La prossima Cop27 si terrà dal 7 al 18 novembre 2022 a Sharm El Sheikh, in Egitto. Da sempre, la sede di svolgimento del meeting influenza i suoi lavori. La Cop di quest'anno potrà dunque significare molto per l’Africa: il continente, ti ricordo, che meno contribuisce ai cambiamenti climatici e al riscaldamento globale, ma che più di tutti ne paga le conseguenze. Secondo Oxfam, dall’Africa proviene infatti solo il 4-5% delle emissioni globali, ma i suoi 54 Stati sono tra quelli che subiscono i danni maggiori dai loro effetti.
A incidere sul successo della “African Cop” egiziana, che dovrà riscattare il fallimento dell’ultima Cop26, saranno numerosi fattori. A partire dal modo in cui l’Egitto vorrà gestire l’evento e da quanto vorrà ‘utilizzarlo' per scopi diversi dalla tutela del pianeta. "Si ha la sensazione che non si parta proprio col piede giusto, soprattutto a causa delle crisi globali che stanno concatenandosi senza soluzione di continuità", spiega Cristiana Fiamingo, docente di Storia e Istituzioni dell'Africa all'Università Statale di Milano. Insieme a Fiamingo possiamo fare il punto sul legame tra Africa e cambiamenti climatici.
Il quadro è, se non drammatico, sicuramente preoccupante. Paesi come Etiopia, Sud Sudan e Sierra Leone spendono e dovranno spendere in futuro quote importanti del loro Pil in strategie di adattamento ai cambiamenti climatici. "È giusto che ‘l’Africa aiuti se stessa', reinvestendo nei diversi settori per garantire una qualità di vita dignitosa a tutti i propri abitanti, riducendo al possibile, sul fronte esterno, la dipendenza dagli aiuti internazionali", spiega Fiamingo.
Ma è altrettanto giusto, secondo la docente, "che tra le restituzioni dovute a questo continente, per lo sfruttamento continuo che subisce senza soluzione di continuità e per il salvagente che garantisce al Nord globale, anche nella crisi corrente, vi sia una condivisione di responsabilità nel cooperare". In modo che, "dove siano maggiori i rischi e ripetute le sue manifestazioni avverse, si intervenga con il rafforzamento tecnologico necessario e relativo know-how che permetta l’adattamento e un rallentamento degli effetti del cambiamento climatico".
Insomma, servono fondi e conoscenze. Utili per rispondere a drammi come quello della siccità, che attanaglia gran parte dei Paesi africani, con numerose conseguenze, a partire dagli scontri che potrebbero innescarsi tra settori della popolazione. Il tutto mentre si moltiplica la frequenza di eventi estremi come alluvioni, cicloni, tempeste e maremoti. Basti pensare alle sofferenze del Mozambico e degli Stati del Corno d’Africa negli ultimi anni.
A rischio non sono solo i Paesi del Sahara e del Sahel, che combattono contro siccità e desertificazione, ma anche quelli del Nord del continente. L’Egitto che ospiterà la Cop27 è minacciato dall’aumento del livello del Mar Mediterraneo, che secondo gli estensori dell’ultimo Rapporto Ipcc rischia di sommergere anche le città del Delta del Nilo come Alessandria. Non a caso il Rapporto è stato definito un “fire alarm” da alcuni osservatori socio-politici del continente.
Il controsenso è che l’Africa svolge, con la sua stessa esistenza fisica, un ruolo importante nell’ambito della transizione ecologica. Ti basti pensare ai giacimenti di terre rare presenti nel suo sottosuolo. Parliamo di nichel, cobalto, litio: tutte materie prima fondamentali per costruire le batterie delle auto, dei computer e degli smartphone del futuro.
Materie prime spesso svendute alle grandi aziende tecnologiche in cambio di risorse utilizzate per rispondere ai cambiamenti climatici, in un rapporto di taglio decisamente coloniale. Fa impressione pensare al fatto che, nonostante questa abbondanza di risorse, oggi quasi la metà della popolazione africana non abbia nemmeno accesso all’elettricità. Basti pensare all’incredibile disponibilità di sole, non ancora sfruttata, con cui gli Stai africani potrebbero produrre in maniera sostenibile energia.
Anche in questo senso è allora importante parlare di giustizia climatica. Perchè il tema delle “responsabilità comuni ma differenziate” è decisivo per assicurare un futuro al continente africano, attraverso lo stanziamento dei fondi necessari per rispondere ai cambiamenti climatici, coniugando sviluppo economico e sostenibilità. L’Africa ha sulla carta la possibilità di procedere nel suo sviluppo economico in senso sostenibile, senza passare dai 150 anni di emissioni climalteranti che hanno interessato la crescita economica delle aree più sviluppate del pianeta. Per il futuro di tutti noi è necessario che riesca in questo sforzo: serve però a questo fine un'adeguata volontà politica globale.
La demografia aggiunge un altro mattoncino fondamentale al nostro discorso. La crescita impetuosa della popolazione del continente rischia infatti di aggravare le conseguenze dei cambiamenti climatici. Addirittura la metà dei 54 Stati africani vedrà la sua popolazione raddoppiare da qui al 2050. L’aumento della competizione per risorse sempre più scarse rischia di provocare la futura migrazione di centinaia di milioni di persone.
Tante buone notizie, in questo quadro fosco, comunque ci sono. Ad esempio gli investimenti di un Paese come la Namibia per quanto riguarda l’idrogeno verde, che potrebbe farla diventare una potenza mondiale del settore. Oppure il progetto della Grande Muraglia Verde per combattere la desertificazione nell’area del Sahara e del Sahel. Fino al grande complesso fotovoltaico di Noor-Ouarzazate, in Marocco, che ha permesso al governo di Rabat di porsi all’avanguardia nei processi di decarbonizzazione del continente. Più in generale, spiega Fiamingo, "esistono meravigliosi progetti in Africa, co-finanziati da organizzazioni, centri di ricerca internazionali e da organismi regionali, la cui riproducibilità beneficerebbe il Sud globale se divenisse sistematica”.
Eppure, non è detto che a questi passi in avanti non se ne aggiungano altri all’indietro. La possibilità di sfruttare a fini commerciali le enorme risorse di gas naturale non ancora estratte al largo delle coste del continente (vale per l’Egitto e i suoi giacimenti nel Mediterraneo, ma anche per paesi come l’Angola) rischia di far sprofondare ulteriormente nel baratro la situazione presente e futura del continente e del pianeta.
"Il rischio c’è, ovviamente, e le esigenze di approvvigionamento energetico di queste settimane non rendono favoriti i pronostici del contrario", sottolinea Fiamingo. Per la quale però serve anche "sostenere i movimenti della società civile, soprattutto giovanili, perché è del presente, ma soprattutto del futuro di questo Pianeta che si sta parlando", affinché chiedano ai vertici politici globali "meno ‘chiacchiere' e maggiore perizia diplomatica. Tenendo in considerazione più che la sicurezza degli Stati, la sicurezza umana. Oggi più che mai a rischio".
Questo è del resto la paura più grande: che anche nell'ambito della prossima Cop, ancora una volta l’Africa si trasformi in una colonia del resto del mondo. Ma questa volta, dal punto di vista energetico. Il meeting di Sharm El-Sheikh, oltre ad agire finalmente sul finanziamento della transizione ecologica dei Paesi in via di sviluppo, dovrà dunque evitare che – dietro le quinte – gli investimenti sulle rinnovabili vengano messi da parte in favore di quelli sulle fossili. Di cui colpevolmente a Glasgow non si è deciso per l’eliminazione, e che le conseguenze del conflitto tra Russia e Ucraina rischiano di riportare alla ribalta. Con conseguenze tragiche per l'Africa e per tutti noi.