Male, anzi molto male. Questo è il giudizio delle Nazioni Unite verso i piani di decarbonizzazione e di transizione energetica dei circa 200 Paesi che parteciperanno alla prossima Conferenza delle Parti che si terrà a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Un nuovo report dell'ONU ha analizzato infatti le strategie degli Stati membri dell'organizzazione, considerandoli insufficienti per il raggiungimento degli Accordi di Parigi del 2015, che prevedono il mantenimento dell'aumento della temperatura entro 1,5°C (max 2°C) rispetto ai livelli pre-industriali.
La priorità attualmente è piegare in fretta e con il maggiore sforzo possibile la traiettoria delle emissioni mondiali verso il basso ed evitare i peggiori impatti del cambiamento climatico. Questo per i vertici delle Nazioni Unite è un messaggio che deve arrivare in maniera chiara ai leader mondiali, sia Stiell che Guterres infatti hanno avvertito che, in sostanza, dei piccoli sforzi proposti finora dalle nazioni, e quelli che arriveranno ai tavoli delle trattative COP, ce ne facciamo poco, se non nulla.
"Il rapporto di oggi mostra che i governi stanno facendo piccoli passi per evitare la crisi climatica. E dimostra perché i governi devono fare passi avanti coraggiosi alla COP28 di Dubai, per mettersi in carreggiata", ha dichiarato il Segretario esecutivo delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici, Simon Stiell. "Questo significa che la COP28 deve essere un chiaro punto di svolta. I governi devono non solo concordare quali azioni climatiche più incisive saranno intraprese, ma anche iniziare a mostrare esattamente come realizzarle", ha aggiunto Stiell.
Il nuovo rapporto delle Nazioni Unite viene subito dopo la sintesi del GST (Global Stocktake) presentata a settembre dall'UNFCCC, e anticipa la discussione del primo bilancio mondiale sulle politiche ambientali ed energetiche dei Paesi ONU. La presentazione del primo rapporto sul GST aprirà il dibattito tra i Paesi che parteciperanno alla COP e con molta probabilità anticiperà alcuni contributi nazionali determinati (NCD), come previsto dagli Accordi di Parigi, che i Paesi sono tenuti a preparare entro il 2025.
Anche l'IPCC aveva previsto una situazione del genere, il sesto rapporto di Sintesi sul cambiamento climatico è servito anche da preambolo a un giudizio che un gruppo intergovernativo, ricoprendo un ruolo tecnico, non può fornire. Il tempo è sempre meno per correggere le strategie nazionali e mondiali e contrastare il riscaldamento globale, per questo secondo l'IPCC è fondamentale che le emissioni di gas serra vengano ridotte del 43% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2019. Solo in questo modo sarà possibile evitare la scomparsa di intere regioni sul Pianeta Terra, scongiurare l'innalzamento dei mari e quindi la scomparsa di isole e lagune e quindi di conseguenza delle popolazioni che le abitano.
Nel mettere in allerta il mondo però, Stiell e Guterres hanno voluto anche mettere in mostra gli impatti negativi che una rapida azione per il clima potrebbe portare: più posti di lavoro, più sicurezza energetica, salari più alti, crescita economica, opportunità e stabilità, meno inquinamento e una salute migliore.
Nello specifico, i tecnici ONU hanno analizzato i 195 contributi nazionali presentati fino al 25 settembre 2023: da questi documenti sono emerse le considerazioni negative sulle politiche ambientali degli Stati, ma comunque ci sono delle considerazioni che possono essere ritenute delle buone notizie, qualora dovessero essere applicate:
La figura di Sultan Al Jaber, ministro dell'Industria e delle Tecnologie Avanzate, amministratore delegato dell'azienda petrolifera che serve gli Emirati Arabi Uniti e nuovo presidente della Conferenza delle Parti di Dubai è la più discussa in questo scenario. Numerose critiche sono arrivate da parte delle associazioni e dei gruppi ambientalisti, che vedono la sua nomina come una minaccia ai già difficili obiettivi climatici da rispettare. Se da una parte infatti Al Jaber annuncia di voler promuovere lo sviluppo delle fonti rinnovabili, dall'altra, come CEO di ADNOC, continua a investire in maniera significativa nelle fonti fossili.
Questo non è un segreto, basta consultare infatti il piano industriale dell'azienda petrolifera per capire che la produzione di petrolio e gas pianificata da Adnoc rendono la nomina di Al Jaber a presidente della COP28 alquanto paradossale, secondo le affermazioni dei ricercatori che hanno redatto il rapporto che ha studiato la strategia dell'azienda.
Le analisi provengono dal database pubblico online Global Oil and Gas Exit List (Gogel). I ricercatori riportano costantemente i dati relativi alle attività di 1.600 aziende che rappresentano il 95% della produzione globale. Dalle analisi da poco svolte è stato reso pubblico che la strategia aziendale di ADNOC rappresenta il più grande investimento sui combustili fossili attualmente presente. Questa però è la linea di tutte le aziende prese in considerazione: non ascoltare la comunità scientifica, che più volte ha avvertito come, se si vuole scongiurare l'aumento della temperatura oltre 1,5°C, bisogna smettere di ricercare nuovi giacimenti di petrolio e gas, pratiche altamente inquinanti e insostenibili.
È dal 2021 infatti che l'industria petrolifera spende 140 miliardi di dollari per ricercare nuove riserve di gas e petrolio, solo il 4% delle aziende che lavorano nel settore ha smesso di farlo, mentre il 96% delle 700 compagnie non ha cambiato la propria politica. A conferma di ciò, sono in cantiere da parte di oltre mille aziende nuovi gasdotti, centrali elettriche a gas o terminali di esportazione di GNL (gas naturale liquefatto).
Per capire in che modo si stanno muovendo le aziende, i ricercatori hanno utilizzato l'ultimo scenario "net zero" dell'IEA, che serve a monitorare il superamento dei piani di espansione del petrolio e del gas. Secondo l'Agenzia internazionale dell'energia, per far coincidere l'obiettivo di mantenimento della temperatura entro 1,5°C e i piani industriali delle aziende, ciascuna società non dovrebbe più produrre nuovo petrolio o gas dopo il 2023.
Anche se la Cina attualmente è il Paese che emette più CO2 al mondo, gli Stati Uniti non sono da meno. Il Paese infatti sta già progettando di esportare GNL con 21 nuovi impianti che verranno realizzati nei pressi della costa del Golfo. È proprio lì che si trova il 41% dell'espansione globale dell'esportazione di GNL (prodotto principalmente tramite la tecnica del fracking), un gas che, secondo nuovi studi, potrebbe inquinare più del carbone.
Fonte| UNFCCC NDC Synthesis Report; Gogel