, imprescindibile all'interno di un protocollo terapeutico a base di psichedelici.

Come lo stesso Doblin faceva notare, il punto non è tanto il farmaco in sè, quanto la terapia nel suo insieme. Programmi e protocolli definiti però non sono ancora stati stabiliti. Manca ad esempio un'indicazione univoca sul dosaggio delle sostanze. "La maggior parte degli studi clinici sulla psilocibina prevede una sola somministrazione, ma esistono anche lavori in cui sono descritte tre somministrazioni, magari ripetute dopo diversi giorni -, fa notare Danilo De Gregorio. – La ketamina entra in azione già dopo un paio d'ore dalla prima assunzione. Ma quando i benefici finiscono, dopo circa una settimana, questa sostanza non ha più alcun effetto, nemmeno con una seconda assunzione. L'esketamina spray nasale invece sembra funzionare meglio".

I farmaci di cui abbiamo bisogno

Alle diverse questioni ancora aperte, una risposta potrebbe arrivare dallo sviluppo di molecole che agiscano al pari degli allucinogeni, ma senza i medesimi effetti collaterali.

In realtà c'è già chi ci sta lavorando. Come David Olson che utilizza il termine ‘psicoplastogeni‘ per individuare quella classe di composti, in cui rientrano psichedelici e ketamina, che aumentano rapidamente la neuroplasticità, cioè l'abilità del cervello di creare nuove connessioni neurali. "Il prossimo passo che dobbiamo fare ora è trasformare la prima generazione di psicoplastogeni in farmaci più sicuri ed efficaci, ingegnerizzandoli per eliminare gli effetti collaterali e mantenere tutti i benefici", spiega.

L'azienda di cui Olson è co-fondatore, la Delix Therapeutics, sta collaborando con l'Università della California-Davis alla messa a punto di due psicoplastogeni non allucinogeni e a breve inizieranno i trials clinici. Intanto, almeno altri tre composti simili sono allo studio in altrettanti centri e diversi gruppi di ricerca si stanno approcciando a queste molecole.

L'intento è anche quello di ovviare a un secondo problema. Ad oggi queste sostanze, così come lo spray nasale a base di esketamina, possono essere assunte solo in un ambiente ospedaliero o ambulatoriale e sotto stretta sorveglianza clinica, proprio in virtù degli effetti collaterali. Di conseguenza, aumentano costi e complessità del trattamento che diventa accessibile solo a un numero limitato di pazienti.

"Dobbiamo sempre ricordarci che, secondo le stime, 1 persona su 5 soffrirà di un disturbo neuropsichiatrico nel corso della vita. Significa almeno 1 miliardo di soggetti a livello globale. Il nostro sistema sanitario non sarebbe in grado reggere di fronte a numeri così ingenti". Nemmeno se a usufruirne fosse solo un terzo del totale. Lo sviluppo di composti non allucinogeni potrebbe permettere a molti più pazienti di trarre vantaggio dalla loro capacità di promuovere la neuroplasticità. "Immaginiamo una piramide, dove alla base troviamo le soluzioni più economiche e in grado di aiutare il maggior numero di pazienti, mentre sulla punta le opzioni più costose e meno accessibili. Il nostro scopo è sviluppare terapie che si trovino alla base. Pensiamo all'assunzione di uno psicoplastogeno non allucinogeno a casa. Questo amplierebbe incredibilmente l'accesso alla terapia". 

L'assunzione in clinica rimarrebbe per quei pazienti che non traggono benefici dai composti di nuova generazione e avrebbero invece necessità di assumere gli allucinogeni veri e propri.

Gli investimenti che mancano

Per raggiungere tutti questi obiettivi, in Italia abbiamo bisogno principalmente di due cose: investimenti nella ricerca e burocrazia più snella. "In Canada servono circa 4 mesi per ricevere l'autorizzazione all'uso di una sostanza stupefacente in un trial, in Italia si aspetta anche un anno e mezzo", conferma De Gregorio.

Nel nostro Paese il problema di reperire fondi per la ricerca è endemico e avere a che fare con la salute mentale e con lo stigma che tuttora permane non aiuta. Se è frequente il lancio di campagne di raccolta fondi per malattie oncologiche, neurodegenerative o rare, è praticamente impossibile imbattersi in iniziative simili per nuove terapie contro la depressione.

"Chi si occupa di disturbi psichiatrici ha meno spazio, meno possibilità. Ma senza fondi non possiamo fare nulla", conferma De Gregorio. La stessa industria farmaceutica è meno attratta da questo settore, perché il ritorno economico non è immediato quando ci si avventura in un territorio di cui resta ancora tanto da sapere.

Per rispondere alla domanda iniziale, ovvero quanto siamo vicini all'inserimento di sostanze psichedeliche all'interno di percorsi terapeutici, va precisato che si sta ancora ragionando in termini di anni. Forse, però, ne saranno sufficienti uno o due.

Fonti| Oms; Aifa; ISTAT; Associazione per la ricerca sulla depressione; Direzione centrale per i servizi antidroga del Ministero dell'Interno; Tga
                "Quality of Acute Psychedelic Experience Predicts Therapeutic Efficacy of Psilocybin for Treatment-Resistant Depression" pubblicato su Frontiers – Pharmacology il 17 gennaio 2018;
              "Effects of Psilocybin-Assisted Therapy on Major Depressive DisorderA Randomized Clinical Trial" pubblicato su JAMA Network il 4 novembre 2020;
             "MDMA-assisted therapy for severe PTSD: a randomized, double-blind, placebo-controlled phase 3 study" pubblicato su Nature Medicine il 10 maggio 2021;
             "Repeated lysergic acid diethylamide (LSD) reverses stress-induced anxiety-like behavior, cortical synaptogenesis deficits and serotonergic neurotransmission decline" pubblicato su Neuropsychopharmacology il 17 maggio 2022;
            "Treating bipolar depression with esketamine: Safety and effectiveness data from a naturalistic multicentric study on esketamine in bipolar versus unipolar treatment-resistant depression" pubblicato su Bipolar Disorders il 13 gennaio 2023; 

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