Tassonomia, opportunità o tentativo di greenwashing? I pro e i contro del concedere l’etichetta verde a nucleare e gas

Tra la fine di giugno e il mese di luglio Parlamento e Consiglio europeo dovranno deciderne il futuro della tassonomia e della proposta della Commissione europea di considerare atomo e gas come fonti sostenibili. Da dove nasce questo progetto e perché alcuni Stati sono sfavorevoli?
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Kevin Ben Alì Zinati 17 Giugno 2022
In collaborazione con Eleonora Evi Eurodeputata e co-portavoce nazionale di Europa Verde

Tra il «sì» e il «no»: qui si trovano nucleare e gas naturale.

Il loro futuro «green» è in bilico e nelle prossime settimane sapremo se penderanno da un lato o dall’altro: se dunque saranno riconosciute come fonti energetiche sostenibili e quindi meritevoli di ricevere finanziamenti oppure no.

L’atto finale per il destino della tassonomia andrà in scena nella plenaria, quando cioè il Consiglio e il Parlamento europeo saranno chiamati a esprimersi in modo ufficiale. Nel frattempo, però, su una decisione così delicata e potenzialmente rivoluzionaria non sono mancate critiche, accuse e opposizioni.

La più decisa e impetuosa, soprattutto perché ufficiale, è arrivata dalle commissioni Affari economici e Ambiente del Parlamento europeo, dove gli eurodeputati hanno approvato un’obiezione al secondo atto delegato alla tassonomia.

Con 76 voti favorevoli, 62 voti contrari e 4 astenuti hanno cioè ribadito che no, nucleare e gas non possono e non devono rientrare tra le attività economiche ritenute «green».

Perché sono così convinti? E perché la Commissione europea e altri Stati invece sostengono il contrario?

C’è chi dice «sì»

La proposta di concedere l’etichetta di «fonti sostenibili» a gas e nucleare nasce sostanzialmente dalla convinzione che queste due risorse siano davvero potenziali alleati «green».

In una nota, infatti, la Commissione europea li aveva definiti fonti “in linea con gli obiettivi climatici e ambientali dell'UE che ci consentiranno di abbandonare più rapidamente attività più inquinanti, come la produzione di carbone, a favore delle fonti rinnovabili di energia, che saranno la base principale di un futuro a impatto climatico zero.

Il nucleare

Prendi l’atomo. Il futuro sono le rinnovabili, questo lo sappiamo. Allo stesso tempo però sappiamo anche che da sole potrebbero seriamente non bastare per raggiungere gli obiettivi di emissioni zero e decarbonizzazione, step fondamentali e globalmente riconosciuti (dagli accordi di Glasgow fino agli ultimi report Ipcc) per contrastare l’avanzata del Climate Change.

Il professor Marco Enrico Ricotti, infatti, ci aveva spiegato che le tecnologie nucleari potrebbero contribuire in modo concreto alla transizione energetica e che escluderle sarebbe come provare a vincere una partita di tennis accecandosi un occhio e legandosi un piede.

Se ti soffermi esclusivamente sulla quantità di emissioni inquinanti generate (pari a zero), il nucleare impiegato per produrre energia elettrica è di fatto una strada «green» e sostenibile.

La fissione nucleare sfrutta il calore e il vapore generati dalla spaccatura di atomi di uranio per alimentare una turbina e generare elettricità: quindi niente combustibili fossili o emissioni di gas inquinanti.

Se poi rifletti sulle potenzialità delle tecnologie di IV generazione o degli Smr (oggi comunque ancora in fase di sviluppo), ti troveresti sul tavolo delle possibili soluzioni capaci di garantire sicurezza, sostenibilità ambientale ed economicità per cambiamenti significativi in tempi anche molto rapidi.

Una risorsa che secondo il professor Ricotti non andrebbe sottovalutata, specialmente in un contesto in cui eolico e fotovoltaico restano ancora discontinui perché dipendenti da condizioni meteorologiche ingovernabili e lo stoccaggio dell’energia in batterie ancora troppo poco efficiente.

Accanto alle ragioni puramente scientifiche o «ambientali» per includere l’atomo nella tassonomia per la finanza sostenibile, ci sono ovviamente quelle economiche.

La fissione nucleare non produce gas inquinanti e potrebbe quindi essere considerata "green", se non si considerano le scorie

Tra i molti Paesi favorevoli alla proposta della Commissione avrai notato la Francia. Ovvero lo Stato europeo con più centrali nucleari attive (56) – dalle quali ricava il 70% del proprio fabbisogno elettrico – e il più virtuoso sul piano dell’esportazione di elettricità.

Lo stesso discorso lo puoi allargare anche ad altri Paesi come la Finlandia (dove ci sono 4 centrali attive), il Belgio (7 impianti), l’Ungheria, (4), la Repubblica Ceca (6), la Bulgaria (2), la Polonia, la Slovacchia (4), la Slovenia (1) o la Romania (2).

Il gas

Nella partita sul destino della tassonomia, è certamente più accettata l’idea di considerare il gas naturale come una risorsa di accompagnamento nel percorso verso la decarbonizzazione: una sorta di soluzione «ponte» in grado di favorire la transizione energetica verso fonti più pulite.

Per produrre energia, un impianto a gas infatti genera quasi la metà delle emissioni inquinanti rispetto alla combustione del carbone e una quantità decisamente bassa di di inquinanti atmosferici, come il particolato.

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Sfruttare il gas naturale, secondo alcuni, rappresenterebbe poi un’ottima risorsa di supporto per sopperire all’intermittenza delle fonti rinnovabili di cui ti accennavo poco sopra e investire sulle reti di trasporto del gas naturale potrebbe anche significare portarsi avanti con i tempi.

Le centrali a gas sono strutture facilmente convertibili, in un prossimo futuro, a impianti di trasporto dell’idrogeno e del biometano, entrambi gas rinnovabili e puliti per produrre energia.

C’è chi dice «no»

C’è poi il fronte del «no». Quello di chi ritiene che il gas, e soprattutto l’atomo, non debbano essere assolutamente riconosciute come fonti sostenibili.

Il fronte di chi è convinto che etichettarli come «green» getterebbe un enorme macigno sulle ambizioni del Green Deal europeo e sulla strada della transizione ecologica ed energetica.

Il nucleare

Tra i più attivi oppositori al nucleare verde c’è la Germania. Berlino è storicamente contro il nucleare, tanto che da tempo ha avviato il processo di «phase out» per smantellare tutte le proprie centrali entro il 2022.

In più occasioni, poi, il governo del cancelliere Olaf Scholz ha definito l’atomo una “tecnologia pericolosa” e le rinnovabili la soluzione su cui puntare.

Una posizione poi che la Germania ha ribadito in maniera ancora più ufficiale e formale quando, attraverso le parole del portavoce del ministro dell’Ambiente, ha risposto alla richiesta della Francia di una dichiarazione pre-voto confermando che avrebbe votato contro l’atto delegato alla tassonomia.

A quello tedesco erano seguiti altri «no». Come quello del Lussemburgo, con il suo ministro dell’Energia Claude Turmes che aveva additato la tassonomia Ue come “una provocazione dal punto di vista procedurale inviata in un’azione notturna e nebulosa. Questo la dice lunga sulla trasparenza”. 

La vicepresidente e ministro per la Transizione ecologica spagnola Teresa Ribera, invece, si era limitata a definire il nucleare (insieme al gas) energie “non verdi o sostenibili”.

Le opposizioni trovano radici anche a Bruxelles. Eleonora Evi, eurodeputata e co-portavoce nazionale di Europa Verde, ci aveva spiegato che il tema caldo, a proposito del nucleare, riguarda le scorie radioattive generate dall’attività atomica: “Una questione così dannosa e pericolosa che non si può pensare di definire sostenibile un investimento in un impianto nucleare”.

Eleonora Evi, Eurodeputata e co–portavoce di Europa Verde

Per l’eurodeputata, che non aveva usato mezzi termini quando definiva questa proposta una “enorme operazione di greenwashing, sarebbero inaccettabili anche i criteri proposti dalla Commissione europea per definire se e quando il nucleare può essere ritenuto sostenibile.

I rifiuti radioattivi sono ancora una questione così dannosa e pericolosa

Eleonora Evi, eurodeputata Europa Verde

Nell’atto delegato si legge, infatti, che i nuovi impianti avrebbero tempo fino al 2050 per mettere a punto piano strategici per lo smaltimento o lo stoccaggio sicuro delle scorie radioattive.

Anni, decenni, in cui continuare a generare materiale dannoso per l’uomo e l’ambiente e complesso da smaltire. “E per di più, se anche lo stoccaggio sicuro non si verificasse, l’unica sanzione sarebbe la perdita dell’etichetta verde” aveva aggiunto Evi.

Per il fronte del «no», in sostanza, il nucleare sarebbe una minaccia per tutti i capisaldi che fondano la tassonomia e la rivoluzione «green»: l’economia circolare, l’inquinamento, la protezione degli ambienti e degli ecosistemi.

Il gas 

Definirlo una fonte energetica più pulita e con un impatto ambientale minore rispetto al carbone (o al petrolio) non cancella tuttavia il fatto il gas naturale non è una fonte energetica rinnovabile.

Generare elettricità attraverso la sua combustione significa produrre comunque emissioni di anidride carbonica e di altri gas serra che, come sai, contribuiscono all’aumento della temperatura globale e quindi al riscaldamento della Terra.

Senza dimenticare poi che la componente principale del gas naturale è il metano: un altro gas a effetto serra presente in atmosfera e particolarmente efficace nel trattenere calore alimentando così il cambiamento climatico.

A non convincere Paesi come Austria, Lussemburgo, Danimarca, Portogallo e Spagna sono anche i criteri stabiliti dalla Commissione europea per concedere l’etichetta verde al gas.

Nell’atto delegato si legge, infatti, che gli impianti di gas devono produrre emissioni inferiori a 100 gCO2e/kWh, che gli impianti che ottengano l’approvazione entro il 2030 non devono eccedere la soglia di 270gCO2e/kWh di emissioni dirette e che devono restare al di sotto dei 550kgCO2e/kW di media annuale di emissioni nell’arco di 20 anni.

“Dobbiamo arrivare a emissioni nette zero il più presto possibile e questa non mi sembra proprio la strada giusta” aveva commentato l’eurodeputata Eleonora Evi.

Una posizione, tra l’altro, già adottata anche dalla piattaforma sulla finanza sostenibile, ovvero il gruppo di esperti scelto per revisionare la bozza dell’ano delegato alla tassonomia inviato agli Stati membri.

A pesare sul destino (verde e non solo) del gas è arrivata poi l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. La guerra ha dimostrato una volta di più come le importazioni da paesi esteri finisca col alimentare instabilità geopolitica e una pericolosissima dipendenza energetica contro cui, tra l’altro, l’Europa ha già messo in piedi il piano RePowerUe.

“È controproducente pensare di definire sostenibili risorse che dobbiamo importare da paesi fuori dall’Unione europea” aveva spiegato Eleonora Evi.

La co-portavoce di Europa Verde aveva poi aggiunto che oggi non dovremmo investire più un euro in nuove infrastrutture a gas né tantomeno considerarle «green» soprattutto in virtù dell’attuale situazione geopolitica internazionale e delle “delle pressioni ricevute dalla Commissione. Bisogna dire che le società energetiche russe Gazprom, Lukoil e Rosatom hanno utilizzato connessioni di lobbying per influenzare l'inclusione del gas fossile e dell’energia nucleare nella tassonomia. Secondo un recente studio, la Russia potrebbe guadagnare 4 miliardi di euro in più all'anno da un’espansione della capacità di gas grazie alla tassonomia, per un totale di 32 miliardi di euro entro il 2030. L'inclusione dell’energia nucleare nella tassonomia consentirebbe a Rosatom, una società di stato russa con forti legami commerciali con l'industria nucleare europea, di assicurarsi una quota di circa 500 miliardi di euro di potenziali investimenti in nuove capacità nucleari dell’UE”.

Il futuro è qui

«Sì» o «no», dunque. Il potenziale futuro sostenibile del gas e dell’energia nucleare si risolverà in due lettere: un semaforo rosso o verde che deciderà se queste due risorse verranno riconosciute davvero come alleati alla transizione energetica oppure no.

Il destino della tassonomia verrà scritto quando Consiglio e Parlamento europeo si siederanno ai tavoli e voteranno. La plenaria è prevista tra il 4 e il 7 luglio 2022 anche se, secondo alcune fonti da Bruxelles, potrebbe anche essere anticipata già al 22 giugno.

E a quel punto sarà davvero solo «sì» o «no». Forse non lo sapevi, ma l’atto delegato della Commissione non può essere modificato ma solo approvato o respinto. Se entrambi i co-legislatori, votassero a favore, la proposta verrebbe approvata ma se dal Parlamento o dal Coniglio arrivasse un «no», tutto la proposta verrebbe bocciata.

Un pronostico? Difficile farlo. Di certo è complicato pensare che in Consiglio europeo arrivi una stroncatura: il solo voto favorevole dei governi «nuclearisti» per esempio azzererebbe ogni speranza di blocco dal momento che per bocciarla servirebbe la maggioranza qualificata rafforzata, dunque il 72% degli Stati membri con almeno il 65% della popolazione complessiva.

Potrebbe esserci qualche spiraglio in più all’interno del Parlamento. Qui, infatti, basterebbe la maggioranza assoluta degli eurodeputati per respingere l’atto delegato, quindi 353 deputati su 705.

«Sì» o «no». Il destino verde di gas e atomo poggia su due lettere.