Traguardi scientifici, vittorie, qualche sconfitta e tante storie bellissime: ecco cosa ci ha regalato la medicina nel 2022

Nel nostro bilancio di cosa è stato il 2022 dal punto di vista dell’Health non posiamo non parlare di Sars-CoV-2, il virus che ci farà compagnia ancora per un bel po’. Ma accanto alla pandemia è stato un anno ricco: di grandi traguardi scientifici come il completamento del genoma umano; di storie come quella di Erika, Kevin e dell’impianto cocleare; di vittorie storiche come quella per il suicidio assistito.
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Kevin Ben Alì Zinati 27 Dicembre 2022
* ultima modifica il 27/12/2022

Il Covid-19? Sì, un po’ c’è stato. Era inevitabile che Sars-CoV-2 anche quest’anno trovasse spazio nelle nostre cronache o diventasse il protagonista di più d’un approfondimento. A dispetto di ciò che possono dire alcuni, la pandemia non è finita. Certo si è arrestata e il suo carattere emergenziale è stato smorzato ma è il virus è comunque ancora tra di noi: non dobbiamo (non possiamo) dimenticarcelo, dovremo farci i conti ancora per un po’. In maniera diversa, meno pressante e invadente, ma resterà una convivenza che ci toccherà sopportare.

Nel nostro bilancio di fine anno tuttavia non c’è solo la pandemia. Nel mondo della salute e della medicina, il 2022 è stato un anno di (altri) grandi interventi e conquiste scientifiche e sociali. Abbiamo guardato con entusiasmo i grandi passi in avanti delle procedure di donazione e trapianto organi, registrato con occhi speranzosi le svolte decisive nella lotta all’HIV, esultato forte per il riconoscimento di diritti sacrosanti come quello al suicidio assistito.

In questi dodici mesi, sotto l’etichetta «health» abbiamo anche raccontato tante storie: alcune belle, bellissime come quella di una mamma e suo figlio tornati ad ascoltare il mondo grazie all’impianto cocleare; altre più controverse, come la cancellazione della sentenza sul diritto all’aborto negli Stati Uniti; altre ancora più elettrizzanti e ispiratrici, come quella dell’uomo che può riabbracciare la propria famiglia grazie al primo storico trapianto di entrambe le braccia.

Le donazioni e i trapianti d’organo

Il 2022 è stato l’anno della normalità riconquistata. Non solo quella sociale, fatta di mezzi pubblici senza mascherine, smart working sempre più diradato e uffici ripopolati, saracinesche di cinema, teatri e locali definitivamente alzate.

A riprendere la propria corsa ci hanno pensato anche il nostro sistema sanitario (o almeno in parte, vista la grande carenza di personale che sta affliggendo i pronto soccorso) e in particolare la rete italiana di donazione e trapianto organi. Che, anzi, nel corso dell’ultimo anno ha centrato vittorie da record.

Una riguarda Albina Verderame: te la ricordi? È la prima donna in Italia ad aver ricevuto con successo un trapianto di utero. Finalizzato alla procreazione, quello cui è stata sottoposta è stato un intervento davvero pioneristico per il nostro Paese e te lo avevamo raccontato anche perché questa complessa procedura – che oggi resta comunque sperimentale – era stata eseguita nell’agosto del 2020, quindi in uno dei momenti più duri della pandemia.

Bene: a settembre Albina è diventata mamma. Grazie all’utero ricevuto da una donna in morte cerebrale ce l’ha fatta ed è riuscita a realizzare il suo sogno di costruire una famiglia.

Albina Verderame è stata la prima donna, in Italia, a ricevere un trapianto di utero.

Albina però presto potrebbe essere in buona compagnia. A febbraio infatti le stesse équipe mediche del Policlinico di Catania si sono ripetute, impiantando con successo per la seconda volta l’utero di una donna di 43 anni deceduta per un’emorragia cerebrale in una ragazza di 33 anni.

Nel corso del 2022 abbiamo assistito ad altri due grandi traguardi della rete di donazioni e trapianti. Prima, una donna di 97 anni, 6 mesi e 29 giorni è diventata la più anziana donatrice di organi mai registrata in Italia ma neanche due settimane dopo una signora addirittura di cento anni, dieci mesi e un giorno ha battuto tutti i record come la più anziana donatrice di organi al mondo.

Queste due storie da un lato testimoniano il livello di eccellenza mondiale raggiunto dalla nostra rete trapiantologica, fotografato nel sorriso digitale del suo direttore Massimo Cardillo. Allo stesso tempo ribadiscono un concetto che può sembrarti banale e retorico ma sul quale resta ancora un ostile velo di confusione: l’età è davvero numero e non conta poi così tanto, soprattutto quando c’è in ballo una vita.

La lotta all’HIV

C’è una pandemia con cui stiamo imparando a coesistere e c’è una pandemia che siamo sull’orlo di arrestare. È una frase forte, forse più provocatoria e speranzosa che realistica ma trova corrispondenza nelle parole con cui il dottor Paolo Lusso, responsabile del Laboratorio di Patogenesi Virale del National Institute of Allergy and Infectious Diseases del National Institutes of Health di Washington, ci ha raccontato il lavoro che l’ha portato a mettere a punto un nuovo farmaco. Non un farmaco qualunque: si tratta di un potenziale e promettentissimo vaccino contro l’HIV.

Leggendo questa parola, «vaccino», ti sarà venuto automatico chiederti quando verrà approvato e commercializzato, quando sarà nelle nostre mani, quando partiranno le campagne di immunizzazione in tutto il mondo. Ti (e ci) stai domandando una data, insomma.

Noi l’abbiamo chiesta al dottor Lusso, anche se in questi quasi tre anni di Covid-19 abbiamo imparato che fare (e pretendere) previsioni è sbagliato e che la scienza, per quanto bravi siamo, vive secondo tempi non misurabili secondo i nostri consueti parametri.

Posso dirti, però, che il vaccino vero e proprio non è poi così lontano. Così ci ha rassicurato il virologo, spiegando che nonostante ci siano ancora tante domande a cui dare risposta e meccanismi da comprendere e perfezionare, entro 5 anni potrebbe essere davvero disponibile. “Ci vorrà del tempo – aveva detto Lusso – ma potrebbe finalmente iniziare a vedersi la fine dell’AIDS”.

Intanto noi, a questa pandemia (sì, perché in molte zone del mondo come l’Africa è ancora un’emergenza) qualche colpo glielo abbiamo tirato. A febbraio abbiamo registrato la terza persona guarita dall’infezione da HIV, merito di un trapianto di cellule staminali provenienti dal sangue del sue cordone ombelicale eseguito per trattare una grave forma di leucemia mieloide acuta. A luglio è arrivata anche la quarta: un uomo di 66 anni dichiarato guarito dopo ben 31 anni di convivenza con il virus.

E non è tutto. Il 2022 è stato anche l’anno in cui, in Italia, ha fatto il suo ingresso nella lotta all’HIV anche la terapia CaRLA. È un trattamento innovativo basato su due farmaci «long-acting» che promette un'altra grossa vittoria contro il virus dell'immunodeficienza umana. Potersi ricordare dell’infezione una volta ogni due mesi (questa la posologia del trattamento) anziché tutti i giorni con una pastiglia da ingoiare è davvero una piccola-grande rivoluzione per la qualità di vita dei pazienti con HIV.

Le vittorie per il suicidio assistito

Quello che sta per chiudersi è stato anche l’anno del suicidio assistito. Una prima vittoria, importante e storica, era già arrivata a fine 2021, quando il Comitato etico dell'Asur Marche aveva valutato le condizioni di Mario giudicandole tali da rendere non punibile il suicidio medicalmente assistito e così aveva dato l’autorizzazione.

La legge c’era, dopo la vicenda Cappato-Dj Fabo la Corte Costituzionale aveva sancito il diritto ad richiedere questa procedura ma in Italia accedervi era quasi impossibile. Al punto che Fabio Ridolfi, costretto a letto da 18 anni a causa di una tetraparesi da rottura dell’arteria basilare, era arrivato a cambiare idea di fronte ai freni della burocrazia e a rinunciare al suicidio assistito per ripiegare sulla sedazione profonda.

«Impossibile», il suicidio assistito, nel nostro Paese lo è stato fino al 16 giugno 2022. È una data che devi tenere a mente perché è il giorno in cui proprio Mario, nome di fantasia dietro cui si celava l’identità di Federico Carboni, è diventato il primo paziente ad aver ottenuto il suicidio assistito in Italia.

La sua storia non ha solo creato un precedente rumorosissimo ma è stato il colpo di martello che ha sfondato un muro: un muro dietro cui era tenuto nascosto un diritto fondamentale.

Dopo quella di Mario/Federico ne sono seguite altre di vittorie. Quella di Antonio, che ha ricevuto l’autorizzazione dalla Commissione medica dell'Azienda sanitaria unica regionale delle Marche per il farmaco che gli consentirà di procedere con la decisione di porre fine alla propria vita e poi anche quella di Stefano Gheller.

Costretto a girare su una sedia a rotelle e a restare attaccato a un respiratore 24 ore su 24 per colpa della distrofia muscolare ohga, Stefano è la terza persona in Italia ad aver vinto la battaglia per ottenere l’autorizzazione al suicidio medicalmente assistito, il primo in Veneto.

Ce n’è ancora di Covid

Normalità, ti dicevo all’inizio. Il primo passo per riprendercela l’abbiamo fatto il 1 aprile, quando abbiamo detto addio al famoso stato di emergenza, quel cappello giuridico introdotto dal Governo il 31 gennaio 2020 e sotto il quale abbiamo potuto mettere in campo le contro-risposte alla pandemia, dal lockdown al Green pass fino alle vaccinazione di massa.

Il professor Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università Statale di Milano, ci aveva spiegato il concetto che ti ho anticipato prima. Ovvero che il virus non cesserà di esistere di punto in bianco ma continuerà a circolare e a fare parte delle nostre vite”. Una convivenza appunto, caratterizzata da una presenza endemica di Sars-CoV-2.

D’altronde, aveva aggiunto Pregliasco, la pandemia non finisce con una specifica condizione come la fine di tutte le restrizioni o di una particolare condizione giuridica: “una pandemia finisce quando non se ne parla più”.

Se è vero che di Covid ne stiamo parlando sempre meno – complici l'arrivo dei nuovi vaccini bivalenti contro la variante Omicron e la decisione del neo governo Meloni di diffondere i dati su contagi e morti su base settimanale e non più quotidiana – è altrettanto vero che la sua presenza è sempre stata costante nel corso dell’anno.

Abbiamo dovuti farci i conti a settembre, con la ripresa in presenza della scuola senza mascherina e con i dubbi di una fetta di comunità scientifica sulla decisione di non investire in sistemi di ventilazione meccanica controllata per il ricambio dell’aria nelle aule.

Covid-19 ha anche modificato (e non poco) il modo in cui guardiamo gli altri virus che si affacciavano al nostro mondo grazie al famoso spillover, il salto di specie dagli animali all’uomo. Ci ha donato un mix amplificato di attenzione, sensibilità e pro-azione che prima non avevamo. Pensa per esempio alla sana guardia alta tenuta verso il vaiolo delle scimmie.

Negli ultimi mesi dell'anno poi, Sars-CoV-2 è tornato sulla bocca di tutti a causa della sua coesistenza con l’influenza (e con il virus respiratorio sinciziale, tanto che a un certo punto qualcuno ha parlato addirittura di «triplendemia»).

Con vacanze, luoghi chiusi e affollati e gite all’orizzonte, il primo naso colante o il colpo di tosse in più avranno risvegliato anche in te la paura e il disagio del contagio.

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Ma la voglia di normalità è sempre più forte, sempre più viscerale. Tanto che è delle ultime settimane dell’anno, come avrai sicuramente sentito, la notizia secondo cui il governo vorrebbe dare luce verde a un nuovo emendamento al decreto anti-rave per eliminare l’obbligo di tampone dopo 5 giorni di isolamento domiciliare e dimezzare da 5 a 10 giorni il periodo di autosorveglianza in caso di contatto stretto.

A meno di imprevisti e ribaltoni, il 2023 si preannuncia insomma un anno normalmente «normale».

Storie, di tutti i tipi

Il 2022 però è stato anche un anno di storie. Ce ne sono state alcune che ci hanno emozionato e non solo per la bellezza e la profondità delle parole di chi ha voluto condividere con noi il proprio vissuto. Alcune storie ci hanno entusiasmato perché ci hanno mostrato da vicino come la scienza, e in questo caso la medicina, possano davvero migliorare le nostre vite.

Una di queste è la storia di Erika Valsecchi e di suo figlio Kevin. Entrambi nati sordi, mamma e figlio oggi possono ascoltare il suono del vento, delle campane e del respiro di chi sta loro accanto perché hanno scelto di sottoporsi a un intervento per indossare l’impianto cocleare.

Se lo chiamassi «orecchio bionico» non sbaglieresti perché si tratta di un dispositivo elettronico all’avanguardia capace di trasformare i suoni in segnali elettrici inviati al nervo acustico. Non è come le classiche protesi acustiche che amplificano solamente i rumori: l’impianto cocleare permette a chi lo indossa di sentire e ascoltare suoni decisamente più pieni e distinti. Non è certo come l’orecchio “sano” ma gli si avvicina parecchio.

Lavarsi i denti, lanciare la palla al cane, mettere il braccio fuori dal finestrino per sentire la carezza del vento. Ma anche tenere in mano lo smartphone, sollevare un peso in palestra, abbracciare figli e nipoti. Azioni semplici, vero? Per te forse, ma per Felix Gretarsson non lo sono. Sono conquiste storiche e bellissime.

Di origini francesi e alle soglie dei 50 anni, Felix Gretarsson è tornato a poter fare tutto questo perché è il primo uomo al mondo ad essere stato sottoposto con successo a un trapianto di entrambe le braccia e spalle. Un intervento pazzesco, impensabile fino a qualche anno fa. O no?

Altrettanto eccezionali poi sono due storie, letteralmente storie «di vita». La prima arriva dall’Italia, più precisamente da Bologna, dove Giovanna lo scorso ottobre ha visto sul proprio test di gravidanza le famose due lineette. Giovanni ha 41 anni, guarita da un tumore al seno e oggi è incinta di due gemelli.

A rendere incredibile la storia però è il fatto che quella di Giovanna è la prima gravidanza gemellare al mondo ottenuta grazie all’impianto di ovociti di una donatrice criocongelati e vitrificati ben 14 anni fa. Prima d’ora, infatti, nella letteratura scientifica non c’erano tracce di una fertilità ottenuta con ovociti crioconservati da un tempo così lungo.

Ma a Portland, nello stato americano dell’Oregon, i piccoli Lydia e Timothy hanno riscritto questo record. I due gemelli, infatti, sono stati concepiti attraverso la fecondazione assistita a partire però da embrioni congelati quasi 30 anni fa, precisamente il 22 aprile 1992. Un intreccio tra passato, presente e futuro che da libro di fantascienza è diventato realtà.

Dagli Usa, però, era arrivata anche un’altra storia, questa volta tratteggiata da contorni più bui e cupi. Nel mese di giugno la Corte Suprema ha infatti deciso di ribaltare la storica sentenza che nel 1973 aveva concesso alle donne statunitensi la libertà di decidere il destino della propria gravidanza. Di fatto, le donne in America non hanno più la possibilità scegliere liberamente se abortire ma ogni Stato potrà applicare le proprie leggi.

Una rivoluzione al contrario, insomma, arrivata dopo che negli Stati Uniti l’aborto era rimasto un diritto fondamentale e inattaccabile per quasi 50 anni.

Le storie fanno rima anche con importanti traguardi scientifici. Nel 2022 abbiamo assistito, per esempio, alla conclusione del sequenziamento del genoma umano, avvenuta 21 anni di distanza dalla «faida» scientifica tra un consorzio internazionale con in testa il genetista Francis Collins e la società privata di Craig Venter, conclusasi con la scoperta del 92% dei circa 3 miliardi di lettere che compongo il Dna.

Abbiamo poi creato il primo embrione di topo sintetico, con un cuore pulsante e un cervello in formazione. Un’impresa importantissima che può aiutarci a trovare un modo per rimpiazzare i topi usati nella ricerca velocizzando i processi di sperimentazione di farmaci o terapie e anche a indagare con più efficacia perché alcune gravidanze falliscono mentre altre hanno successo.

E siamo stati anche a tanto così dal mettere a segno il primo xenotrapianto, ovvero il trapianto di un organo (in questo caso il cuore) da un animale, un maiale geneticamente modificato, a un uomo colpito da una gravissima malattia cardiaca.

L’ultimo traguardo scientifico di cui ti parlo riguarda le sigarette elettroniche. E lo definisco «traguardo» perché deve avere la stessa risonanza e la stessa forza delle grandi vittorie. Per la prima volta abbiamo piantato una certezza in quello che il dottor Silvano Gallus ci aveva descritto come un universo decisamente immenso e zeppo di dubbi.

Porta la sua firma, infatti, il nuovo studio prospettico italiano, e primo in Europa, che risponde finalmente alla domanda se le sigarette elettroniche facciano male oppure no. No: le e-cig non aiutano a smettere di fumare, insieme al tabacco riscaldato spingerebbero anzi le persone, specialmente i giovani, a prendere in mano una sigaretta tradizionale e a riprenderla chi, invece, era riuscito ad abbandonarla. Numeri e dati che devono veicolare un unico messaggio: fumare – qualsiasi tipo di prodotto – non fa bene né a te né all'ambiente.

Più o meno così, insomma, è stato il nostro ultimo anno. E il 2023? Scoprilo, leggilo, vivilo qui, ancora con noi.

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