“Guarito” da HIV e leucemia grazie al trapianto di cellule staminali: cosa insegna la storia di Paul Edmonds

A cinque anni di distanza dal trapianto di staminali, Paul Edmonds oggi è in remissione dalla leucemia mieloide acuta e dall’HIV. La sua storia, secondi i medici che l’hanno curato, dimostrato che siamo sulla strada giusta ma allo stesso tempo aggiungerebbe anche una piccola-grande certezza: una chemioterapia a intensità ridotte in pazienti anziani affetti da entrambe le patologie favorirebbe l’efficacia del trapianto e dunque la “guarigione”.
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Kevin Ben Alì Zinati 26 Febbraio 2024
* ultima modifica il 10/03/2024

Il nome di Paul Edmonds potrebbe suonare poco familiare alle tue orecchie. Questo perché l’hai sempre conosciuto come il “paziente di City of Hope”, ovvero la quarta persona «guarita» dall’HIV.

La sua storia ricalca un po’ quella degli altri «guariti». Paul conviveva con il virus dell’immunodeficienza umana da oltre 30 anni e con il tempo anche lui aveva sviluppato una forma di leucemia mieloide acuta, un grave tumore del sangue.

Come il paziente di Berlino e quello di Londra prima di lui, la donna di 59 anni e il paziente di Dusseldorf poi, anche Paul è stato sottoposto a un trapianto di cellule staminali particolari, caratterizzate cioè da una mutazione genetica che le rendeva resistenti al virus dell’immunodeficienza umana.

Paul insieme a suo marito Arnold House. Photo credit: City Of Hope

La procedura a cui fu sottoposto nel 2019, come ti ho già raccontato, ha funzionato perché Paul nel giro di poco tempo è entrato in remissione sia dalla leucemia sia dall’HIV, portandolo in quella ristrettissima lista di persone «guarite» dal virus.

Oggi però è un giorno particolare. Anzi, un momento particolare perché sono passati quasi cinque anni dal quando ha sospeso la terapia a base di farmaci antiretrovirali: è quasi trascorso quel tempo necessario insomma affinché Paul possa essere definito guarito dall’HIV.

In attesa che quel giorno arrivi e lasciando per un attimo da parte quel delicato carico di cautela che il termine «guarire» si porta dietro, oggi la sua storia ha acquisito un peso ancora più importante.

L’hanno ribadito gli stessi medici del City of Hope National Medical Center di Duarte, in California, con un articolo-lettera pubblicato sul New England Journal of Medicine in cui spiegano, in sostanza, che il caso di Paul sembra aver rafforzato due decisive consapevolezze raggiunte nella lotta all’HIV.

Come due bandierine affondate in una terra nuova, oggi non solo sappiamo che il trapianto di staminali con la rara mutazione genetica CCR5 Delta 32 è una strada davvero promettente per il contrasto al virus.

L’aver raggiunto la remissione di entrambe le due gravi condizioni con questa metodica sembra dimostrare anche che una chemioterapia a intensità ridotta effettuata prima del trapianto di staminali con cellule del donatore resistenti all’HIV, in pazienti anziani colpiti sia dall’infezione sia dal tumore del sangue possa aiutare concretamente a battere entrambe le patologie.

Sebbene con grosse dosi di calma, attenzione e prudenza, la storia di Paul sembra insomma confermare che la strada potrebbe essere quella giusta.

Il trattamento alla base della doppia remissione di Paul, prevede di distruggere le cellule staminali che formano il sangue nel midollo osseo per sostituirle con altre staminali sane e provenienti da un donatore con geni simili.

La particolarità di questo procedura tuttavia sta nel fatto che le staminali donate possiedono una mutazione genetica associata alla resistenza all’HIV-1, presente soltanto nel 1-2% della popolazione mondiale, la cosiddetta CCR5 Delta 32.

Dopo il trapianto, Paul ha raggiunto il “chimerismo completo”, ovvero quella condizione in cui il midollo osseo e le cellule staminali del sangue originali sono state completamente sostituite da quelle ricevute dal donatore. Da quel momento, Paul non ha più mostrato segni né della leucemia né dell’HIV.

Perché tutto funzioni per il meglio, però, è necessario azzerare il midollo osseo di ciò che lo costituiva fino a quel momento e le strade impiegabili sono cicli di radiazioni o, appunto, di chemioterapia. Come sai, però, si tratta di procedure non prive di rischi e controindicazioni pesanti per i pazienti.

Nel caso di Paul, ruolo importante, se non decisivo, secondo i medici del City Hope l’avrebbe giocato appunto la chemioterapia a intensità ridotta, effettuata cioè a un dosaggio più basso. Questo avrebbe reso il trapianto più tollerabile per i pazienti più anziani e avrebbe contribuito a ridurre il rischio di complicazioni.

“Continuo a essere estremamente grato che City of Hope abbia contribuito a sviluppare trapianti di cellule staminali per gli anziani e le persone con HIV” ha raccontato Paul, che oggi ha 68 anni e tra le altre cose sta lavorando con Adam Castillejo e il paziente di Dusseldorf per promuovere la ricerca sulla cura dell'HIV.

Piccoli passi: le maratone si portano a termine così.

Fonte | City Of Hope 

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