A Napoli le mascherine vengono cucite in carcere e sono destinate all’Università Federico II

I detenuti della Campania realizzano mascherine per i dipendenti dell’Università degli studi di Napoli costretti a recarsi in sede. La professoressa Santangelo, delegata del Rettore, ci racconta questo incontro tra carcere e mondo accademico.
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Emanuele La Veglia 2 Aprile 2020

Dopo gli ultimi decreti del governo per limitare il contagio, sono pochi i motivi per cui si può uscire. Ma c'è chi deve andare a lavoro: tra loro anche dipendenti delle università. Ti starai chiedendo come mai dato che corsi, esami e lauree si stanno facendo online. Gli atenei italiani hanno bisogno comunque della presenza in sede del personale amministrativo, ad esempio per i servizi di segreteria e di organizzazione delle attività.

Tra questi ci sono i dipendenti della Federico II di Napoli, di cui voglio parlarti oggi: tra le varie sedi dell'ateneo sono quasi in 50 all'opera ogni giorno e fanno dei turni. In questi giorni stanno ricevendo le mascherine chirurgiche per limitare la diffusione del virus e a rendere speciale questa storia è il fatto che sono realizzate dai detenuti di alcuni istituti penitenziari della Campania.

Il primo passaggio è stato quello di controllare che nelle sartorie delle carceri ci fossero gli strumenti e i materiali adatti alla produzione. A fare da tramite tra i due mondi è da anni la professoressa Marella Santangelo, delegata del Rettore e responsabile del Polo universitario penitenziario della Federico II, un'istituzione che consente a decine di detenuti di studiare e laurearsi. Università e carceri, due mondi che possono sembrarti distanti, eppure ora più che mai mostrano come solo l'unione fa la forza.

"D'accordo con il Rettore Arturo De Vivo – spiega la professoressa Santangelo – ho messo in contatto il Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria della Regione Campania con la Task force d'Ateneo per l'emergenza coronavirus. Speriamo di consegnare più di 10mila mascherine, si produrrà fino a quando ce ne sarà bisogno. Il lavoro è un elemento fondamentale nella loro vita, speriamo che possano nascere, a emergenza terminata, nuove occasioni di collaborazione. Quella delle mascherine potrebbe divenire un'attività stabile".