Come si diffondono i virus nell’ambiente? Anche “a bordo” delle microplastiche, dove restano vivi e infettivi per tre giorni

Secondo un gruppo di ricercatori dell’Università di Stirling, virus privi di mantello lipidico come il rotavirus, responsabile di diarrea e disturbi di stomaco, sarebbero in grado di attaccarsi alle minuscole particelle di plastica e sopravvivere anche per 72 ore.
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Kevin Ben Alì Zinati 29 Giugno 2022
* ultima modifica il 29/06/2022

Si scrive “microplastiche” ma si legge come una delle più grandi minacce cui dobbiamo, ora, trovare un rimedio.

Il loro vagare in ogni angolo del Pianeta, addirittura fino all’Artico, ogni giorno mette sempre più a rischio ecosistemi, biodiversità e anche luoghi finora meno toccati dagli effetti dell’inquinamento atmosferico o del Climate Change.

Ma queste minuscole particelle di plastica minacciano direttamente anche la salute umana: pensa che negli ultimi anni si sono sprecati gli studi che ne hanno ritrovato tracce nel sangue, nei polmoni e addirittura nella placenta.

Le microplastiche rappresentano un grave pericolo anche perché rappresentano un efficacissimo mezzo di trasporto per virus infettivi.

Agenti virali enterici e responsabili di condizioni quali la diarrea o disturbi allo stomaco come il rotavirus sarebbero, infatti, in grado di rimanere vivi e infettivi fino a tre giorni in acqua dolce proprio attaccandosi sulla superficie delle microplastiche.

Secondo un gruppo di ricercatori dell’Università di Stirling, le sempre più abbondanti particelle di microplastiche negli ultimi anni hanno consentito il trasferimento di agenti patogeni nell'ambiente.

In un articolo pubblicato sulla rivista Environmental Pollution, i ricercatori hanno dimostrato che i virus come quello dell’influenza, caratterizzati da una sorta di mantello lipidico simile a un involucro, avrebbero più difficoltà a sopravvivere “a bordo” di particelle di plastica a differenza invece dei virus enterici come rotavirus e norovirus.

Negli agenti infettivi con un rivestimento, infatti, l’involucro si dissolveva in fretta lasciando il virus in balia dell’ambiente esterno in cui si trovava. Quelli nati già senza lo scudo protettivo, come fossero più resistenti, riuscivano a legarsi alle microplastiche a sopravvivere anche per tre giorni.

Un vero problema, hanno spiegato i ricercatori inglesi, soprattutto se pensi che gli impianti di trattamento e filtraggio delle acque reflue non sono in grado di bloccare le microplastiche. “Anche se un impianto di trattamento delle acque reflue sta facendo tutto il possibile per pulire i rifiuti delle acque reflue, l'acqua scaricata contiene ancora microplastiche, che vengono poi trasportate lungo il fiume, nell'estuario e finiscono sulla spiaggia”.

Queste particelle di plastica, così, diventerebbero potenzialmente preda dei bagnanti e di tutte le persone che vivono ore sulla spiaggia, affondano le mani nella sabbia o raccolgono una conchiglia nascosta sotto una coltre di granelli. E i virus troverebbero perciò spalancata l’autostrada che porta alle porte del nostro organismo.

Fonte | "Binding, recovery, and infectiousness of enveloped and non-enveloped viruses associated with plastic pollution in surface water" pubblicata il 6 giugno 2022 sulla rivista Environmental Pollution 

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