5 questioni da risolvere nel 2023, secondo Ohga: dalla carenza medici all’abbandono dei combustibili fossili

Stappata l’ultima bottiglia di spumante, e finita l’ultima fetta di panettone, è tempo di pensare all’anno appena cominciato. Il 2022 non ci ha lasciato un’eredità facile sul fronte dell’Ambiente e della Sanità: i problemi sono complessi, ma la necessità di una soluzione è sempre più urgente. Cosa dovremmo chiedere a governo e istituzioni nei prossimi 12 mesi.
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Giulia Dallagiovanna 2 Gennaio 2023

Quante volte sei andato dal medico nel 2022? Quanto era lunga l'ultima fila che hai fatto al Pronto Soccorso?

Cos'hai provato la scorsa estate, quando il termometro segnava più di 40°C? Ti ricordi il fiume in secca, vicino a casa tua? E come ti sei sentito a Natale, con indosso solo un cappotto leggero?

Quante volte, durante gli ultimi 12 mesi, hai avuto notizia di qualche inondazione, precipitazione violenta, tromba d'aria, siccità, frana che ha colpito l'Italia?

Ti ricordi il saracco che si stacca dal ghiacciaio della Marmolada?

Stappata l'ultima bottiglia di spumante, e finita l'ultima fetta di panettone, è tempo di pensare al 2023. Un 2023 che è un po' come il Monopoli a cui hai giocato durante l'ultimo pranzo in famiglia. Lo scopo è evitare di finire in bancarotta, di perdere tutto. Puoi lanciare il dado e provare a proseguire lungo la tua strada, continuando a costruire le tue case e i tuoi alberghi. Ma non puoi fare a meno di incappare in imprevisti che possono rovinare i piani, se non sei in grado di trasformarli in possibilità.

Nel 2023 avremo almeno 5 imprevisti – che imprevisti in realtà proprio non sono – da superare. Dobbiamo decidere con cura dove dirigere i nostri investimenti, perché vincere sta diventando sempre più difficile.

Ci servono nuovi medici

Il 2022 è stato "l'anno nero" per la Medicina Generale. In 12 mesi, sono andati in pensione quasi 4mila medici di famiglia, ma non ne sono subentrati altrettanti. A breve, 3 milioni di italiani, semplicemente, non avranno un medico. A Bergamo hanno avviato il progetto "Ambulatori diffusi" per provare a fornire una prima risposta a 21mila cittadini che non sapevano più a chi richiedere assistenza. L'iniziativa ha avuto un buon riscontro tra i pazienti "orfani", tanto che il modello è già stato adottato da Ats Pavia e si prepara a essere esportato anche in altre province lombarde, se non addirittura fuori regione.

Ma l'ingegnosità delle aziende sanitarie non potrà reggere il ritmo di un'emorragia che ha radici lontane. È da almeno 15 anni che associazioni e sindacati denunciano una situazione insostenibile. E non solo a livello di medicina del territorio. Anaao, l'associazione dei medici e dirigenti sanitari italiani, ha calcolato che entro il 2030, 47mila specialisti ospedalieri andranno in pensione e che ogni giorno sette di loro lasciano il servizio pubblico per dedicarsi al privato. Fimmg, la Federazione Italiana Medici di Medicina Generale, ricorda invece che al 2028 verranno a mancare più di 33mila medici di base.

Entro il 2028 andranno in pensione 33mila medici di famiglia e 47mila specialisti ospedalieri

Ma anche infermieri, fisioterapisti e altri operatori sanitari lavorano a ranghi ridotti.

Lungo il percorso verso l'assistenza e la cura, ad esempio, di un malato cronico è arrivato l'imprevisto: non c'è più nessuno che lo possa prendere in carico. Quale mossa farà il governo? Abbiamo già affrontato una pandemia con tagli a personale e posti letto. Come vogliamo impostare il futuro?

L'intervento più urgente è l'aumento dei posti disponibili nelle specializzazioni ospedaliere e nei corsi di Medicina Generale. Serve, cioè, investire in borse di studio con le quali formare i medici su cui si reggerà il nostro sistema sanitario tra qualche anno. E serve adeguare gli stipendi di chi già è in corsia, per ridurre la tentazione di privilegiare il privato o di trasferirsi all'estero. In Italia il salario medio lordo è pari a 32.600 euro, in Francia arriva quasi a 39mila e in Germania supera i 42mila. Tra turni infiniti, difficoltà a prendere ferie e continuo rischio di aggressioni e denunce, fare il medico non è più una professione così ambita. E tu non hai più chi ti cura.

Serve una legge sul suicidio assistito

Un imprevisto è quello che si è trovato davanti Federico Carboni, a lungo conosciuto come "Mario", quando ha scoperto di doversi pagare da solo i farmaci e il macchinario per accedere al suicidio assitito. 44 anni, di Senigallia, è stato il primo cittadino italiano a vedersi riconosciuto questo diritto in Italia. Grazie alla sua battaglia, sostenuta assieme all'Associazione Luca Coscioni, è stato abbattuto un muro che il Parlamento non si è mai dato pena di regolamentare.

Sì, perché, se fai un passo indietro e torni alla casella precedente, scoprirai che il suicidio assitito nel nostro Paese è già un diritto. Lo è dal 28 novembre 2019, il giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della sentenza della Corte Costituzionale sulla vicenda Cappato-Dj Fabo. Quella in cui si stabiliva che l'aiuto al suicidio non era reato qualora fossero presenti quattro requisiti: una patologia irreversibile, fonte di gravi sofferenze fisiche o psicologiche, trattamenti di sostegno vitale senza i quali subentrerebbe un decesso e la libera decisione di un paziente pienamente in grado di intendere e di volere.

Dunque non si tratta più di schierarsi a favore o contro il suicidio assistito, ma di colmare un vuoto normativo. Stabilire cioè i tempi e le modalità con i quali deve avvenire l'intero percorso. Proprio come la Corte Costituzionale chiede al Parlamento di fare da quattro anni. Ma l'unica proposta di legge in discussione è ferma in Senato e al momento sembra che nessuno voglia farla ripartire.

Mentre la politica si copre gli occhi con entrambe le mani, altri due cittadini italiani, "Antonio" e Stefano Gheller, hanno seguito Federico Carboni. L'Associazione Coscioni intanto ha elaborato una proposta di legge regionale e sta raccogliendo le firme per poterla depositare.

Abbandonare i combustibili fossili

A minacciare le case e gli alberghi che abbiamo costruito è anche, e soprattutto, la crisi climatica. Il 2022 è stato l'anno in cui ciascuno di noi, per un motivo o per l'altro, ne ha preso coscienza. Chi abita vicino a un fiume o a un lago, lo ha visto svuotarsi. Chi vive in una zona costiera potrebbe aver subito una o più inondazioni. Per non parlare delle trombe d'aria o delle ondate di calore che ci hanno fatto rimanere in maniche corte fino a novembre.

In tutto il mondo, gli eventi estremi hanno provocato vittime, sfollati e danni per miliardi e miliardi di dollari. Ma un accordo per l'abbandono totale dei combustibili fossili non è arrivato nemmeno alla Cop27 di Sharm el-Sheikh. Anzi. Nel documento finale si parla di promuovere le fonti rinnovabili, ma anche quelle a basse emissioni. Secondo gli esperti dell'Agenzia internazionale dell'energia, si tratterebbe di una scappatoia voluta dalla presidenza egiziana per continuare a sfruttare il gas naturale.

E d'altronde, c'è una parte di mondo che si è arricchita inquinando da almeno un secolo e un'altra parte che prova a farlo ora e non accetta che le si dica: "mi spiace, è finito il tempo". Ma se non risolviamo questo imprevisto – che, di nuovo, imprevisto non è – non potremo centrare l'obiettivo di contenimento della temperatura globlale a +1,5 gradi rispetto all'epoca pre-industriale. L'Ong Germanwatch ha sottolineato proprio questo nel Climate Change Performance Index 2023, presentato alla Conferenza ONU sul clima: nessun Paese sta rispettando i target dell'Accordo di Parigi.

Un risultato che, per un cittadino del Bangladesh, può significare ritrovarsi con il 18% del territorio nazionale sommerso dall'Oceano. Per un abitante dell'area del Sahel non trovare più nemmeno un metro quadro di terreno da coltivare e per un italiano dover spostare la propria casa in montagna.

Il Loss and Damage

Il vero (e per molti versi l'unico) risultato della Cop27 è stata l'istituzione del Fondo Loss and Damage, perdite e danni. Soldi che dovranno essere destinati ai Paesi più vulnerabili alle conseguenze del cambiamento climatico. Cina e India non sono più incluse. È un piccolo passo verso la giustizia climatica: chi ha inquinato di più si assume la responsabilità dell'impatto delle sue azioni. Forse.

Ora infatti il fondo deve concretizzarsi. È stato nominato un comitato transitorio incaricato di presentare un progetto alla Cop28 di Dubai. La prossima casella dunque porta una data: novembre 2023.

Un Piano nazionale per gli eventi estremi

In Italia abbiamo un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici al quale hanno contribuito un centinaio di ricercatori ed esperti di Ispra e del Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici. Un lungo lavoro di analisi e raccolta dati che ha portato all'elaborazione di un documento che contiene una panoramica dettagliata dell'impatto della crisi climatica lungo tutta la nostra Penisola, da Nord a Sud. Non solo, ma indica anche quali misure adottare per mettere in sicurezza il territorio e calcola gli investimenti necessari. Sono serviti 6 anni per scriverlo. E per altri 5 è rimasto in un cassetto del Ministero dell'Ambiente.

In queste condizioni siamo arrivati al 2022, l'anno record per gli eventi estremi in Italia. Legambiente ne ha contati 254 nei primi 10 mesi di quest'anno. Un 27% in più rispetto al 2021. E non venivano da un passato tranquillo. Dal 2010 in poi si sono verificati, tra gli altri, 529 casi di allagamenti da piogge intense, 239 eventi come grandinate ed esondazioni che hanno provocato danni e 387 trombe d'aria. In totale, almeno 300 persone hanno perso la vita. E poi sfollati, disagi, stop alle infrastrutture, mezzi pubblici bloccati e danni economici ingenti.

Il 2022 è stato l'anno record per gli eventi estremi in Italia: +27% rispetto al 2021

A oggi, solo tre amministrazioni regionali tra quelle che hanno partecipato alla stesura del Pnacc hanno fatto proprie le linee guida indicate nel documento: Lombardia, Sardegna ed Emilia-Romagna. Le altre sono rimaste scoperte.

Di recente il Piano nazionale è stato estratto dal cassetto del Ministero dell'Ambiente, aggiornato e pubblicato sul sito ufficiale. Ora solo una consultazione pubblica e il decreto attuativo dovrebbero separarlo da una sua effettiva messa in pratica. Un imprevisto che, dunque, potremmo presto risolvere.

Il problema, però, è che siamo di fronte a un gioco a tempo. Un tempo che ormai si calcola in mesi e non più in anni. Perdere significa arrivare al 2030 con la metà dei medici e in balia della crisi climatica. Che vogliamo fare?

Sono Laureata in Lingue e letterature straniere e ho frequentato la Scuola di giornalismo “Walter Tobagi” di Milano. Mi occupo principalmente altro…