Abbiamo parlato della nascita della plastica, degli elementi di cui è composta, del suo valore sociale e dell’importanza che ha ricoperto e tuttora ricopre in diversi aspetti della vita dell’uomo, come ad esempio la sanità o l’edilizia. Ma ti ho anche spiegato in che modo la sua produzione sia aumentata vertiginosamente nel corso degli ultimi decenni, e come i processi di smaltimento dei rifiuti di questo materiale non siano riusciti minimamente a stare al passo con la loro produzione. Perché un materiale igienico, sano, lavabile, leggero e resistente come la plastica ma che non sia la plastica, non esiste da nessuna parte. Negli ultimi anni, però, ha iniziato a farsi strada nella mente delle persone il pensiero che, forse, non tutto ciò che è fatto di plastica dovrebbe essere di plastica. Mi spiego meglio. Un materiale estremamente resistente, creato per essere durevole ma anche poco costoso, facilmente ripulibile e poco attaccabile da germi, batteri e muffe, funziona molto bene per quanto riguarda la realizzazione di oggetti nell’ambito dei trasporti, delle costruzioni e delle strutture sanitarie. Ma se parliamo invece di oggetti monouso come piatti, bicchieri, bottiglie, sacchetti e packaging alimentare, la questione assume tutto un altro tono. Che senso ha produrre materiale plastico in modo indiscriminato destinandolo a una vita della durata di qualche secondo prima di finire nel sacco dell’immondizia ed essere destinato, se tutto va bene, ai centri di smaltimento oppure, nella peggiore delle ipotesi, agli oceani?
Non è un caso infatti che la Direttiva europea contro la plastica monouso abbia bandito questi oggetti a partire dal 2021. E non è un caso nemmeno il fatto che negli ultimi anni la bioplastica sia diventata la protagonista indiscussa della rivoluzione green degli ultimi anni, attestandosi come potenziale materiale del futuro in grado di rimpiazzare gradualmente la sua corrispettiva inquinante. Start up, aziende, singoli cittadini promettenti ormai da molti anni hanno iniziato a condurre ricerche ed esperimenti per creare dal nulla, o meglio, da ciò che già si trova in natura, un materiale altrettanto capace di contenere cibo, prodotti sanitari e cosmetici, trasportare oggetti, comporre capi di abbigliamento.
Ma che cos’è, quindi, una bioplastica?
Per definizione, la bioplastica non è altro che un materiale dalle caratteristiche equivalenti alla plastica (quindi resistente, igienica, versatile), ma realizzata con una base biologica (e quindi non fossile) in grado di biodegradarsi in fretta ed essere quindi smaltita attraverso processi di compostaggio senza rimanere nell’ambiente e senza inquinare. La materia prima da cui le bioplastiche possono derivare cambia di volta in volta. Può essere rappresentata da scarti agricoli o alimentari, biomasse, ma anche da alghe, trucioli di legno, acque reflue e addirittura CO2. Ogni cosa, ogni composto organico presente sul Pianeta può essere un punto di partenza per realizzare bioplastica. La cosa importante, oltre alla totale assenza di materiali derivanti dal petrolio, è che alla fine del suo utilizzo il prodotto realizzato si disintegri nell’ambiente in breve tempo.
I vantaggi della bioplastica, infatti, sono diversi. Un ridottissimo impatto ambientale, la rinnovabilità delle risorse che, essendo organiche, si generano in continuazione, la possibilità di riciclo, l’eliminazione di scarti agricoli o comunque organici che vengono invece riutilizzati per la produzione di materiale… Di svantaggi, al momento, sembra ce ne siano davvero pochi, tra cui il costo elevato rispetto alla plastica, materiale economico per definizione.
Oggi sono centinaia in tutto il mondo le aziende e le start up che si stanno prodigando nella realizzazione di alternative valide alla plastica che sta soffocando il mondo. Per far sì che questi materiali vengano accolti e accettati, e quindi inseriti nella nostra quotidianità e, prima ancora, nel mercato mondiale, c’è bisogno ancora di un po’ di tempo. Per cambiare mentalità, per apportare modifiche radicali al nostro modo di concepire elementi della nostra vita quotidiana come il packaging o le bottiglie, per convincere chi può farlo a investire veramente su un’alternativa sostenibile.