No, sul nucleare l’Italia non è la Germania: la nostra è un’altra storia

Riflettendo sulla scelta tedesca di rispondere alla crisi energetica prolungando la vita di alcune centrali nucleari e riattivandone altre a carbone, Greta Thunberg non sta suggerendo di far ripartire l’atomo là dove oggi è spento. Chi strumentalizza le sue parole azzera il dibattito sul nucleare, finendo per azzerare il dialogo quando invece servirebbe parlarne sempre di più. E in modo onesto.
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Kevin Ben Alì Zinati 13 Ottobre 2022

L’Italia non è la Germania. Lingua diversa, storia diversa, cultura diversa. E pure scelte economiche ed energetiche diverse. Banale, vero? Per qualcuno però questa distinzione non sembra poi così netta.

Sto parlando di chi, per esempio, prende le parole pronunciate da Greta Thunberg sul nucleare tedesco e applicando la proprietà transitiva le appiccica addosso all’Italia.

Riflettendo sulla scelta della Germania di rispondere alla crisi energetica prolungando temporaneamente il tempo di vita di due delle tre centrali nucleari ancora in funzione e, in parallelo, resuscitando alcuni impianti a carbone, Greta con limpidezza, ha spiegato che “se sono già attive, penso che sarebbe un errore spegnere le centrali nucleari per affidarsi al carbone”. 

Quando poi le è stato chiesto se l’atomo oggi possa rappresentare in generale la scelta migliore per affrontare la crisi climatica ha aggiunto: “Dipende”. Che poi è la posizione ufficiale dei Fridays for Future.

Insomma, Greta non ha detto “sì al nucleare” tout court. Non ha detto che l’atomo ci salverà dal Climate Change né che per uscire dalla crisi climatica ed energetica bisogna puntare sulla fissione. Non ha quindi implicitamente suggerito di costruire nuovi impianti là dove non ci sono.

Greta ha valorizzato – in parte – il ruolo del nucleare esclusivamente all’interno dei confini della situazione tedesca e a scapito del carbone, niente di più e niente di meno.

Chiaro: che la giovane leader dei Fridays abbia parlato di nucleare nel contesto della crisi climatica ed energetica porta inevitabilmente a chiedersi anche se il nucleare possa effettivamente ricoprire lo stesso ruolo in Italia.

Le parole di Greta però non vanno assolutamente travisate, come invece ha fatto qualcuno, né tantomeno strumentalizzate (come ha fatto qualcun altro) finendo per far passare il messaggio che dovremmo puntare sull’atomo.

Dobbiamo però capire che il ragionamento della giovane attivista svedese non si può applicare al nostro Paese semplicemente perché l’Italia non è la Germania. L’Italia non ha più centrali nucleari attive, funzionanti e già capaci di fornire energia elettrica.

Nella riflessione pragmatica di Greta sono implicitamente inclusi diversi concetti indispensabili quando si parla di nucleare e che qualcuno dimentica. Uno è racchiuso dentro quel «dipende».

Per parlare di nucleare serve ammetterne la complessità e allo stesso tempo bisogna avere l’onestà intellettuale di capire che le effettive potenzialità di questa tecnologia dipendono da tanti fattori, diversi da contesto a contesto.

L’Italia non è la Germania perché qui il nucleare è spento (le nostre 4 centrali sono in decomissioning), porta sulle spalle i due “no” arrivati dai referendum (quello del 1987 post Chernobyl e quello del 2011 post Fukushima) ed è arrugginito da anni di inattività e scarso allenamento come ci aveva sintetizzato il professor Ricotti.

Ammettere che il ruolo del nucleare dipende da tanti fattori significa anche non riassumere la questione in un dicotomico «si o no». Ne avevamo parlato anche con il giornalista scientifico Luca Carra: nascondere un dibattito così ampio dietro a un «sì o no» rischia di tagliar fuori aprioristicamente un potenziale alleato.

Sarebbe come chiedere a Roger Federer di affrontare la finale di Wimbledon impugnando la racchetta con la mano sinistra, lui che invece è destorso.

Non possiamo permetterci di ridurre il nucleare a una scelta binaria perché da più parti ci stanno dicendo che le rinnovabili da sole potrebbero non bastare e che quindi non esiste un’unica soluzione alla crisi climatica. E la semplificazione di un macromondo complesso e fatto di regole proprie porta alla banalizzazione, all’azzeramento del dialogo e quindi a una polarizzazione che fa solo perdere tempo.

Il tempo. È lui l’altro concetto cardine nel discorso di Greta. Variabile troppo spesso lasciata in disparte e che si scorda chi estrapola le sue parole e le getta sul tavolo dell’Italia.

Oggi di tempo non ne abbiamo praticamente più. E costruire nuove centrali nucleari adesso è certamente diverso che sfruttare le potenzialità di impianti già in funzione. Forse – e dico forseiniziare ex novo un impianto potrebbe insomma non essere la soluzione ideale.

Quanto tempo ci vuole, infatti, per costruire un impianto? Te lo sei chiesto anche tu sentendo rimbalzare il nuocere da una parte all’altra del dibattito pubblico. Una fetta di politica dice 5-6 anni, il direttore del dipartimento di fusione nucleare dell’Enea Alessandro Dodaro ci aveva detto “pochi anni”. La risposta, anche qui, è che dipende.

Siamo in Italia, non in Germania, e dobbiamo quindi fare i conti con ciò che abbiamo (uno scarso consenso popolare verso il nucleare) e ciò che non abbiamo (una filiera).

Morale? Greta, parlando del nucleare tedesco, non ha solo ribadito che chiudere degli impianti atomici già attivi e funzionanti per aprirne altri a carbone non sarebbe una soluzione sensata. Tra le righe (più o meno) ha anche detto che sul nucleare serve parlare dialogare e confrontarsi ma in modo meno polarizzato, meno aggressivo, meno violento. E più onesto.

Giornalista fin dalla prima volta che ho dovuto rispondere alla domanda “Cosa vuoi fare da grande”. Sulla carta, sono pubblicista dal altro…