Dopo le segnalazioni di Bergamo e Genova, dopo lo studio pubblicato su Lancet della Pediatria bergamasca che ne confermava la relazione di causa-effetto e dopo che anche l’Oms aveva ribadito la creazione urgente di un “caso preliminare” per identificarla, oggi è l’Istituto Superiore di Sanità a riconoscere la “plausibilità" della correlazione tra l’infezione da Coronavirus e una forma più aggressiva della Sindrome di Kawasaki nei bambini. Il rapporto tecnico del gruppo di lavoro Malattie Rare Covid-19 l’ha definita una “sindrome infiammatoria acuta multisistemica” che può verificarsi “in età pediatrica e adolescenziale” associata alla positività all'infezione o alla presenza di anticorpi anti Sars-CoV-2.
Nel proprio rapporto, l’Iss ha ricordato che le caratteristiche cliniche tipiche della forma infiammatoria acuta multisistemica la accomunano proprio alla Sindrome di Kawasaki. Così come la presenza di febbre elevata, segni di shock e dolori alla zona addominale. La grande differenza sarebbe, tuttavia, l’età più elevata dei bambini colpiti (la media età è di 7-8 anni, fino 16 anni) e appunto l’interessamento multisistemico grave: qui la complicanza più rischiosa è quella miocardica e/o gastrointestinale. Come trattamenti, sono stati utilizzati immunoglobuline endovena, steroidi, e a volte il farmaco anakinra, utilizzato anche sperimentalmente come trattamento per Covid-19. Nonostante nel resto del mondo sono stati registrati, purtroppo, dei decessi, in Italia ad oggi tutti i 10 bambini trattati nella casistica italiana pubblicata nello studio dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo hanno risposto alle terapie, sono guariti e sono stati dimessi.
La definizione di quello che è stato definito il “caso preliminare” è una necessità urgente anche per l’Istituto Superiore di Sanità. Un identikit definito e riconosciuto è indispensabile per una corretta registrazione e analisi epidemiologica dei casi e, quindi, un’efficace gestione clinica.
La definizione del caso si basa su segni e sintomi (come la febbre, lo shock, i disturbi respiratori e renali o gastrointestinali) e, come si legge nel rapporto, anche su biomarcatori tra cui in particolare i marker flogistici (neutrofilia, proteina C-reattiva elevata e linfopenia). E il test del tampone per SARS-CoV-2 può essere positivo o negativo.
Fonti | Istituto Superiore di Sanità