Come funziona la terapia al plasma? Proviamo a fare chiarezza e non cadere nelle fake news

La terapia con il plasma iperimmune consente di trattare le persone affette da Covid-19 con il sangue di chi è appena guarito. E questo probabilmente lo sai anche tu, ma come funziona veramente? Ed è vero che è a costo zero? Proviamo a capire meglio.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Giulia Dallagiovanna 7 Maggio 2020
* ultima modifica il 22/09/2020

In questi giorni se ne parla ovunque, dai programmi televisivi ai quotidiani e siti di informazione. E per fortuna e che "non ce lo vogliono far sapere" come qualche utente sostiene sui social. La terapia al plasma, cioè quella che utilizza gli anticorpi delle persone guarite dal Covid-19 per trattare i pazienti ancora malati, è un'arma importantissima che abbiamo trovato contro questo nuovo nemico. Non è però la cura miracolosa che in tanti, forse anche comprensibilmente, sperano che si riveli.

Come approccio lo si conosce fin dagli inizi del ‘900 ed è stato testato contro diverse patologie, ma ogni volta la sperimentazione ricomincia perché non è detto che i risultati siano sempre soddisfacenti. Quindi, bando alle fake news e alla catene di Whatsapp e cerchiamo di capire insieme cosa sia questa famosa terapia al plasma.

Cos'è il plasma

Il plasma è la parte liquida del tuo sangue e corrisponde a circa il 55% del totale. Saprai bene infatti che quanto scorre nelle tue vene di norma è rosso. In alcuni casi più chiaro, in altri più scuro, ma comunque sempre connotato dal suo colore tipico. E questo accade grazie all'emoglobina che trasporta il ferro e fa assumere al tuo siero la tinta che ben conosci.

Ma l'emoglobina appartiene alla porzione corpuscolare del sangue, ovvero alle cellule. Sto parlando dell'insieme di globuli rossi (che infatti contengono questa particella), globuli bianchi e piastrine.

In questi giorni si sta invece parlando della restante metà liquida e di colore giallognolo: il plasma appunto. Per il 92% è costituito da acqua, ma trasporta anche piccole percentuali di proteine, glucosio, aminoacidi, lipidi, ormoni, sodio, potassio, idrogeno, calcio, bicarbonato, ossigeno, vitamine e oligoelementi. Insomma, una buona parte del nutrimento per il tuo organismo si concentra qui.

Tra tutti questi elementi, dovrai interessarti soprattutto alle proteine, presenti per il 7% del totale. All'insieme appartengono anche le globuline e forse il loro nome ti ricorderà un termine già sentito: le immunoglobuline, che sono infatti uno dei tre sottogruppi. Eccoli qui gli anticorpi che il tuo organismo, e nello specifico i globuli bianchi, producono quando devono far fronte a una minaccia esterna e che, nel caso del Covid-19, stiamo provando a valutare e individuare attraverso i test sierologici.

Come funziona la terapia al plasma

Per capire bene di cosa stiamo parlando, ha senso partire dall'inizio e cioè da come funzioni la terapia al plasma. Come potrai immaginare, il primo passaggio è quello di raccogliere il sangue da un donatore, attraverso un semplice prelievo. Tutto il siero estratto viene immesso in un macchinario che agisce come una centrifuga. Questo processo permette di dividere la parte corpuscolare da quella liquida e giallognola e isolare dunque solo la porzione che serve.

A questo punto il plasma viene sottoposto a una serie di test, previsti dalla legge italiana, per evitare che eventuali patologie del donatore vengano trasmesse al ricevente. Per farti capire l'importanza di questi controlli, devi sapere che tra le malattie di cui parlo potrebbe esserci anche l'Hiv e il donatore potrebbe esserne affetto senza averlo ancora scoperto.

Quando è stato accertato che il liquido è sicuro, viene infuso nel paziente affetto da Covid-19. Ed è in quel momento che parte la sperimentazione.

Cos'è la plasmaferesi

La plasmaferesi è appunto l'isolamento del plasma a scopi terapeutici. Una delle polemiche che hanno spopolato sui social in questi giorni riguardava proprio il discorso della sperimentazione. Come mai, ci si è chiesti con fare sarcastico, si parla di studi e ricerche, quando questa terapia è conosciuta da più di 100 anni?

È vero: la tecnica della plasmaferesi fu descritta dal dottor John Abel, biochimico e farmacologo che lavorava al John Hopkins Hospital, già nel 1913 e fu lui il primo a usare questo termine. Ma la sua scoperta risale addirittura al 1901, quando il medico tedesco Emil Adolf von Behring vinse il premio Nobel per aver utilizzato la terapia a base di plasma iperimmune su una bambina malata di difterite.

Il plasma iperimmune viene utilizzato fin dal 1901, ma ogni malattia è diversa: per questo di parla di sperimentazione

È dunque evidente come questo approccio non sia nato ieri. Non per niente è stato e viene ancora utilizzato per trattare malattie del sistema immunitario, tra le quali anche il lupus eritematoso sistemico, oppure altre patologie come il tetano, la rabbia e l'epatite B. Nel 2003 hanno provato a utilizzarlo come cura contro la SARS, ma i risultati non sono stati ottimi. Mentre nel 2013 è stato impiegato con successo nei pazienti affetti da Ebola.

Ed ecco perché si parla di sperimentazione. Anche se questa tecnica la conosciamo da oltre un secolo, ogni patologia è diversa (ti sembrerà una frase scontata, ma è un concetto che in questi giorni sembra essere un po' sfuggito) e quindi ogni volta è come se fosse la prima. In altre parole, bisogna sempre verificare se la terapia funzioni, se possa riportare degli effetti collaterali, da chi ottenere il plasma di cui si ha bisogno e quali pazienti possono essere sottoposti a questo trattamento. Come sta avvenendo proprio nel caso del Covid-19.

Chi può diventare donatore

Arriviamo adesso a un passaggio importante, che rappresenta anche una delle ragioni per cui questa terapia non è così facilmente replicabile come sostengono diversi utenti sui social, compresi politici e sedicenti medici: chi può donare il proprio plasma?

Il primo requisito fondamentale è che si tratti di una persona che ha contratto il Covid-19 e ne sia guarita, cioè risulti negativa al tampone. Nel suo sangue devono poi essere presenti le IgG, ovvero le immunoglobuline che indicano la formazione della memoria immunologica contro quell'infezione. Proprio questa condizione permette di dire che il donatore, in quel momento, è protetto rispetto al SARS-Cov-2.

Uno dei primi problemi che nascono, però, è che non sappiamo ancora quanto possa durare questa immunità. Trattandosi di un virus nuovo, per saperlo dovremo stare a guardare cosa accadrà nei prossimi mesi e nei prossimi anni, ma nel frattempo i pazienti devono essere curati. È quindi necessario ricorrere a donatori che non si siano negativizzati da troppo tempo e che abbiano ancora nel plasma una quantità di immunoglobuline tali da poter essere considerato "iperimmune", come ci aveva spiegato il professor Cesare Perotti, Direttore del Servizio Immunotrasfusionale presso la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, da dove è partita la sperimentazione.

Non solo, ma è fondamentale che il donatore risulti in buona salute in modo che prelievo e trasfusione non compromettano né le sue condizioni, né quelle del ricevente. E sappiamo come purtroppo diverse persone che hanno contratto il Covid-19 soffrissero già di patologie pregresse.

La sperimentazione in Italia

Nel nostro Paese si comincia a sperimentare la terapia verso la fine di marzo. È in quei giorni infatti che arriva il primo team di medici cinesi da Wuhan, la città dove l'epidemia ha avuto inizio e si era già tentato questo approccio. Oltre a DPI e respiratori, gli specialisti portano con loro i risultati di questi studi. In Italia guida la sperimentazione il Policlinico San Matteo di Pavia, con il professor Perotti e il professor Fausto Baldanti, responsabile del Laboratorio di Virologia Molecolare.

L'ospedale pavese collabora con diverse strutture lombarde, tra cui il Carlo Poma di Mantova, che aderisce ufficialmente il 31 marzo. Sono 20 in tutto i pazienti inseriti nel trattamento, che qui viene gestito dal dottor Massimo Franchini, direttore del Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale, e dal dottor Giuseppe De Donno, che dirige la Pneumologia.

La sperimentazione si è conclusa il 29 aprile e ha dato risultati incoraggianti, anche se i dati sono tuttora in fase di analisi e non vi sono quindi a disposizione numeri certi.

Il caso di Mantova

A Mantova accade un evento importante: per la prima volta al mondo una donna incinta, e affetta da Covid-19, viene trattata con il plasma iperimmune. Ed è una storia a lieto fine dal momento che Pamela Vincenzi, 28 anni, riesce a guarire viene dimessa, nonostante le sue condizioni di salute stessero peggiorando al punto da costringerla a un ricovero in Pneumologia. Ma la ventilazione automatica prevista in questi casi avrebbe potuto danneggiare il feto e così il dottor De Donno pensò di utilizzare anche su di lei la terapia sperimentale.

I risultati sono stati ottimi. Già dopo due trasfusioni, i sintomi dell'infezione erano spariti e nel giro di 8 giorni la donna era risultata negativa al tampone. Ma se la storia si è conclusa per il meglio, è proprio da questo caso che hanno iniziato a circolare le prime polemiche social.

Su Whatsapp è arrivata ad esempio la consueta catena in cui si sosteneva che il plasma iperimmune avesse portato a zero le morti per coronavirus e che dunque non fosse più necessario un vaccino. Ma questa terapia veniva ostacolata perché "a costo zero" e quindi poco redditizia per le case farmaceutiche. In effetti, è lo stesso dottor De Donno ad affermare che: "La mortalità nel nostro protocollo [cioè tra gli 80 pazienti che fino a questo momento sono stati trattati all'ospedale Carlo Poma, ndr.] è zero". Ma il direttore della Pneumologia aggiunge anche che si trattava di persone con "problemi respiratori gravi, ma non gravissimi". Se ne deduce che se le tue condizioni sono precipitate così tanto da averti portato in punto di morte, non sarà il plasma a salvarti. Purtroppo.

Una volta alzato il polverone, però, il caso è montato da solo, a colpi di indignazione e fake news. Su Facebook iniziano a circolare messaggi complottisti: "Il governo manda i NAS a Mantova per far chiudere l'ospedale, quello dove si guarisce in 48 ore". Come la stessa azienda sanitaria chiarisce, "non c'è stato alcun accesso alla struttura da parte dei NAS. Sono state semplicemente richieste informazioni generiche sulla natura della sperimentazione". I dubbi erano sorti proprio in relazione alla vicenda di Pamela Vincenzi, perché all'interno del protocollo concordato non si prendeva in considerazione la possibilità di utilizzare la terapia su una donna incinta. Questo significa, cioè, che una cura sperimentale deve essere controllata e monitorata. E che, per fortuna, viene fatto. Infine, no, a Mantova non si guarisce nel giro di 48 ore.

I vantaggi della terapia

È piuttosto evidente capire quali siano i vantaggi di questa terapia. In un momento in cui avevamo solo armi di difesa contro il Covid-19, ne abbiamo trovata una per attaccarlo. E i risultati sembrano molto promettenti, tanto che si parla di un tempo di remissione dalla malattia calcolabile in giorni.

Un altro vantaggio è che la sostanza di cui si ha bisogno è già disponibile, perché prodotta direttamente dall'organismo di chi è guarito. Dunque, problema risolto?

I limiti della terapia al plasma

Gli attacchi di cui si parla sui social sono in realtà una normale presa in considerazione dei limiti che questa terapia presenta. Prima di tutto, non può essere definita gratuita. Ottenere il plasma iperimmune attraverso il meccanismo che ti spiegavo prima ha un suo costo, come è facilmente intuibile.

Al contrario di quello che si pensa, ottenere il plasma iperimmune ha un suo costo

E poi servono donatori. Certo, il numero dei guariti sta aumentando, ma non tutti sono idonei e soprattutto non è detto che tutti accettino di prestarsi al prelievo. Anche se, va detto, sembra che abbiano aderito a decine.

Non si può però pensare di sfruttare queste persone fino allo sfinimento. Un donatore infatti può aiutare in media circa una o due persone al massimo. Anche perché a un certo punto il livello di IgG nel sangue si abbassa e il suo plasma non è più utilizzabile. Inoltre per avere donatori significa che prima è necessario avere dei malati: la soluzione è quindi far ammalare un elevato numero di persone, con tutti i grandissimi rischi che come hai visto comporta, per ottenere il siero di cui abbiamo bisogno?

In realtà no. "Se si dimostrasse che gli anticorpi funzionano, noi abbiamo le tecnologie per riprodurli artificialmente in laboratorio", ha spiegato il virologo Roberto Burioni al programma di Rai2 Che Tempo Che Fa.  "In questo momento abbiamo tante persone che sono guarite e possiamo quindi pensare di raccogliere subito questi plasmi per non farci trovare impreparati in futuro – ha aggiunto il professor Baldanti nello stesso contesto. – Questa non è la soluzione del problema: arriverà con il vaccino, con i farmaci specifici, oppure con la sintesi di questi anticorpi in maniera ingegnerizzata".

Terapia al plasma e vaccino

Tra tutte le fake news che sono girate, quella più pericolosa ha di nuovo riguardato il vaccino. Il ritornello è sempre quello: "La cura esiste, ma non ce lo dicono perché vogliono propinarci i vaccini, per guadagnare sulla nostra salute".

L'accusa che nessuno te lo voglia svelare è piuttosto ridicola. Si parla di terapia al plasma fin da quando l'epidemia era ancora confinata in Cina. A questo proposito sono stati pubblicati diversi studi, tra cui uno sulla prestigiosa rivista The Lancet. La data? Il 27 febbraio 2020. Quando i medici cinesi sono arrivati in Italia è stato subito comunicato che avrebbero aiutato ad avviare anche qui la sperimentazione e al Policlinico San Matteo di Pavia, dunque non in un laboratorio segreto e al riparo da Big Pharma, è stato trovato il modo di quantificare la concentrazione di immunoglobuline necessaria perché il plasma facesse effetto.

Se ne è scritto sui giornali e se ne è parlato in televisione. Nessuno ha tenuto nascosto nulla. Semplicemente, non sono ancora stati comunicati i risultati perché la mole di dati raccolta deve essere analizzata su base statistica e deve poi dar seguito a riflessioni sull'utilizzo della terapia.

E una terapia, per sua stessa definizione, non è un vaccino. Il secondo previene l'infezione, la prima invece interviene quando la malattia è già in atto. E se l'assumessi troppo tardi? "La terapia con il plasma non è una cura miracolosaspecifica l'ASST di Mantovama uno strumento che insieme ad altri potrà consentirci di affrontare nel modo migliore questa epidemia. Mettere in contrapposizione vaccino, test sierologici o virologici, plasma, terapie farmacologiche o terapie di supporto è insensato, poiché dobbiamo disporre di tutte le armi possibili per fare fronte alla minaccia devastante rappresentata dal coronavirus".

Il problema è che ti stanno dicendo tutto, anche quello che non vorresti sentire.

Il medico delle Mauritius

L'ultima fake news in ordine di tempo è quella messa in circolo da Mauro Rango, che dice di essere un medico delle isole Mauritius e di aver saputo "da un amico italiano" che Roberto Burioni aveva criticato la terapia al plasma. Il primo e prevedibile aspetto da notare è che questa persona non risulta iscritta all'Albo.

In ogni caso, il riferimento è alla stessa puntata di Che tempo che fa di cui ti ho parlato prima. La sua elucubrazione piena di parole in maiuscolo e dalla sintassi un po' stentata verte su quattro punti: non ce lo dicono, la metà dei guariti produce plasma utile, la terapia funziona anche su persone in condizioni di salute gravi ed esiste un numero sufficiente di donatori.

Il "non ce lo dicono" è ormai chiaro quanto sia un'affermazione falsa. Per quel che riguarda il resto del suo ragionamento, ti ho già spiegato come non sia così facile trovare dei donatori idonei e come non si possa ancora sapere con certezza se questo numero corrisponda davvero al 50% dei guariti dal coronavirus. Probabilmente no.

Lo studio in corso serve proprio a valutare quanto possa essere efficace questa terapia, chi possa beneficiarne e quali sono gli aspetti a cui fare attenzione. Non è che non te lo dicono, è che ancora non si sa.

Fonti| ASST Mantova; Associazione nazionale biotecnologi italiani

Contenuto validato dal Comitato Scientifico di Ohga
Il Comitato Scientifico di Ohga è composto da medici, specialisti ed esperti con funzione di validazione dei contenuti del giornale che trattano argomenti medico-scientifici. Si occupa di assicurare la qualità, l’accuratezza, l’affidabilità e l’aggiornamento di tali contenuti attraverso le proprie valutazioni e apposite verifiche.
Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.