A che punto siamo con i farmaci contro il Covid-19?

La lotta alla pandemia non è fatta solo dai vaccini, ma anche dai farmaci che ancora, necessariamente, servono per trattare tutti i pazienti già infetti e gravemente malati. L’Accademia dei Lincei ha analizzato le evidenze scientifiche ad oggi disponibili e ha fatto il punto tra i composti approvati, quelli in fase di sperimentazione e quelli invece ritenuti dannosi e quindi vietati.
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Kevin Ben Alì Zinati 8 Gennaio 2021
* ultima modifica il 05/02/2021

Se il vaccino ci aiuterà a prevenire l’infezione da Coronavirus, una grossa fetta della nostra partita contro la pandemia si affida ancora ai farmaci contro il Covid-19. Il numero dei contagiati e dei malati non sembra arrestarsi e così, prima ancora del vaccino, che oggi avrà un alleato in più dopo l’ok ufficiale di Ema ed Aifa anche a quello prodotto da Moderna, è necessario trovare il modo più sicuro ed efficace per trattare la malattia e le sue complicanze. In questi mesi ne avrai sentiti nominare tanti, dal famoso Remdevisir fino ai nuovi anticorpi monoclonali: dopo quasi un anno di studi e sperimentazioni, la Commissione Covid-19 dell'Accademia Nazionale dei Lincei ha passato in rassegna le evidenze scientifiche finora raggiunte e ha fatto il punto sui farmaci oggi disponibili contro il virus.

I farmaci che impediscono l’ingresso di Sars-CoV-2 

La prima categoria sui cui l’Accademia si è concentrata è quella dei farmaci che con la loro azione impediscono l'ingresso del virus nelle cellule bersaglio. Le prospettive più sicure e interessanti riguardano gli anticorpi monoclonali contro la proteina Spike, il famoso “arpione” che legandosi all’enzima Ace2 gli permette di entrare nelle nostre cellule. Questi anticorpi sarebbero in grado di inibire l'interazione tra la proteina Spike e ACE2.

Ma l'interazione potrebbe essere bloccata anche attraverso l'immunizzazione passiva con il plasma proveniente da pazienti convalescenti, come già avviene in diversi paesi sottolineano i Lincei: l’idea è che gli anticorpi neutralizzanti potrebbero sia inibire il legame del virus alla cellula sia promuovere l’attività di smaltimento da parte delle cellule immunitarie.

Ti ricordi gli anticorpi monoclonali? Secondo l’Accademia, alcuni di questi, derivati dalle cellule B dei pazienti Covid-19, sarebbero in grado di neutralizzare il virus in cellule coltivate in vitro.

Il legame tra la proteina Spike e l’enzima Ace2 potrebbe essere danneggiato anche da una maggior presenza di ACE2 solubile che, spiegano, potrebbe effettivamente neutralizzare il virus e rallentarne l’ingresso nelle cellule. Un ACE2 ricombinante solubile umano si è dimostrato sicuro in studi clinici di Fase I e Fase II.

Remdesivir

Come ti avevano raccontato, il Remdesivir ad inizio pandemia era stato giudicato uno dei farmaci più promettenti per il trattamento del Covid-19. Nato come farmaco contro il virus Ebola, si pensava fosse in grado di inibire anche la replicazione del Coronavirus.

Quando è stato sottoposto a sperimentazione si era dimostrato più efficace del placebo nel ridurre il tempo di recupero dei pazienti e sulla base di questi risultati la Food and Drug Administration ne aveva autorizzato l’uso in emergenza. Nei mesi scorsi, ti avevamo raccontato che era stato anche approvato per l'uso in adulti e bambini contro le polmoniti da Coronavirus. Poi però le cose sono repentinamente cambiate.

I risultati preliminari del trial Solidarity, che gode dell’appoggio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, recentemente ha però messo in discussione l’efficacia clinica dal momento che non sembrerebbe così affidabile nel ridurre la mortalità intra-ospedaliera.

Clorochina e idrossiclorochina

Quello che ti abbiamo raccontato riguardo ai due farmaci antimalarici clorochina e idrossiclorichina è stato un vero e proprio ping pong dal momento che in questi mesi, informazioni, studi, approvazioni e stop sono rimbalzati in continuazione da una parte all’altra del mondo.

La clorochina nasce come trattamento profilattico contro la malaria anche se con il tempo si è scelto di utilizzare il suo derivato più sicuro, l'idrossiclorochina, per trattare malattie autoimmuni, come l'artrite reumatoide.

Il 28 marzo 2020, dalla Fda era arrivata l'autorizzazione per il loro uso d'emergenza e, di fatto, diversi pazienti Covid-19 sono stati trattati con idrossiclorochina e clorochina. Si trattava di una decisione che, secondo l’Accademia, si basava “su considerazioni relative al meccanismo d’azione dei farmaci e su pressioni politiche”.

Poi però sono passati i mesi e ulteriori studi scientifici non hanno dimostrato l'efficacia clinica di questi farmaci antimalarici, anzi: ne hanno evidenziato gli effetti dannosi.

I pazienti cui venivano somministrati sviluppavano disturbi gastrointestinali, eruzioni cutanee e soprattutto tossicità cardiaca legata all’insorgenza di cardiomiopatia e aritmie. Un altro grave effetto negativo era la retinopatia: anche se di fatto era un effetto collaterale raro, spiegano i Lincei, la patologia avrebbe potuto portare fino alla irreversibile perdita della vista.

Le Linee Guida dei National Institutes of Health statunitense, per questo, raccomandano di non utilizzare l’idrossiclorochina e la clorochina per il trattamento di pazienti affetti da Covid-19.

Fans

Se ti ricordi, ti avevamo raccontato di quando il Ministro della Salute francese Olivier Véran aveva dichiarato che i farmaci antinfiammatori non steroidei (i cosiddetti Fans) come l'ibuprofene, potevano mascherare i sintomi aiutando così l’infezione e quindi la malattia a crescere. Per questo, ne sconsigliava l’uso.

Dopo aver condiviso l’allarme, sia l'Organizzazione Mondiale della Sanità che l’Ema hanno ritirato l’allarme specificando che i Fans non devono essere somministrati ai pazienti con infezioni da Sars-CoV-2 come una sorta di terapia ma che comunque, fino a quando non ci saranno prove solide, chi soffre di dolore cronico può continuare ad assumerli piuttosto che ricorrere agli oppiacei.

Inibitori del complemento

Quando il nostro organismo viene a contatto con un patogeno, la prima risposta messa in atto dal sistema immunitario è l’attivazione del cosiddetto sistema del complemento.

Il sistema del complemento è una sorta di meccanismo di difesa formato da un gruppo di 30 proteine che aiutano il sistema immunitario ad innescare un’efficace risposta infiammatoria.

Come saprai, le forme più gravi di Covid-19 sono causate da un’eccessiva risposta del tuo sistema immunitario da cui derivano quindi l’infiammazione acuta e cronica, la coagulazione intravascolare e anche l’insufficienza funzionale di più organi.

Ti ricordi la famosa cascata di citochine? Ecco, l’iper-attivazione immunitaria coinvolge anche il sistema del complemento. E diversi studi hanno dimostrato che una sua proteina, la C3, se inibita o inattivata potrebbe concretamente ridurre l’infiammazione polmonare e la sindrome respiratoria.

Per questo, ricordano i Lincei, è stato proposto di utilizzare farmaci per l’inibizione del complemento come strumenti per limitare l'infiammazione tissutale associata al Covid-19: tuttavia, ad oggi, servono ulteriori nuovi studi per stabilirne l’effettivo potenziale terapeutico.

Eparina

Nei pazienti affetti da Covid-19, un’altra conseguenza importante è l’alterazione della cascata della coagulazione e dei sistemi fibrinolitici. Per questo è entrata in gioco l’eparina.

Uno studio retrospettivo condotto a Wuhan su 449 pazienti Covid ricoverati con polmonite grave, 99 dei quali avevano ricevuto dosi profilattiche di eparina per 7 giorni, aveva dimostrato una mortalità a 28 giorni significativamente inferiore rispetto a chi, invece, non era trattato.

Un’altra analisi retrospettiva simile che ha coinvolto 2733 pazienti, aveva mostrato che solo il 29% dei pazienti in ventilazione meccanica che avevano ricevuto terapia anticoagulante era deceduto rispetto al 63% di quelli senza eparina.

Anche noi ti avevamo raccontato di una nuova terapia proprio a base di eparina. Il dottor Marco Stabile, primario del reparto di chirurgia plastica dell'ospedale di Castel San Giovanni di Piacenza, aveva sperimentato l'eparina per spegnere l'infiammazione polmonare causata dal Coronavirus.

In virtù di tutto questo, quindi, l’eparina è raccomanda a tutti i pazienti Covid-19 ricoverati in ospedale.

Corticosteroidei

L’efficacia del trattamento a base di farmaci corticosteroidei è stata dimostrata per la prima volta dal progetto Recovery, avviato nel Regno Unito. Si tratta di uno studio randomizzato, controllato che ha coinvolto circa il 15% di tutti i pazienti Covid del Regno Unito in un’analisi di confronto su tutta una serie di trattamenti possibili.

L’attenzione, come ti avevamo raccontato, è andata al desametasone, in un dosaggio di 6 milligrammi una volta al giorno per un massimo di dieci giorni. Il suo risultato principale ha riguardato la mortalità a 28 giorni: rispetto ai pazienti curati con le sole terapie standard, la riduzione della mortalità nelle persone sotto eparina è stata significativa. Tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha confermato l’utilità del desametasone per tutti i pazienti Covid colpiti da gravi complicanze polmonari.

Fonte | Accademia dei Lincei; Ospedale San Raffaele

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